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Rinuncia all’azione: chi paga le spese legali?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27697/2025, ha stabilito un principio fondamentale in materia di spese processuali. Nel caso di una rinuncia all’azione, che equivale a un rigetto nel merito della domanda, il giudice non ha il potere di compensare le spese. La parte che rinuncia è tenuta a rimborsare integralmente le spese legali alla controparte. Questa decisione chiarisce che la rinuncia all’azione ha conseguenze legali diverse e più nette rispetto alla semplice rinuncia agli atti del giudizio.

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Rinuncia all’Azione e Spese Legali: La Cassazione Stabilisce un Principio Chiaro

Quando si avvia una causa legale, è fondamentale conoscerne ogni aspetto, comprese le conseguenze di una sua eventuale interruzione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fatto luce su un punto cruciale: le implicazioni della rinuncia all’azione sulla condanna alle spese processuali. Questa decisione stabilisce una regola netta: chi rinuncia alla propria pretesa in modo definitivo, paga le spese legali della controparte, senza che il giudice possa disporre la compensazione.

I Fatti del Caso: Un Complesso Contenzioso Edilizio

La vicenda nasce da una richiesta di risarcimento danni avanzata dal proprietario di un immobile nei confronti del vicino, a causa di lavori effettuati nell’appartamento di quest’ultimo. Il vicino convenuto, a sua volta, ha chiamato in causa le imprese edili e il direttore dei lavori per essere tenuto indenne da eventuali condanne (la cosiddetta chiamata in manleva).

Inizialmente, il proprietario danneggiato aveva esteso la propria domanda di risarcimento ad alcune delle imprese chiamate in causa. Tuttavia, nel corso del giudizio di primo grado, ha esplicitamente rinunciato a tali domande. Nonostante ciò, i giudici di primo e secondo grado avevano deciso di compensare integralmente le spese processuali tra il proprietario e le imprese contro cui era avvenuta la rinuncia, motivando tale scelta con l’incertezza, emersa dalla consulenza tecnica, nell’individuare l’esatto responsabile dei danni.

Le imprese e i professionisti, ritenendo ingiusta la compensazione a fronte di una rinuncia esplicita, hanno presentato ricorso in Cassazione.

La questione della rinuncia all’azione nei vari gradi di giudizio

Il punto centrale del ricorso verteva proprio sulla natura e gli effetti della rinuncia all’azione. I ricorrenti hanno sostenuto che, una volta che l’attore aveva rinunciato alle sue pretese, non vi era più spazio per una valutazione discrezionale del giudice sulle spese. La rinuncia, secondo la loro tesi, equivale a un rigetto della domanda e, di conseguenza, la parte che ha rinunciato deve essere considerata soccombente e condannata al pagamento delle spese.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. I giudici hanno chiarito la distinzione fondamentale tra “rinuncia agli atti del giudizio” e “rinuncia all’azione”.

La prima è un atto processuale che estingue il processo ma non il diritto sottostante, che potrebbe essere riproposto in un nuovo giudizio. Essa richiede l’accettazione della controparte.

La rinuncia all’azione, invece, è un atto di disposizione del diritto stesso. Con essa, la parte abbandona definitivamente la propria pretesa sostanziale. Questo atto non necessita dell’accettazione della controparte e produce effetti equivalenti a una sentenza di rigetto nel merito.

Partendo da questo presupposto, la Corte ha affermato che, in una situazione di rinuncia all’azione, si applica la regola generale dell’articolo 91 del codice di procedura civile, secondo cui il soccombente paga le spese. La rinuncia stessa qualifica il rinunciante come parte soccombente.

Di conseguenza, viene meno qualsiasi potere discrezionale del giudice di disporre la compensazione delle spese, anche parziale. La Corte ha richiamato un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la rinuncia all’azione comporta l’obbligo per il rinunciante di rimborsare le spese alle altre parti, senza alcuna eccezione.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione ha cassato la sentenza d’appello nella parte relativa alla regolamentazione delle spese, rinviando la causa a una diversa sezione della Corte d’Appello. Quest’ultima dovrà ora decidere nuovamente sulla questione, attenendosi al principio di diritto enunciato: la parte che ha beneficiato della rinuncia all’azione ha diritto al rimborso integrale delle spese legali sostenute. Questa pronuncia rafforza la certezza del diritto e ricorda agli operatori legali e alle parti in causa che le scelte processuali, come la rinuncia a una domanda, hanno conseguenze economiche precise e non derogabili.

Cosa significa ‘rinuncia all’azione’ e che differenza c’è con la ‘rinuncia agli atti’?
La ‘rinuncia all’azione’, come chiarito dalla sentenza, è l’abbandono definitivo del diritto di far valere una pretesa in giudizio. Equivale a un rigetto nel merito e non richiede l’accettazione della controparte. La ‘rinuncia agli atti del giudizio’, invece, estingue solo il processo in corso, ma non il diritto, che potrebbe essere esercitato in un nuovo giudizio; per essere efficace, richiede l’accettazione delle altre parti costituite.

In caso di rinuncia all’azione, chi deve pagare le spese processuali?
Secondo la Corte di Cassazione, la parte che effettua la rinuncia all’azione è considerata soccombente e deve, pertanto, rimborsare integralmente le spese processuali sostenute dalla controparte. Questo principio è applicato in modo rigoroso.

Il giudice può decidere di compensare le spese legali se una parte rinuncia all’azione?
No. La sentenza stabilisce che, in caso di rinuncia all’azione, il giudice non ha alcun potere discrezionale di disporre la compensazione, né totale né parziale, delle spese di lite. La condanna del rinunciante al pagamento delle spese è una conseguenza automatica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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