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Rinuncia al ricorso: no al raddoppio del contributo

Una società per azioni, dopo aver impugnato in Cassazione il rigetto della sua proposta di accordo di ristrutturazione, ha presentato una rinuncia al ricorso. La Suprema Corte ha dichiarato estinto il processo, compensando le spese legali per la novità della questione. Fondamentale la precisazione che in caso di rinuncia al ricorso, non è dovuto il raddoppio del contributo unificato, in quanto tale sanzione si applica solo in caso di esito negativo dell’impugnazione (rigetto, inammissibilità o improcedibilità) e non può essere estesa per analogia.

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Rinuncia al ricorso: quando non si applica il raddoppio del contributo unificato

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un’importante chiarificazione sugli effetti della rinuncia al ricorso per cassazione, in particolare riguardo all’obbligo di versamento del doppio del contributo unificato. La vicenda, nata da una controversia su un accordo di ristrutturazione aziendale, si è conclusa con un principio procedurale di grande rilevanza pratica per avvocati e imprese.

I Fatti del Processo

Il caso ha origine dalla richiesta di una società per azioni di ottenere l’omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti. L’accordo includeva una proposta di transazione fiscale che, tuttavia, non era stata accettata dall’Amministrazione Finanziaria.

Il Tribunale, in prima istanza, aveva rigettato il ricorso della società. La decisione era stata poi confermata anche dalla Corte d’appello. Di fronte a questo doppio rigetto, la società aveva deciso di presentare ricorso per cassazione, lamentando diversi motivi di doglianza.

La Svolta: la Rinuncia al Ricorso in Cassazione

Durante il giudizio dinanzi alla Suprema Corte, è intervenuto un fatto decisivo: i difensori della società hanno depositato un atto di rinuncia al ricorso, sottoscritto dall’amministratore unico. Questo atto ha cambiato radicalmente le sorti del processo, spostando l’attenzione dalla questione di merito (l’accordo di ristrutturazione) a quella puramente procedurale sulle conseguenze della rinuncia.

La Corte di Cassazione, preso atto della volontà della parte ricorrente, non ha potuto fare altro che dichiarare l’estinzione del giudizio.

Le Motivazioni della Decisione

La parte più interessante dell’ordinanza risiede nelle motivazioni che hanno guidato la Corte nel definire gli aspetti accessori alla dichiarazione di estinzione.

In primo luogo, la Corte ha disposto l’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti. Questa scelta è stata giustificata dalla “peculiarità della questione trattata, di assoluta novità”, riconoscendo che il merito della controversia, sebbene non deciso, presentava profili di complessità e originalità tali da non far gravare i costi su nessuna delle due parti.

In secondo luogo, e questo è il punto centrale, la Corte ha stabilito che non era dovuto il raddoppio del contributo unificato. I giudici hanno richiamato l’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115/2002. Questa norma prevede un aumento del contributo a carico della parte la cui impugnazione sia stata respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile. La Corte ha sottolineato che tale misura ha una natura eccezionale e sanzionatoria. Pertanto, deve essere interpretata in modo restrittivo e non può essere applicata a casi non espressamente previsti, come appunto la rinuncia al ricorso. La rinuncia è un atto volontario della parte che pone fine al giudizio, a differenza del rigetto o dell’inammissibilità, che rappresentano una valutazione negativa da parte del giudice. Su questo punto, la Corte ha anche richiamato precedenti conformi (Cass. 19071/2018 e Cass. 23175/2015), consolidando un orientamento ormai pacifico.

Conclusioni

La decisione in esame ribadisce un principio fondamentale in materia di spese di giustizia: le sanzioni non possono essere applicate per analogia. La scelta di una parte di rinunciare a un’impugnazione non equivale a un esito sfavorevole nel merito e, di conseguenza, non può far scattare l’obbligo del pagamento del doppio contributo unificato. Questa chiarificazione offre una maggiore certezza agli operatori del diritto e alle parti processuali, che possono valutare l’opportunità di una rinuncia senza il timore di incorrere in sanzioni economiche previste per altre tipologie di chiusura del processo.

Cosa succede a un processo se la parte che ha fatto ricorso decide di rinunciarvi?
Il processo si estingue. La Corte prende atto della volontà della parte e dichiara la fine del giudizio senza entrare nel merito della questione.

In caso di rinuncia al ricorso per cassazione, si deve pagare il doppio del contributo unificato?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il raddoppio del contributo unificato è una misura sanzionatoria che si applica solo nei casi di rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, non in caso di rinuncia volontaria.

Perché in questo caso le spese legali sono state compensate tra le parti?
La Corte ha deciso di compensare le spese a causa della “assoluta novità” della questione giuridica che era alla base del ricorso. Anche se il processo si è estinto per rinuncia, la Corte ha ritenuto che la complessità e originalità del tema giustificassero che ogni parte sostenesse i propri costi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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