Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30378 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30378 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5646/2022 R.G. proposto da :
FALLIMENTO RAGUSO RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè contro
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TARANTO n. 414/2021 depositata il 09/12/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Il ricorso riguarda la sentenza con cui la Corte d’Appello di Lecce sez. distaccata di Taranto ha confermato la sentenza del Tribunale di Taranto che aveva revocato il decreto ingiuntivo con cui RAGIONE_SOCIALE – quale procuratrice del RAGIONE_SOCIALE – aveva chiesto il pagamento del credito vantato verso la società RAGIONE_SOCIALE a quest’ultima e ai suoi fideiussori NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Gli ingiunti avevano proposto opposizione all’ingiunzione, eccependo la nullità di diverse pattuizioni relative ai contratti fonte della pretesa creditoria, e chiedendo, in via riconvenzionale, la condanna al pagamento in favore della società della somma di 120.000 € a titolo di ripetizione di indebito oltre al risarcimento danni. Nelle more dell’istruttoria – dopo il deposito della CTU – il giudizio veniva interrotto per intervenuto fallimento della società. Nel giudizio riassunto dai fideiussori si costituivano RAGIONE_SOCIALE e la curatela fallimentare, la quale non formulava alcuna domanda ma sottolineava l’improcedibilità di quelle formulate in sede monitoria dalla banca peraltro riproposte nella fisiologica sede dell’insinuazione al passivo del fallimento.
Il Tribunale, all’esito del giudizio, revocava il decreto ingiuntivo e dichiarava non luogo a provvedere sulla domanda riconvenzionale di restituzione dell’indebito riproposta, all’esito della CTU, dalla curatela del fallimento della società debitrice con la comparsa
conclusionale, ritenendola una indebita mutatio libelli in quanto non coltivata con la comparsa di costituzione nel giudizio riassunto.
2.Contro detta sentenza ha proposto impugnazione il RAGIONE_SOCIALE onde ottenere, in riforma della stessa, la condanna di RAGIONE_SOCIALE e, per esso, della sua mandante, al pagamento della somma pretesa a titolo di indebito, rispetto alla quale – nel subentrare nella posizione sostanziale e processuale della società fallita – non avrebbe espresso alcuna rinuncia, né implicita né esplicita, essendosi costituito « al fine di fare proprie le originarie istanz e».
La Corte d’Appello ha ritenuto:
(a) che costituendosi nel giudizio riassunto dai due fideiussori, la curatela non aveva dichiarato di « far proprie le originarie istanze » bensì testualmente aveva dedotto: « Con il presente atto vista la riassunzione operata la curatela si costituisce in giudizio. Lungi Dall’essere inerte, secondo quanto indebitamente indicato dalle parti in riassunzione, la procedura concorsuale ha ritenuto di non riassumere il giudizio in quanto le domande sottese al provvedimento monitorio risultano in questa sede inammissibili laddove dovessero essere ulteriormente coltivate dalla banca opposta che, per inciso, è stata ammessa al passivo fallimentare in misura ridotta e coincidente con risultanze dell’elaborato peritale del CTU. Lo scopo della Costituzione e perciò limitato a contrastare eventuali domande inammissibili e ad effettuare valutazioni creditorie che dovessero emergere a seguito di rilievi di tassi usurari»; sicché, al più, poteva individuarsi nell’atto di costituzione, quanto al petitum, esclusivamente un’eccezione sull’inammissibilità della domanda di pagamento della banca nei confronti della curatela, ancorata presumibilmente – in quanto non esplicitamente motivata – all’inopponibilità del decreto ingiuntivo al fallimento in regione della par condicio creditorum nell’ambito della procedura concorsuale; tanto più che per il resto la curatela aveva
espressamente aggiunto di assumere una posizione di attesa in ragione dell’evolversi del giudizio in relazione a « valutazioni creditorie »;
