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Rinuncia al ricorso: le conseguenze sulle spese legali

Un lavoratore, dopo aver impugnato il proprio licenziamento fino alla Corte di Cassazione, decide di effettuare una rinuncia al ricorso. La società datrice di lavoro non accetta la rinuncia, chiedendo la condanna alle spese. La Suprema Corte dichiara estinto il giudizio ma, chiarendo la natura dell’atto, condanna il lavoratore a pagare le spese legali del procedimento. La decisione sottolinea che la rinuncia al ricorso in Cassazione è efficace anche senza accettazione e, in tal caso, non esclude la condanna alle spese.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia al Ricorso in Cassazione: Chi Paga le Spese?

La decisione di intraprendere un percorso giudiziario comporta valutazioni strategiche in ogni sua fase, inclusa quella finale davanti alla Corte di Cassazione. Ma cosa succede se, una volta arrivati all’ultimo grado di giudizio, una parte decide di fare un passo indietro? L’ordinanza in esame chiarisce un punto fondamentale riguardante la rinuncia al ricorso e le sue conseguenze economiche, specificando che ritirarsi non significa necessariamente evitare la condanna alle spese legali.

La Vicenda Processuale: Dal Licenziamento alla Cassazione

Il caso nasce dall’impugnazione di un licenziamento da parte di un lavoratore. Dopo una prima sentenza del Tribunale che respingeva le sue richieste, anche la Corte d’Appello confermava la decisione, condannando ulteriormente il lavoratore al pagamento delle spese legali di entrambi i gradi di giudizio. Non dandosi per vinto, il lavoratore decideva di presentare ricorso per cassazione, portando la controversia davanti alla Suprema Corte.

Il Colpo di Scena: La Rinuncia al Ricorso

In una svolta inaspettata, prima della discussione del caso, il lavoratore notificava alla controparte un atto di rinuncia al ricorso. Si tratta di una mossa processuale con cui si dichiara di non voler più proseguire nell’azione legale. La società datrice di lavoro, tuttavia, non accettava la rinuncia. Anzi, attraverso i propri legali, chiedeva esplicitamente alla Corte di condannare il lavoratore al pagamento delle spese sostenute anche per il giudizio di cassazione, con distrazione in favore dei difensori.

La Decisione della Corte sulla Rinuncia al Ricorso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha dichiarato l’estinzione del giudizio. Questa, però, non è stata una vittoria a costo zero per il lavoratore. I giudici hanno infatti accolto la richiesta della società e condannato il ricorrente a rifondere tutte le spese legali dell’ultimo grado, liquidando un importo significativo a favore dei legali della controparte.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha basato la sua decisione su un principio consolidato nella giurisprudenza.

In primo luogo, ha chiarito che la rinuncia al ricorso per cassazione produce i suoi effetti processuali — ovvero l’estinzione del giudizio — indipendentemente dall’accettazione della controparte. A differenza di quanto previsto per altri gradi di giudizio (art. 306 c.p.c.), l’atto di rinuncia in Cassazione non ha carattere ‘accettizio’. Questo significa che la volontà del rinunciante è sufficiente a porre fine al processo.

In secondo luogo, e questo è il punto cruciale, la Corte ha spiegato che la regola che esclude la condanna alle spese in caso di rinuncia (prevista dall’art. 391, comma quarto, c.p.c.) si applica solo quando la rinuncia è seguita dall’accettazione dell’altra parte. Poiché in questo caso l’accettazione era mancata, tale norma non poteva operare. Di conseguenza, pur estinguendosi il processo, la Corte era tenuta a provvedere sulle spese, ponendole a carico della parte che, con la sua rinuncia, ha di fatto chiuso il procedimento.

Infine, la Corte ha specificato che non sussistevano le condizioni per applicare la sanzione del ‘doppio contributo unificato’, poiché questa misura è prevista solo per i casi di rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, e non per l’estinzione del giudizio.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza offre un importante monito pratico: la rinuncia al ricorso in Cassazione è uno strumento per chiudere un contenzioso, ma non è una scorciatoia per evitare le conseguenze economiche di un’azione legale. Se la controparte non accetta la rinuncia, il rinunciante sarà molto probabilmente condannato a pagare le spese legali maturate fino a quel momento. Pertanto, prima di formalizzare una rinuncia, è fondamentale valutare attentamente la posizione della controparte e, se possibile, negoziare un accordo che includa anche la regolamentazione delle spese, per evitare spiacevoli sorprese.

La rinuncia al ricorso per cassazione richiede l’accettazione della controparte per essere efficace?
No, secondo la Corte di Cassazione la rinuncia al ricorso produce i suoi effetti processuali, come l’estinzione del giudizio, anche in assenza di accettazione da parte della controparte, poiché non ha carattere ‘accettizio’.

Se si rinuncia al ricorso e la controparte non accetta, chi paga le spese legali del giudizio di cassazione?
In caso di rinuncia al ricorso non seguita da accettazione, la parte che ha rinunciato deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione a favore della controparte.

In caso di rinuncia al ricorso, si è tenuti a pagare il cosiddetto ‘doppio contributo unificato’?
No, la Corte ha chiarito che le condizioni per il pagamento del doppio contributo unificato (previste dal D.P.R. n. 115 del 2002) non si applicano in caso di estinzione del giudizio per rinuncia, ma solo nei casi di rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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