Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33375 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33375 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11256/2021 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COMUNE DI CASTIGLIONE DI SICILIA, elettivamente domiciliato in Messina INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME
(SGLCCT60A22A028P), RUSSO LILIANA (RSSLLN63S65C297S)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 2029/2020 depositata il 24/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE a responsabilità limitata in Amministrazione straordinaria (d’ora in avanti RAGIONE_SOCIALE , in proprio e quale capogruppo con RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME, ha convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Catania il Comune di Castiglione di Sicilia per sentirlo condannare, previa declaratoria dell’inadempimento del convenuto al contratto di appalto di opera pubblica stipulato in data 30 dicembre 1991, avente ad oggetto la costruzione della strada intercomunale esterna di Costa, al pagamento delle spettanze discendenti dalle sei riserve iscritte, pari a complessivi € 24.153.163,36, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi, limitatamente alla propria quota di partecipazione nell’appalto.
Il Tribunale di Catania, espletata la consulenza tecnica d’ufficio, in parziale accoglimento della domanda, ha condannato il Comune al pagamento della somma di € 4.585.181,46 oltre accessori.
Per quanto ancora rileva, la Corte d’Appello di Catania, con sentenza n. 2029/2020, depositata il 24.11.2020, in accoglimento dell’appello del Comune, ha rigettato la domanda della RAGIONE_SOCIALE
Il giudice di secondo grado ha evidenziato che, erroneamente, il primo giudice aveva ritenuto che l’efficacia della rinuncia alle riserve, sottoscritta dall’appaltatore con l’atto di sottomissione del 1 aprile 2003, fosse condizionata all’effettiva ripresa dei lavori ‘con la conseguenza che, non essendo stati i lavori ripresi, la stessa non può ritenersi valida’.
In particolare, ha osservato la Corte d’Appello che l’utilizzo della frase ‘ in relazione alla fissazione di detto nuovo termine non può condurre a ritenere stabilita una condizione ‘e ciò per diversi ordini di ragioni: in primo luogo, il nuovo termine altro non era che quello di 24 mesi dalla ripresa dei lavori, per la quale non era stabilito alcun termine; inoltre, l’interpretazione letterale dell’espressione esclude la ricorrenza di qualunque condizione, e porta a ritenere sussistente la rinuncia per il sol fatto della fissazione del nuovo termine di 24 mesi all’evidenza ritenuto sufficiente all’appaltatrice per il completamento delle opere, dovendosi rilevare che siffatta rinuncia giungeva dopo ben undici giorni dall’inizio dei lavori, e dopo sette anni dall’ultima sospensione, tal che ben altre espressioni avrebbe dovuto utilizzare l’impresa ove avesse voluto porre condizioni alla propria rinuncia, la quale copriva, per come esplicitato, tutte le riserve e le riprese….’.
Il giudice d’appello ha, inoltre, aggiunto che la RAGIONE_SOCIALE dopo aver sottoscritto l’atto di sottomissione nell’aprile 2003, un anno e mezzo dopo, e precisamente il 10 settembre 2004, si era sciolta dal contratto ai sensi dell’art. 50 d.lgs n. 270/99, rendendo di fatto impossibile (per volontà propria) la ripresa dei lavori, che vennero, infatti, ripresi nel 2005 e completati da altra impresa.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE affidandolo ad un unico articolato motivo. Il Comune di Castiglione di Sicilia ha resistito in giudizio con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
E’ stata dedotta la violazione dell’art. 1362, 1363, 1366, 1369 e 1359 c.c…
Espone la ricorrente che la Corte d’Appello è incorsa nelle predette violazioni di legge nell’escludere che la rinuncia alle riserve fosse sospensivamente condizionata all’effettiva ripresa dei lavori, e nel ritenere che tale rinuncia fosse pienamente valida ed efficace in quanto prestata a fronte della mera concessione del nuovo termine di ultimazione dei lavori nello stesso atto di sottomissione.
La ricorrente lamenta che la Corte d’Appello ha ritenuto l’efficacia della sospensione sulla base della sola ‘interpretazione letterale dell’espressione’, non considerando che questa Corte ha più volte affermato che il carattere prioritario dell’elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo all’art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l’indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici, e di effettuare l’esame complessivo delle diverse clausole.