(b) che, fermo il fatto che il curatore fallimentare subentra nella posizione patrimoniale del fallito ed anche, eventualmente, nella sua posizione processuale, e che la riassunzione non dà vita ad un nuovo processo ma alla prosecuzione di quello interrotto – onde dalla mancata costituzione della parte nel processo riassunto non consegue che le domande già proposte con l’atto di citazione o in via riconvenzionale possono ritenersi rinunciate o abbandonate, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità – tuttavia, con la comparsa di costituzione, nella specie, la curatela « aveva espresso la volontà di soprassedere alla domanda di pagamento dell’indebito in ragione di future valutazioni, relative ad eventuali crediti accertati dalla società fallita nei confronti della banca così, in concreto, abbandonando definitivamente l’azione di restituzione di indebito, giacché non è consentito proporre una domanda, abbandonarla in sede di costituzione nel processo riassunto e poi riattivarla in sede di precisazione delle conclusioni »; concludeva, perciò, « che nella comparsa di costituzione non solo manca la richiesta di pagamento, che non è stata effettuata nemmeno richiamando le domande formulate dalla società fallita in bonis, ivi compresa quella di revoca del decreto ingiuntivo , ma con la stessa viene dichiarato di voler soprassedere rispetto all’azione recuperatoria …al fine di evitare in caso di ‘valutazioni creditorie’ negative la condanna alle spese» ;
(c) né il fatto che nell’istanza al G.D. di autorizzazione a costituirsi in giudizio fosse indicata, quale ragione della costituzione, la conferma della domanda di pagamento, poteva ritenersi rilevante se la curatela, poi, costituendosi in giudizio, aveva sostanzialmente dichiarato di abbandonare la relativa domanda;
(d) che tale abbandono della domanda « si configura come una rinunzia all’azione che, in quanto tale, non necessita per la sua immediata efficacia, di accettazione della controparte » né di forme sacramentali potendo essere anche implicitamente dedotto dall’univoco comportamento della parte – oggetto di accertamento demandato al giudice di merito in quanto valutazione di fatto determinando il venir meno del potere-dovere del giudice di pronunciare; inoltre tale abbandono – quale espressione della facoltà di modificare le domande e le conclusioni – rientrava tra i poteri del difensore, essendo espressione della discrezionalità tecnica che lo abilita a scegliere la condotta processuale più rispondente agli interessi del suo assistito; pertanto correttamente il giudice di primo grado aveva dichiarato il non luogo a provvedere sulla stessa.
-Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, affidandolo ad un solo motivo. Ha resistito RAGIONE_SOCIALE in qualità di cessionaria dei crediti precedentemente vantati nei confronti della società fallita e dei relativi garanti da parte di RAGIONE_SOCIALE ora Intesa Sanpaolo RAGIONE_SOCIALE Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 83, 99, 110, 112, 115, 121, 300, 303 e 306, c.p.c., nonché degli artt. 31, 35, 41, 42, 43 del R.D. 16.03.1942, n. 267 (L. F.), in relazione all’art. 360, 1° comma, nn. 3 e 5 c.p.c. in quanto, sintetizza il ricorrente:
(i) il Curatore fallimentare non ha la potestà di « rinunciare » ai diritti del fallito in assenza dell’integrazione dei suoi poteri (altrimenti inesistenti) ai sensi degli artt. 35 e/o 42 quarto comma L.F.;
(ii) il difensore, a norma dell’art. 83 c.p.c., non ha la potestà di rinunciare integralmente alla domanda, in assenza di un mandato « sostanziale », non potendo disporre del diritto della parte assistita (rappresentata da una curatela fallimentare, a sua volta priva del potere di disporre del diritto in questione);
(iii) dopo la riassunzione della causa, la parte non deve necessariamente « far proprie » o « riproporre » formalmente le conclusioni precedentemente già rassegnate a pena di « rinuncia implicita » alle stesse.
Secondo il RAGIONE_SOCIALE ricorrente la Corte territoriale « ha fatto discendere la sua opinione non da un atto del curatore fallimentare, ma dalla comparsa di costituzione in giudizio depositata dal difensore » laddove il curatore aveva «conferito la mera procura ad litem ma non avrebbe avuto il potere di rinunciare alla lite promossa dal fallito, né mai aveva espresso una simile intenzione », perché nella volontà di « soprassedere » non poteva ravvisarsi una rinuncia, ma una volontà di attesa volta a valutare l’evolversi del giudizio; sicché chiedendo l’accoglimento della domanda in origine formulata dalla società fallita in sede di precisazione delle conclusioni non sarebbe incorsa in alcuna mutatio libelli come opinato dalla Corte d’Appello.
