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Rinuncia al ricorso: estinzione e spese legali

Un gruppo di medici specializzandi ha proposto ricorso in Cassazione dopo aver visto respinte le proprie richieste di risarcimento per la mancata attuazione di direttive europee. Prima della decisione, i medici hanno effettuato una rinuncia al ricorso. La Corte di Cassazione, con ordinanza, ha dichiarato l’estinzione del giudizio. Ha inoltre disposto la compensazione parziale (per tre quarti) delle spese legali, condannando i ricorrenti al pagamento della parte residua, motivando la decisione con la tardività della rinuncia e l’infondatezza del ricorso originario.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia al Ricorso: la Cassazione decide su estinzione e spese legali

La rinuncia al ricorso è uno strumento processuale che permette di porre fine a una controversia prima che si giunga a una decisione di merito. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sugli effetti di tale atto, in particolare per quanto riguarda la ripartizione delle spese legali quando la rinuncia avviene in prossimità dell’udienza. Il caso analizzato riguarda un gruppo di medici specializzandi che, dopo un lungo iter giudiziario, ha deciso di abbandonare l’impugnazione davanti alla Suprema Corte.

I fatti di causa: la richiesta di risarcimento dei medici specializzandi

La vicenda trae origine dalla richiesta di risarcimento avanzata da un nutrito gruppo di medici nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e di altri Ministeri. I professionisti lamentavano la mancata attuazione da parte dello Stato italiano di alcune direttive europee (75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE) che prevedevano il diritto a un’adeguata retribuzione per la frequenza dei corsi di specializzazione medica antecedenti all’anno accademico 1991/92.

Il Tribunale di primo grado aveva respinto la domanda, accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dalle amministrazioni convenute. Successivamente, la Corte d’Appello aveva dichiarato inammissibile il gravame proposto dai medici. Giunti dinanzi alla Corte di Cassazione, i professionisti hanno presentato formale dichiarazione di rinuncia al ricorso.

La decisione della Corte sulla rinuncia al ricorso

La Corte di Cassazione ha innanzitutto verificato la regolarità formale delle dichiarazioni di rinuncia. Avendo constatato il rispetto dei requisiti previsti dagli articoli 390 e 391 del codice di procedura civile, la Corte non ha potuto fare altro che dichiarare l’estinzione del giudizio di legittimità.

Questo atto, infatti, chiude irrevocabilmente il processo, impedendo una pronuncia sul merito delle questioni sollevate. Tuttavia, la vicenda processuale non si è conclusa con la semplice declaratoria di estinzione, poiché restava da dirimere la questione delle spese legali.

Le motivazioni della Corte sulla gestione delle spese

Il punto centrale dell’ordinanza risiede nella decisione relativa alle spese processuali. Poiché le amministrazioni controricorrenti non avevano formalmente aderito alla rinuncia, spettava alla Corte provvedere in merito. Il Collegio ha stabilito una compensazione parziale delle spese, nella misura di tre quarti, ponendo il restante quarto a carico solidale dei ricorrenti.

Questa scelta è stata giustificata da due fattori principali:
1. La tardività della rinuncia: La rinuncia è stata depositata solo in prossimità dell’udienza di discussione. Questo comportamento ha comunque comportato un’attività difensiva per le controparti.
2. L’infondatezza dell’impugnazione: La Corte ha ritenuto l’impugnazione “totalmente priva di fondamento” alla luce della consolidata giurisprudenza in materia, un aspetto che gli stessi rinuncianti avevano implicitamente riconosciuto, sebbene con “ingiustificato ritardo”.

La Corte ha inoltre chiarito due ulteriori aspetti importanti. In primo luogo, la rinuncia ha sollevato i ricorrenti dalla responsabilità aggravata per lite temeraria (ex art. 96 c.p.c.) che era stata richiesta dalle amministrazioni. In secondo luogo, è stato escluso il raddoppio del contributo unificato, poiché tale misura sanzionatoria si applica solo in caso di rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, e non in caso di estinzione per rinuncia.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame offre preziose indicazioni sulle conseguenze pratiche della rinuncia al ricorso. Se da un lato essa rappresenta una via d’uscita per chiudere una lite, dall’altro il momento in cui viene effettuata e la fondatezza dell’impugnazione originaria sono elementi determinanti per la decisione sulle spese. Una rinuncia tardiva a un ricorso palesemente infondato non esonera completamente dal pagamento delle spese legali, ma può condurre a una condanna, seppur parziale. La decisione ribadisce infine la natura eccezionale e di stretta interpretazione delle sanzioni processuali, come il raddoppio del contributo unificato, escludendone l’applicazione al di fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge.

Cosa succede se si rinuncia a un ricorso in Cassazione?
La rinuncia, se formalmente corretta, provoca l’estinzione del giudizio. Il processo si chiude definitivamente senza una decisione sul merito della questione.

Chi paga le spese legali in caso di rinuncia al ricorso?
La Corte deve decidere sulle spese. In questo caso, poiché la rinuncia è avvenuta tardi e l’impugnazione era infondata, la Corte ha compensato le spese per tre quarti, condannando i ricorrenti a pagare solo il restante quarto.

La rinuncia al ricorso comporta sempre il raddoppio del contributo unificato?
No. La Corte ha chiarito che il raddoppio del contributo unificato è una misura sanzionatoria che si applica solo nei casi di rigetto, inammissibilità o improcedibilità del ricorso, non in caso di estinzione per rinuncia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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