Ad avviso della ricorrente, in ragione dello stretto ed intimo collegamento sussistente tra la fissazione del termine di ultimazione dei lavori e la sua decorrenza, enfatizzato nella dichiarazione negoziale attraverso la locuzione ‘effettiva ripresa dei lavori’, è evidente che la rinuncia non possa intendersi prestata a fronte della semplice fissazione di un nuovo termine di consegna dei lavori, bensì a fronte della ripresa dei lavori.
La ricorrente deduce che l’interpretazione della Corte d’appello è contraria a buona fede, in quanto non si comprenderebbe la ragione per la quale l’impresa avrebbe dovuto rinunciare alle riserve iscritte a fronte della solla fissazione di un nuovo termine di consegna dei lavori, e senza garantirsi che la ripresa dei lavori avesse inizio.
Infine, la ricorrente deduce che la Corte territoriale, nella parte in cui ha affermato che la ripresa dei lavori non avvenne per causa imputabile alla RAGIONE_SOCIALE è incorsa nella violazione dell’art. 1359 cod. civ., sia perché la l’art. 1359 non può trovare applicazione nell’ipotesi come nel caso di specie – di condizione bilaterale, sia perché l’art. 1359 c.c. richiede la condotta dolosa o colposa del soggetto avete un interesse contrario all’avveramento.
Il ricorso è inammissibile.
E’ orientamento consolidato di questa Corte (cfr. Cass. n. 9461/2021; Cass. n. 16987/2018; Cass. n. 10554/2010, Cass. n. 22102/2009) quello secondo cui l’interpretazione di un atto negoziale è un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell'”iter” logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’ inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa.
Nel caso di specie, la ricorrente si è limitata ad indicare i canoni ermeneutici, a suo dire, violati dalla Corte, ma senza precisare esattamente in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato, finendo per prospettare una interpretazione diversa ed alternativa del testo dell’atto di sottomissione di cui è causa, in cui è contenuta la rinuncia alle
riserve ‘in relazione alla fissazione di detto nuovo termine’. Significativo è che la ricorrente, dopo aver evidenziato lo stretto ed intimo collegamento sussistente tra la fissazione del termine di ultimazione dei lavori e la sua decorrenza, per arrivare ad affermare che la rinuncia alle riserve fosse condizionata alla effettiva ripresa dei lavori ha dovuto ricorrere, con un salto logico, alle apodittiche espressioni ‘.. e’ evidente che la rinuncia, letta nel suo complesso, non possa intendersi prestata a fronte della fissazione del nuovo termine di consegna dei lavori’ (pag. 9 del ricorso); ‘…. appare piuttosto evidente che lo scopo pratico perseguito dalle parti fosse quello di mettere un punto a tale annosa vicenda…..’ (pag. 11 del ricorso).
Nessuna considerazione è stata svolta dalla ricorrente in ordine alle modalità con cui sarebbe avvenuta la violazione, da parte della Corte di merito, dei criteri di interpretazione sistematica e secondo buona fede, se non ricorrendo ad affermazioni come ‘….non si comprenderebbe, infatti ….’ (pag. 11 del ricorso), da cui non emerge di certo la dedotta violazione, essendo solo esemplificative di una diversa prospettazione della lettura del testo dell’atto di sottomissione.
Infine, non vi è dubbio che la Corte d’Appello, nel sostenere che la ricorrente aveva reso di fatto impossibile per volontà propria la ripresa dei lavori, non abbia fatto altro che esporre una seconda ratio decidendi , sostanzialmente affermando che, anche ove si ritenesse che la rinuncia fosse stata condizionata alla ripresa effettiva dei lavori, tale condizione sarebbe comunque stata realizzata, non essendovi avverata per causa imputabile alla RAGIONE_SOCIALE
Orbene, in proposito, è orientamento consolidato di questa Corte che qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza
delle censure mosse ad una delle ” rationes decidendi ” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (vedi Cass. n. 11493 del 11/05/2018).
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 35.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 7.11.2024