1.1- Con detto motivo, dunque, il ricorrente censura la sentenza gravata sotto due profili: da una lato per aver ritenuto che vi fosse una rinunzia implicita alla domanda laddove, invece, la curatela non aveva inteso rinunciare alla stessa ma « riservare al prosieguo ogni più precisa valutazione in ordine alle posizioni creditorie già vantate dalla società fallita », tanto che una volta che dette posizioni creditorie erano emerse, all’esito dell’integrazione della CTU, la banca nel giudizio di primo grado aveva tentato una transazione che non aveva avuto esito positivo; dall’altro per aver ravvisato una rinuncia all’intera pretesa formulata dall’attrice in bonis in assenza di un mandato ad hoc da parte del curatore, il
quale aveva conferito una mera procura ad litem in cui non era compreso il potere di rinunciare alla lite promossa dal fallito in difetto dell’autorizzazione del giudice delegato e dell’autorizzazione del comitato dei creditori previsto dall’articolo 35 l.f.
1.2L’esame del motivo merita di essere preceduto da una ricognizione dei principi affermati in materia dalla giurisprudenza di legittimità.
1.3Quanto alle conseguenze dell’interruzione sono consolidati i principi per cui alla stregua del collegamento della disposizione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 303 cod. proc. civ. con quella di portata generale dell’art. 125 disp. att. cod. proc. civ., dopo l’interruzione del processo, la parte destinataria dell’atto di riassunzione ha l’onere di rinnovare la costituzione pena la dichiarazione di contumacia (Cass. n. 12638/1991; Cass. n. 12191/1998; Cass. n. 26372/2014), ma a ciò non consegue che le domande dalla stessa parte proposte con l’atto di citazione o in via riconvenzionale debbano ritenersi rinunciate o abbandonate, in quanto tali domande sono relative ad un giudizio che prosegue nella nuova fase, dotata di tutti gli effetti processuali e sostanziali dell’originario rapporto (v. Cass. 3963/1998; Cass. n. 24331/2008); peraltro è stato anche precisato (Cass. n. 10445/2019) che la previsione di cui all’art. 303, comma quarto, c.p.c., attiene alla c.d. riassunzione modificativa, nel caso in cui parte del processo diventa un soggetto diverso da quello originario (come è nella specie), onde è doveroso che questi si costituisca depositando una comparsa ai sensi dell’art. 167 c.p.c., pena la dichiarazione di contumacia; mentre nel caso di riassunzione non modificativa, ove resta invariato il soggetto del rapporto processuale – come accade nell’ipotesi in cui l’evento interruttivo abbia colpito una parte diversa da quella che, dopo la notifica dell’atto di riassunzione, ometta di « costituirsi » – la parte non colpita dall’evento interruttivo, secondo dottrina e giurisprudenza
concordi, non ha l’onere di costituirsi ex novo , per la semplice ragione che l’interruzione del processo non ha fatto venir meno né la sua capacità di stare in giudizio né la legittimazione del suo difensore, né gli effetti delle domande proposte o delle eccezioni sollevate (Cass. n. 10445/2019 cit.).
1.4- Nella specie la parte nei cui confronti si era verificato l’evento interruttivo, destinataria della riassunzione, si è costituita puntualizzando che non era rimasta inerte rispetto alla riassunzione ma, a fronte dell’altrui iniziativa aveva interesse a contrastare eventuali domande inammissibili che la banca avesse riproposto ed a valutare nel prosieguo l’evoluzione del processo con riguardo a quelle « posizioni creditorie » che erano già oggetto del processo per effetto dell’iniziativa della società in bonis .
1.5- Con riguardo alla possibilità di ravvisare in questa posizione processuale una rinuncia « alla domanda » o una rinuncia « all’azione » – ovvero all’intera pretesa dall’attore nei confronti del convenuto – e alla questione dell’efficacia di tale rinuncia, va ricordato che:
(a) la rinuncia alla domanda o ai suoi singoli capi, qualora si atteggi come espressione della facoltà della parte di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate, rientra fra i poteri del difensore (che in tal modo esercita la discrezionalità tecnica che gli compete nell’impostazione della lite e che lo abilita a scegliere, anche in relazione agli sviluppi della causa, la condotta processuale da lui ritenuta più rispondente agli interessi del proprio rappresentato); essa si distingue sia dalla rinunzia agli atti del giudizio, che può essere fatta solo dalla parte personalmente o da un suo procuratore speciale nelle forme rigorose previste dall’art. 306 c.p.c. e non produce effetto senza l’accettazione della controparte, sia dalla disposizione negoziale del diritto in contesa, che a sua volta costituisce esercizio di un potere sostanziale spettante come tale alla parte personalmente o al suo procuratore
munito di mandato speciale, siccome diretto a determinare la perdita o la riduzione del diritto stesso (v. Cass. n. 28146/2013 conforme a Cass. n. 1439/2002; Cass. n. 140/2002; Cass. n. 2572/1998, e successivamente a Cass.n. 4837/2019; Cass. n. 13636/2024);
(b) la rinuncia « all’azione » – intesa come rinuncia all’intera pretesa azionata dall’attore nei confronti del convenuto -costituisce un atto di disposizione del diritto in contesa e richiede in capo al difensore, un mandato ad hoc , senza che sia a tal fine sufficiente il mandato ad litem , in ciò differenziandosi dalla rinuncia ad una parte dell’originaria domanda, che rientra fra i poteri del difensore, in quanto espressione della facoltà di modificare le domande e le conclusioni precedentemente formulate (v. da ultimo Cass. n.13636/2024, conforme a Cass. n. 19845/2019; Cass. n.4837/2019; Cass. n.28146 del 17/12/2013; Cass. n.1439/2002; Cass. n.3734/1998; Cass. n.2572/1998).
