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Rinuncia al ricorso: guida all’estinzione del giudizio

Una società in liquidazione, dopo aver presentato ricorso in Cassazione, vi ha formalmente rinunciato. A seguito della rinuncia al ricorso e dell’accettazione di una delle controparti, la Corte di Cassazione ha dichiarato l’estinzione del giudizio. La Corte ha stabilito che non vi fosse luogo a provvedere sulle spese tra le parti che hanno definito il loro rapporto processuale e ha escluso l’obbligo per la ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia al Ricorso: Come e Perché Porta all’Estinzione del Giudizio

La rinuncia al ricorso è un istituto fondamentale del diritto processuale civile che consente a una parte di porre fine volontariamente a un giudizio di impugnazione. Questa scelta strategica ha conseguenze dirette sull’esito del processo, portando alla sua estinzione. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio pratico di come funziona questo meccanismo e quali sono le sue implicazioni in termini di spese legali e contributo unificato.

I Fatti del Caso: Dal Fallimento al Ricorso in Cassazione

La vicenda processuale ha origine dal ricorso per Cassazione presentato da una società per azioni in liquidazione. L’impugnazione era diretta contro i curatori del fallimento della stessa società e contro un’altra società specializzata nella gestione di crediti. Il caso si inseriva quindi in un contesto di diritto fallimentare e societario, con complesse questioni legali da dirimere nel massimo grado di giudizio.

La Svolta Processuale: La Rinuncia al Ricorso e l’Accettazione

In una mossa che ha cambiato radicalmente il corso del procedimento, la società ricorrente ha depositato un atto formale di rinuncia al ricorso. Questo atto, previsto dall’articolo 390 del codice di procedura civile, esprime la volontà inequivocabile di non proseguire con l’azione legale intrapresa.

Successivamente, una delle parti controricorrenti, la società di gestione crediti, ha depositato una dichiarazione di accettazione della rinuncia. Questo passaggio è cruciale, poiché l’accettazione formalizza l’accordo tra le parti sulla conclusione del giudizio, con specifiche conseguenze sulle spese processuali.

La Decisione della Corte di Cassazione

Preso atto della rituale rinuncia e della successiva accettazione, la Corte di Cassazione non ha potuto fare altro che dichiarare l’estinzione dell’intero giudizio. La decisione si basa su una semplice constatazione: venuta meno la volontà della parte ricorrente di proseguire, il processo non ha più ragione di esistere. La Corte ha quindi applicato l’articolo 391 del codice di procedura civile, che disciplina appunto le conseguenze della rinuncia.

Le Motivazioni: L’Applicazione degli Artt. 390 e 391 c.p.c.

Le motivazioni della Corte sono di natura prettamente procedurale. I giudici hanno verificato la correttezza formale degli atti depositati: la rinuncia da parte della ricorrente e l’accettazione da parte di una delle controricorrenti. Una volta accertata la regolarità di questi atti, la declaratoria di estinzione diventa un passaggio obbligato.

La Corte ha specificato che, per quanto riguarda il rapporto processuale tra la società rinunciante e la società che ha accettato la rinuncia, non era necessaria alcuna statuizione sulle spese di lite. Questo perché, di norma, l’accettazione della rinuncia implica un accordo tra le parti anche su questo punto. Analogamente, nessuna decisione sulle spese è stata presa nei confronti delle altre parti, che non avevano svolto attività difensiva rilevante in questa fase.

Le Conclusioni: Conseguenze su Spese e Contributo Unificato

La conclusione più significativa di questa ordinanza riguarda le implicazioni economiche per la parte rinunciante. In primo luogo, come già accennato, non vi è stata condanna alle spese per il rapporto processuale concluso con l’accettazione.

In secondo luogo, e di grande importanza pratica, la Corte ha escluso l’applicazione dell’articolo 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115/2002. Questa norma prevede che la parte il cui ricorso è respinto, dichiarato inammissibile o improcedibile, debba versare un ulteriore importo pari al contributo unificato già pagato (il cosiddetto “raddoppio del contributo”). Poiché il giudizio si è estinto per rinuncia, e non per una decisione sfavorevole nel merito, non sussistono i presupposti per tale sanzione processuale. La rinuncia, quindi, si rivela uno strumento che non solo chiude la lite, ma evita anche questo aggravio di costi.

Cosa succede quando una parte rinuncia al ricorso in Cassazione?
Quando una parte deposita un atto di rinuncia rituale, il giudizio si estingue. La Corte di Cassazione prende atto della volontà della parte e dichiara la fine del processo, senza entrare nel merito della questione.

In caso di rinuncia al ricorso, chi paga le spese legali?
L’ordinanza chiarisce che se la controparte accetta la rinuncia, non viene assunta alcuna decisione sulle spese di lite tra queste parti, presumendo un accordo tra loro. Per le altre parti che non hanno svolto un’attività difensiva significativa, ugualmente non vi è statuizione sulle spese.

La rinuncia al ricorso comporta il pagamento del doppio del contributo unificato?
No. La Corte ha stabilito che non sussistono i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, poiché tale obbligo sorge solo in caso di rigetto, inammissibilità o improcedibilità del ricorso, non in caso di estinzione per rinuncia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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