Rinuncia al Ricorso in Cassazione: Conseguenze e il Caso del Contributo Unificato
La rinuncia al ricorso è un istituto fondamentale del diritto processuale che consente a una parte di abbandonare la propria impugnazione. Questa scelta, apparentemente semplice, comporta conseguenze precise, soprattutto dal punto di vista economico. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: la rinuncia non fa scattare il pagamento del cosiddetto ‘doppio contributo unificato’. Analizziamo la decisione per comprendere la sua portata pratica.
I Fatti del Caso
La vicenda ha origine dal ricorso per cassazione presentato da una cittadina straniera avverso un decreto del Tribunale di Torino. La ricorrente lamentava la violazione dell’art. 4 del Regolamento (UE) n. 604/2013 (noto come Regolamento Dublino), sostenendo che lo Stato italiano non avesse adempiuto correttamente ai suoi doveri informativi in materia di asilo.
Il Ministero dell’Interno, controparte nel giudizio, non si è costituito, rimanendo ‘intimato’. Poco prima della data fissata per la discussione del caso in camera di consiglio, la ricorrente ha depositato una dichiarazione di rinuncia al ricorso, manifestando la volontà di non voler più proseguire con l’azione legale.
La Decisione della Corte sulla Rinuncia al Ricorso
Preso atto della volontà della ricorrente, la Corte di Cassazione ha agito in conformità con quanto previsto dal codice di procedura civile. In applicazione degli articoli 390 e 391 c.p.c., i giudici hanno dichiarato l’estinzione del giudizio di legittimità. In sostanza, il processo si è concluso senza che la Corte entrasse nel merito della questione sollevata (la presunta violazione del Regolamento Dublino), ma semplicemente registrando la fine del contenzioso per volontà della parte che lo aveva avviato.
Le Motivazioni
Il punto centrale e più interessante dell’ordinanza risiede nella precisazione relativa alle spese e, in particolare, al contributo unificato. La Corte ha chiarito che, per effetto della rinuncia al ricorso, non si applica l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002.
La motivazione di questa decisione è strettamente giuridica. La norma citata prevede il raddoppio del contributo solo quando l’impugnazione è respinta integralmente, oppure dichiarata inammissibile o improcedibile. L’estinzione del giudizio per rinuncia è una fattispecie diversa, che non rientra in nessuna delle ipotesi sanzionatorie previste dal legislatore. La Corte, richiamando propri precedenti consolidati (Cass. n. 19071/2018; Cass. n. 23175/2015), ha confermato che la ratio della norma sul ‘doppio contributo’ è quella di scoraggiare le impugnazioni pretestuose o palesemente infondate. Un giudizio che si estingue per rinuncia, invece, non riceve alcuna valutazione di merito negativa, e pertanto la sanzione non può trovare applicazione.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame offre un’importante conferma a litiganti e avvocati. La scelta di rinunciare a un ricorso per cassazione, magari a seguito di una rivalutazione delle possibilità di successo o di un accordo tra le parti, non espone al rischio di dover sostenere un costo aggiuntivo a titolo sanzionatorio. Questa chiarezza è fondamentale per una gestione consapevole e strategica del contenzioso. La decisione ribadisce che le norme procedurali, specialmente quelle con carattere sanzionatorio, devono essere interpretate in modo rigoroso, senza estenderle a casi non espressamente previsti. Di conseguenza, la rinuncia al ricorso si conferma come uno strumento che chiude il processo senza conseguenze punitive per il ricorrente.
Cosa succede processualmente quando si rinuncia a un ricorso per Cassazione?
La rinuncia porta all’estinzione del giudizio. Ciò significa che il processo si conclude immediatamente, senza che la Corte emetta una decisione sul merito della questione sollevata.
Chi rinuncia al ricorso deve pagare il doppio del contributo unificato?
No. Secondo l’ordinanza, la rinuncia al ricorso che causa l’estinzione del processo non fa scattare l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
Perché la rinuncia al ricorso esclude il pagamento del doppio contributo?
Perché la legge (D.P.R. 115/2002) prevede il pagamento di tale sanzione solo in caso di rigetto, inammissibilità o improcedibilità del ricorso. L’estinzione per rinuncia è un esito diverso, non contemplato dalla norma sanzionatoria.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20082 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20082 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21926/2020 R.G. proposto da:
NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), come da procura speciale in atti.
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE DUBLINO, in persona del Ministro p.t., PROCURATORE GENERALE CORTE CASSAZIONE
-intimati-
avverso il DECRETO del TRIBUNALE TORINO n. 4161/2020 depositato il 17/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale di Torino n.4161/2020 con un mezzo, con cui ha denunciato la violazione dell’art.4 del Regolamento (UE) n.604/2013 per falsa applicazione delle norme di diritto in relazione al mancato adempimento dei doveri informativi da parte dello Stato.
L’Amministrazione è rimasta intimata.
P oco prima dell’adunanza camerale già fissata, NOME COGNOME ha dichiarato di rinunciare al ricorso.
Ne consegue che, in applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 390 e 391 c.p.c., deve essere dichiarata l’estinzione del giudizio di legittimità.
Per effetto della rinuncia, neppure trova applicazione l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, stabilito dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (Cass. n. 19071/2018; Cass. n. 23175/2015; Cass. n. 19560/2015).
P.Q.M.
Dichiara estinto il giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 15/05/2024.