(c) per potersi configurare rinunzia all’azione non sono richieste formule sacramentali, poiché detta rinuncia può essere anche tacita e va riconosciuta quando vi sia incompatibilità assoluta tra il comportamento dell’attore e la volontà di proseguire nella domanda proposta, occorrendo il riconoscimento dell’infondatezza dell’azione, accompagnato dalla dichiarazione di non voler insistere nella medesima; « solo a queste condizioni la rinuncia all’azione determina, indipendentemente dall’accettazione della controparte – che è richiesta, invece, per la diversa ipotesi della rinuncia agli atti del giudizio – l’estinzione dell’azione e la cessazione della materia del contendere, la quale va dichiarata, anche d’ufficio, in ogni caso in cui risulti acquisito agli atti del giudizio che non sussiste più contestazione tra le parti sul diritto sostanziale dedotto e che conseguentemente non vi è più la necessità di affermare la volontà della legge nel caso concreto» (cfr. Cass. 19845/2019
conforme a Cass. n.1442/1981; Cass. n.2267/1990; Cass. n.4505/2001; Cass. n.12844/2003);
1.6- Venendo al caso di specie si osserva, anzitutto, che la Corte di Appello ha errato nel ritenere rinunciata la domanda proposta dalla società in bonis per effetto della costituzione della curatela del fallimento nel giudizio riassunto dai fideiussori, in quanto in detto atto di costituzione la curatela, nell’affermare che « Lo scopo della costituzione è, perciò, limitato a contrastare eventuali domande inammissibili e ad effettuare valutazioni creditorie che dovessero emergere a seguito di rilievi di tassi usurari», non aveva espresso affatto, tantomeno inequivocamente, la volontà di rinuncia alla predetta domanda di restituzione di quanto in tesi indebitamente pagato alla banca per effetto dei illecite pattuizioni contenute nei contratti inter partes , bensì la volontà di effettuare le proprie valutazioni (« effettuare valutazioni creditorie che dovessero emergere a seguito di rilievi di tassi usurari ) all’esito della definizione delle posizioni creditorie quali fossero emerse in conseguenza dello sviluppo del quadro istruttorio, con una formulazione che, dunque, certamente non poteva essere considerata incompatibile con la volontà di proseguire nella domanda proposta.
Peraltro anche a voler seguire l’interpretazione del comportamento processuale della parte che ne hanno dato i giudici di merito – ovvero che in siffatta costituzione si potesse ravvisare una rinuncia totale alla domanda, e quindi all’azione, come la stessa Corte d’Appello afferma (v. pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata) -non avrebbe potuto comunque concludere che correttamente il giudice di primo grado aveva pronunciato il « non luogo a provvedere » sulla domanda poi riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, perché una siffatta rinuncia, in quanto interessante l’intera pretesa della parte, avrebbe dovuto essere formulata dal procuratore munito di apposita procura, non
essendo sufficiente il potere dispositivo del difensore, sicché ai fini del vaglio della sua efficacia la Corte territoriale – e, prima, il Tribunale – avrebbe dovuto verificare se questi fosse munito di specifica autorizzazione della parte.
2.- Pertanto il motivo è fondato ed il ricorso va accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’Appello di Lecce sez. distaccata di Taranto in diversa composizione, cui va demandato anche di provvedere sulle spese del grado di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce sez. distaccata di Taranto, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13.11.2024.