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Rinuncia diritti futuri: è nulla per la Cassazione

Un lavoratore, assunto da un’azienda sanitaria pubblica con contratti di collaborazione, ha ottenuto il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione, sottolineando che qualsiasi clausola contrattuale di rinuncia a diritti futuri è nulla. Tale rinuncia viola infatti il principio di indisponibilità dei diritti fondamentali del lavoratore, che non possono essere oggetto di pattuizioni preventive. L’appello dell’azienda sulla qualificazione del rapporto è stato giudicato inammissibile.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia Diritti Futuri: La Cassazione Conferma la Nullità Assoluta

L’ordinanza n. 1485 del 2024 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro: la validità delle clausole di rinuncia a diritti futuri inserite nei contratti. La Corte ha ribadito un principio fondamentale a tutela del lavoratore, considerato la parte debole del rapporto, stabilendo che tali rinunce, soprattutto se generiche, sono radicalmente nulle e inefficaci. Questo caso offre uno spunto per analizzare come l’ordinamento protegga i diritti irrinunciabili del prestatore di lavoro, anche quando un rapporto è formalmente qualificato come collaborazione autonoma.

Il Contesto: Da Collaborazione a Lavoro Subordinato

Il caso nasce dalla vicenda di un lavoratore impiegato presso un’azienda sanitaria pubblica tramite una serie di contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Sostenendo che le modalità effettive di svolgimento della prestazione (orari prestabiliti, turni, sottoposizione al potere gerarchico) fossero quelle tipiche del lavoro subordinato, il lavoratore si è rivolto al Tribunale. Sia il Tribunale di Rieti in primo grado che la Corte d’Appello di Roma hanno accolto la sua domanda, accertando la natura subordinata del rapporto e condannando l’ente al pagamento delle differenze retributive e contributive.

La Clausola di Rinuncia ai Diritti Futuri

L’azienda sanitaria ha basato parte della sua difesa su una clausola specifica inserita nei contratti, la quale prevedeva che il collaboratore, oltre al compenso pattuito, non potesse pretendere “null’altro […] per nessuna ragione o causale estranea alla natura del rapporto di collaborazione”. Secondo l’ente, questa clausola equivaleva a una rinuncia a qualsiasi pretesa futura, inclusa quella relativa alla diversa qualificazione del rapporto. Tuttavia, sia i giudici di merito che la Cassazione hanno respinto questa interpretazione, evidenziandone la criticità principale: la sua genericità e il fatto che riguardasse diritti non ancora sorti.

Le Motivazioni della Cassazione sulla Rinuncia a Diritti Futuri

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda sanitaria, confermando la decisione della Corte d’Appello. Le motivazioni si concentrano su due punti chiave.

Primo Motivo: La Nullità della Rinuncia a Diritti Futuri

La Corte ha chiarito che la categoria dei diritti “indisponibili” del lavoratore, tutelati dall’art. 2113 c.c., è molto ampia. Essa non include solo i diritti retributivi, ma ogni posizione giuridica protetta da norme inderogabili. Il principio di “indisponibilità del tipo contrattuale” impedisce alle parti di mascherare un rapporto di lavoro subordinato sotto un’altra forma contrattuale. Di conseguenza, una clausola che implica una rinuncia a diritti futuri derivanti dal corretto inquadramento del rapporto è nulla. Una rinuncia può essere valida (ma comunque impugnabile) solo se riguarda diritti già maturati e specificamente individuati, non diritti futuri e incerti. La clausola in questione, essendo generica e preventiva, è stata quindi dichiarata radicalmente inefficace.

Secondo Motivo: Inammissibilità della Censura sulla Qualificazione del Rapporto

Il secondo motivo di ricorso, con cui l’azienda sanitaria contestava la valutazione dei fatti che avevano portato a qualificare il rapporto come subordinato, è stato dichiarato inammissibile. La Cassazione ha ricordato che il suo ruolo non è quello di riesaminare le prove e i fatti del processo, compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Il ricorso per Cassazione deve denunciare una violazione di legge, non una presunta errata valutazione del materiale probatorio. L’azienda, in sostanza, chiedeva alla Corte una nuova valutazione dei fatti, attività che esula dalle sue competenze.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un baluardo fondamentale del diritto del lavoro: la protezione dei diritti inderogabili del lavoratore. La decisione della Cassazione conferma che non è possibile eludere le tutele previste per il lavoro subordinato attraverso clausole contrattuali che impongono una rinuncia a diritti futuri. Questo principio è essenziale per contrastare l’uso distorto di contratti flessibili per mascherare reali rapporti di subordinazione. La sentenza ribadisce che ciò che conta è la realtà effettiva del rapporto di lavoro, non la sua qualificazione formale, e che i diritti derivanti da tale realtà non possono essere oggetto di rinunce preventive e generiche.

È valida una clausola in un contratto di collaborazione che fa rinunciare a ogni futura pretesa economica o di altro tipo?
No, la Cassazione ha stabilito che una rinuncia generica e indeterminata a diritti non ancora maturati è radicalmente nulla e inefficace, perché viola il principio di indisponibilità dei diritti del lavoratore.

Perché il diritto a far riconoscere un rapporto come lavoro subordinato è considerato “indisponibile”?
Perché lo statuto protettivo del lavoro subordinato è stabilito da norme inderogabili. Le parti non possono, con un accordo privato, escludere l’applicazione di queste tutele se il rapporto ha, di fatto, le caratteristiche della subordinazione.

Cosa significa che un motivo di ricorso in Cassazione è “inammissibile”?
Significa che il motivo non può essere esaminato nel merito dalla Corte. In questo caso, il motivo è stato ritenuto inammissibile perché, invece di contestare l’errata applicazione di una norma di diritto, si limitava a criticare la valutazione dei fatti e delle prove fatta dal giudice d’appello, un’attività che non spetta alla Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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