Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1485 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1485 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2700/2018 R.G. proposto da:
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE ASL DI RIETI , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
COGNOME , elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente –
Oggetto: Pubblico impiego contrattualizzato – Accertamento rapporto di lavoro subordinato – Rinunce e transazioni – Rinuncia preventiva – Nullità
R.G.N. 2700/2018
Ud. 19/12/2023 CC
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO ROMA n. 3861/2017 depositata il 21/07/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 19/12/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 3861/2017 del 21 luglio 2017, la Corte d’appello di Roma, nella regolare costituzione dell’appellato COGNOME ha respinto l’appello proposto dalla ASL DI RIETI avverso la sentenza del Tribunale di Rieti n. 26 del 22 gennaio 2015.
Il Tribunale di Rieti, adito dall’odierno controricorrente , aveva accertato, previa declaratoria di nullità dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati tra la ASL DI RIETI ed RAGIONE_SOCIALE, l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra le parti, svoltosi nel periodo 10 marzo 2005 – 17 luglio 2008, ed aveva condannato la stessa ASL DI RIETI al pagamento delle differenze retributive, alla regolarizzazione contributiva e al pagamento delle spese di lite.
Il Tribunale, infatti, aveva dichiarato la nullità dei contratti di collaborazione, via via succedutisi – in quanto stipulati in assenza dei presupposti di legge, in particolare per la mancanza di uno specifico progetto – e, sulla base dell’istruttoria espletata, aveva ritenuto provata la natura subordinata del rapporto intercorso tra le parti.
Proposto appello da parte della ASL DI RIETI, la Corte d’appello di Roma, nel disattendere i motivi di gravame, ha ritenuto:
-la infondatezza del primo motivo di gravame -col quale l’appellante veniva a dolersi del mancato accoglimento dell’eccezione di improcedibilità dell’azione per intervenuta rinuncia, essendo contenuta nei contratti via via conclusi
dall’appellato la clausola ‘Il collaboratore, oltre al compenso di cui sopra, non potrà avere null’altro a pretendere, né nel corso del rapporto, né a seguito della sua estinzione, per nessuna ragione o causale estranea alla natura del rapporto di collaborazione’ -osservando che, da un lato, la clausola contrattuale non indicava specificamente i diritti oggetto di rinuncia, traducendosi in una rinuncia a diritti non ancora entrati nel patrimonio del lavoratore, e che, dall’altro lato, la genericità della rinuncia precludeva la possibilità di affermare che sussistesse consapevolezza in capo al lavoratore dei diritti oggetto della rinuncia stessa;
-l’infondatezza degli ulteriori motivi di gravame esaminati congiuntamente -rilevando che dalle prove assunte nel giudizio di primo grado emergevano elementi idonei a qualificare il rapporto tra le parti come vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, essendo emerso che RAGIONE_SOCIALE aveva svolto le proprie prestazioni secondo orari prestabiliti dalla ASL DI RIETI -con turni di servizio e turni di reperibilità – e con assoggettamento al potere gerarchico dei responsabili di reparto, senza che, a seguito della successiva assunzione, vi fosse stato mutamento alcuno nelle modalità di svolgimento del rapporto.
La Corte d’appello, peraltro, ha rilevato che la parte della decisione di primo grado nella quale era stata affermata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato non era stata oggetto di specifica impugnazione, da ciò risultando la inammissibilità dei motivi di gravame nei quali venivano dedotti profili di carattere formale.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre ora la ASL DI RIETI.
Resiste con controricorso NOME COGNOME
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c.
Argomenta, in particolare, il ricorso che:
-i diritti oggetto della dedotta rinuncia sono da qualificare come diritti secondari e non fondamentali, come tali potevano essere di parziale rinuncia;
-l’odierno controricorrente avrebbe rinunciato a diritti determinati e determinabili -essendo gli stessi sanciti dal CCNL di settore, da ciò derivando che detti diritti -contrariamente a quanto asserito nella decisione impugnata -erano caratterizzati dal l’attualità.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 7, D. Lgs. n. 165/2001; 110, comma 6, D. Lgs. n. 267/2000; 409, primo comma, n. 3), c.p.c.
