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Rinuncia al ricorso: niente doppio contributo unificato

Un imprenditore ricorre in Cassazione per una lite sul valore della sua quota societaria. Durante il giudizio, le parti si accordano e avviene la rinuncia al ricorso. La Corte di Cassazione dichiara estinto il procedimento e chiarisce che, in caso di rinuncia, non si applica la sanzione del doppio contributo unificato, prevista solo per rigetto o inammissibilità.

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Pubblicato il 3 settembre 2025 in Diritto Societario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia al ricorso: la Cassazione esclude il raddoppio del contributo unificato

La rinuncia al ricorso per Cassazione rappresenta una modalità di chiusura del contenzioso che, oltre a definire la lite, comporta specifiche conseguenze sul piano delle spese processuali. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: chi rinuncia all’impugnazione non è tenuto a versare il cosiddetto “doppio contributo unificato”, una sanzione prevista per chi vede il proprio ricorso respinto. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Dalla Lite Societaria all’Accordo in Cassazione

La vicenda trae origine da una controversia di natura societaria. Un socio di una S.n.c. aveva avviato un’azione legale per ottenere l’accertamento del valore della propria quota nei confronti di un altro socio e di un terzo soggetto. Dopo una sentenza di primo grado, la questione era approdata in Corte d’Appello, che aveva respinto le richieste dell’appellante.

Non soddisfatto, quest’ultimo aveva presentato ricorso alla Corte di Cassazione. Tuttavia, nel corso del giudizio di legittimità, le parti principali raggiungevano un accordo. Con un atto formale, il ricorrente manifestava la propria rinuncia al ricorso e il controricorrente accettava tale rinuncia, concordando anche sulla compensazione delle spese legali.

La Decisione della Corte sulla Rinuncia al Ricorso e il Contributo Unificato

Preso atto dell’accordo tra le parti, la Corte di Cassazione ha dichiarato l’estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 391 del codice di procedura civile. La parte più significativa della pronuncia, però, riguarda l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115/2002. Questa norma prevede che la parte il cui ricorso è stato respinto integralmente, o dichiarato inammissibile o improcedibile, debba versare un ulteriore importo pari a quello del contributo unificato già pagato.

La Corte ha stabilito chiaramente che questa disposizione non trova applicazione nel caso di rinuncia al ricorso, poiché la misura si applica solo ai casi tipici espressamente menzionati dalla legge.

Le Motivazioni della Corte

Il ragionamento dei giudici si fonda sulla natura stessa della norma sul raddoppio del contributo. Si tratta di una misura eccezionale e, “lato sensu”, sanzionatoria, che punisce l’abuso del processo attraverso impugnazioni infondate. Proprio per questa sua natura, la norma è soggetta a stretta interpretazione.

Non è possibile, quindi, applicarla in via estensiva o analogica a situazioni non previste, come la rinuncia. La rinuncia al ricorso è un atto dispositivo delle parti che conduce all’estinzione del processo, un esito ben diverso dal rigetto o dalla declaratoria di inammissibilità, che invece presuppongono una valutazione negativa del merito o del rito da parte del giudice. La Corte, richiamando un suo precedente consolidato (Cass. n. 23175/2015), ha confermato che la volontà del legislatore è quella di sanzionare solo gli esiti negativi “imposti” dal giudice, non quelli “concordati” dalle parti.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Decisione

Questa ordinanza conferma un punto fermo di grande rilevanza pratica per avvocati e parti processuali. La rinuncia al ricorso si configura come un’uscita “sicura” dal giudizio di Cassazione, che consente di evitare il rischio di una condanna al pagamento del doppio contributo unificato. Questo principio incentiva la ricerca di soluzioni transattive anche in fase di legittimità, sapendo che l’accordo che porta alla rinuncia non comporterà oneri sanzionatori aggiuntivi. La decisione ribadisce la netta distinzione tra una sconfitta processuale, che attiva la sanzione, e una chiusura concordata del contenzioso, che invece ne è esente, premiando di fatto il comportamento collaborativo delle parti.

Cosa succede a un processo in Cassazione se le parti si accordano e il ricorrente rinuncia all’impugnazione?
Il processo si estingue. La Corte di Cassazione prende atto della rinuncia e della relativa accettazione e dichiara formalmente la fine del giudizio, come previsto dall’art. 391 del codice di procedura civile.

In caso di rinuncia al ricorso per Cassazione, si deve pagare il raddoppio del contributo unificato?
No. L’ordinanza chiarisce che l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115/2002, non si applica in caso di rinuncia. Tale norma ha natura sanzionatoria e si applica solo nei casi tassativi di rigetto, inammissibilità o improcedibilità del ricorso.

Perché il raddoppio del contributo unificato non si applica alla rinuncia al ricorso?
Perché è una misura eccezionale e con finalità sanzionatorie che, secondo la Corte, deve essere interpretata in modo restrittivo. Non può essere estesa per analogia a casi non espressamente previsti dalla legge, come la rinuncia, che è un atto volontario delle parti che pone fine alla lite.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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