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Rinuncia alle riserve: quando è incondizionata?

Una società cooperativa di costruzioni ha rinunciato alle proprie riserve in un appalto pubblico in cambio della fissazione di un nuovo termine per i lavori. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione di merito che riteneva tale rinuncia alle riserve incondizionata e definitiva, dichiarando inammissibile il ricorso dell’impresa. L’ordinanza chiarisce i limiti dell’interpretazione contrattuale in sede di legittimità e le conseguenze della presenza di una doppia motivazione nella sentenza impugnata.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia alle riserve: quando un accordo è tombale?

La rinuncia alle riserve in un contratto di appalto pubblico rappresenta un momento cruciale che può definire il destino di ingenti pretese economiche. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ha ribadito principi fondamentali sull’interpretazione di tali accordi, chiarendo quando una rinuncia debba considerarsi definitiva e non condizionata. Il caso analizzato offre spunti essenziali per imprese e stazioni appaltanti sulla redazione e l’interpretazione delle clausole contrattuali.

I Fatti di Causa

Una società cooperativa di costruzioni, impegnata nella realizzazione di una strada intercomunale per conto di un Comune, aveva iscritto sei riserve per un valore complessivo di oltre 24 milioni di euro. A seguito di una lunga sospensione dei lavori, le parti stipulavano un atto di sottomissione. In questo accordo, l’impresa accettava di rinunciare a tutte le riserve iscritte “in relazione alla fissazione di detto nuovo termine” di 24 mesi per il completamento delle opere.

Tuttavia, i lavori non ripresero mai sotto la gestione della cooperativa, la quale, circa un anno e mezzo dopo, si sciolse dal contratto. I lavori furono successivamente completati da un’altra impresa.

Il Tribunale di primo grado aveva dato parzialmente ragione alla cooperativa, ritenendo la rinuncia condizionata all’effettiva ripresa dei lavori. La Corte d’Appello, invece, ribaltò la decisione, giudicando la rinuncia incondizionata e pienamente efficace, legata unicamente alla concessione del nuovo termine e non alla sua concreta attuazione. Inoltre, la Corte aggiunse che, se anche vi fosse stata una condizione, il suo mancato avveramento sarebbe stato imputabile alla stessa cooperativa, che si era ritirata dal contratto.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso della società inammissibile. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi: i limiti del sindacato di legittimità sull’interpretazione del contratto e le conseguenze processuali di una sentenza basata su una doppia e autonoma motivazione.

Le Motivazioni: la corretta interpretazione della rinuncia alle riserve

La Cassazione ha chiarito che l’interpretazione di un atto negoziale è un accertamento di fatto riservato al giudice di merito. Per contestare tale interpretazione in sede di legittimità, non è sufficiente proporre una lettura alternativa della clausola, ma è necessario dimostrare che il giudice di merito abbia violato le specifiche norme legali di ermeneutica contrattuale (artt. 1362 e ss. c.c.). Nel caso di specie, la cooperativa si era limitata a sostenere che la propria interpretazione fosse più logica, senza specificare come la Corte d’Appello avesse concretamente violato i canoni interpretativi. Di conseguenza, il motivo di ricorso è stato considerato una richiesta di riesame del merito, inammissibile in Cassazione.

Le Motivazioni: la pluralità di ‘rationes decidendi’

Un punto cruciale della decisione riguarda la struttura della sentenza d’appello. Essa si basava su due distinte rationes decidendi (ragioni della decisione), ognuna sufficiente a giustificare il rigetto della domanda della cooperativa:
1. La rinuncia alle riserve era incondizionata, basata sulla sola concessione del nuovo termine.
2. In ogni caso, anche se fosse stata condizionata, il mancato avveramento della condizione (la ripresa dei lavori) era colpa della cooperativa stessa.

La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: quando una decisione è sorretta da più motivazioni autonome, il ricorso deve censurarle tutte validamente. Se anche una sola di esse resiste alla critica, essa è sufficiente a mantenere in piedi la decisione, rendendo inammissibili per difetto di interesse le censure rivolte alle altre.

Conclusioni

Questa ordinanza offre due importanti lezioni pratiche. Primo, la formulazione delle clausole di rinuncia alle riserve deve essere estremamente chiara e inequivocabile. Se le parti intendono subordinare l’efficacia della rinuncia a un evento futuro e incerto (come l’effettiva ripresa dei lavori), devono esplicitarlo come una vera e propria condizione sospensiva. In assenza di ciò, frasi come “in relazione a” possono essere interpretate come un semplice collegamento logico e non come una condizione giuridica. Secondo, dal punto di vista processuale, viene confermata la necessità di strutturare il ricorso per cassazione in modo rigoroso, dimostrando una reale violazione di legge e non tentando semplicemente di ottenere una nuova valutazione dei fatti. Infine, la strategia processuale deve tenere conto della presenza di multiple rationes decidendi, attaccandole tutte con argomenti solidi per evitare una declaratoria di inammissibilità.

Una rinuncia alle riserve, formalizzata “in relazione alla fissazione di un nuovo termine”, è condizionata alla ripresa effettiva dei lavori?
No. Secondo l’interpretazione della Corte d’Appello, confermata in sede di legittimità, tale espressione non integra una condizione sospensiva. La rinuncia è considerata valida ed efficace per il solo fatto che un nuovo termine è stato concesso, indipendentemente dalla successiva e concreta ripresa delle opere.

È possibile contestare in Cassazione l’interpretazione di una clausola contrattuale data da un giudice di merito?
Sì, ma solo a condizioni molto precise. Non è sufficiente proporre una propria interpretazione, anche se plausibile. È necessario dimostrare che il giudice di merito abbia violato specifici canoni legali di ermeneutica contrattuale (artt. 1362 e ss. c.c.), spiegando in che modo sia avvenuta la violazione. Altrimenti, il ricorso viene considerato un tentativo inammissibile di riesaminare il merito della causa.

Cosa accade se una sentenza si basa su due motivazioni autonome e il ricorso ne contesta validamente solo una?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile per difetto di interesse. Se una delle motivazioni (ratio decidendi) è sufficiente da sola a sorreggere la decisione e non viene efficacemente contestata, la sentenza diventa definitiva. Di conseguenza, l’esame delle critiche mosse all’altra motivazione diventa superfluo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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