Il ricorso censura la decisione impugnata, argomentando che la stessa avrebbe qualificato il rapporto inter partes in termini di subordinazione sulla scorta solo dell’elemento costituito dall’assoggettamento alla direzione organizzativa da parte del datore di lavoro, mentre avrebbe omesso di valutare altri profili che caratterizzavano la specificità del rapporto, rispetto ai quali il mero
profilo della coordinazione non risulterebbe dirimente, in quanto connesso alle finalità specifiche della prestazione.
L’Ente ricorrente richiama invece altri profili specifici del rapporto (assenza di controllo tramite badge ; autonomia del ricorrente nell’assumere le determinazioni necessarie per lo svolgimento dell’incarico; assunzione diretta dei rischi dell’attività svolta; svolgimento di attività presso altri enti senza necessità di autorizzazione della stessa ASL DI RIETI; ‘facoltà di scelta sulle modalità di erogazione del compenso’ ), dai quali sarebbe possibile evincere che il rapporto non aveva natura subordinata.
2. Il primo motivo è infondato.
Questa Corte ha chiarito che la categoria dei diritti indisponibili cui si applica, qualora abbiano formato oggetto di rinunzie o transazioni, l’art. 2113 c.c. – comprende non soltanto i diritti di natura retributiva o risarcitoria correlati alla lesione di diritti fondamentali della persona, ma, alla luce della ratio sottesa alla disposizione codicistica posta a tutela del lavoratore quale parte più debole del rapporto di lavoro, ogni altra posizione regolata in via ordinaria attraverso norme inderogabili, salvo che vi sia espressa previsione contraria (Cass. Sez. L – Sentenza n. 24078 del 07/09/2021; Cass. Sez. L, Sentenza n. 2734 del 12/02/2004).
Parimenti, questa Corte ha affermato che, se riguardo a diritti già maturati, il negozio dispositivo integra una mera rinuncia o transazione, rispetto alla quale la dipendenza del diritto da norme inderogabili comporta, in forza dell’art. 2113 c.c. l’annullabilità dell’atto di disposizione, ma non la sua nullità, nel diverso caso di diritti ancora non sorti o maturati la preventiva disposizione può comportare, invece, la nullità dell’atto, poiché esso è diretto a regolamentare gli effetti del rapporto di lavoro in maniera diversa da quella fissata dalle norme di
legge o di contratto collettivo (Cass. Sez. L, Sentenza n. 12561 del 26/05/2006 e cfr. altresì Sez. L, Sentenza n. 18405 del 08/09/2011).
Si deve, del resto, rammentare che il principio della indisponibilità del tipo contrattuale costituisce un limite anche per il legislatore ordinario (cfr. Corte Cost. n. 76/2015, punto 8) e che lo statuto protettivo, che alla subordinazione si accompagna, determina, quale conseguenza ineludibile, l’indisponibilità del tipo negoziale sia da parte del legislatore, sia da parte dei contraenti individuali, sicché è da escludere che nel contratto individuale di collaborazione possa essere apposta una valida rinuncia a far valere diritti derivanti dal futuro concreto atteggiarsi del rapporto in termini di subordinazione.
Nel negare giuridico valore alla previsione contrattuale invocata dalla ricorrente, quindi, la Corte d’appello di Roma si è pienamente conformata ai principi enunciati da questa Corte, in quanto ha correttamente rilevato che la clausola in questione veniva ad integrare una -peraltro generica ed indeterminata -rinuncia a diritti futuri, in tal modo determinando la nullità della medesima previsione negoziale e la sua conseguente radicale inefficacia.
Il secondo motivo è inammissibile.
Rammentato, secondo i principi enunciati da questa Corte, che:
-il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con
l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 -Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016);
-il ricorrente a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U Sentenza n. 23745 del 28/10/2020);
si deve rilevare che il motivo in esame si sottrae radicalmente a tali principi, omettendo di individua re anche solo un’ affermazione della sentenza impugnata che si ponga in diretto contrasto con le previsioni invocate – e poi non più richiamate – in rubrica, trascendendo in una critica concernente profili squisitamente fattuali e sostanzialmente diretta a sollecitare a questa Corte un inammissibile sindacato sulla valutazione del materiale probatorio, riservata invece al giudice del merito (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004).
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
5. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020 – Rv. 657198 – 05).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 5.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell ‘adunanza camerale in data 19 dicembre