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Rinuncia al ricorso: estinzione e spese legali

Una società creditrice, dopo aver visto respinta la propria opposizione all’esclusione di un credito da un fallimento, ha presentato ricorso in Cassazione. Successivamente, le parti hanno raggiunto un accordo transattivo, portando alla rinuncia al ricorso. La Suprema Corte ha dichiarato l’estinzione del processo, chiarendo che in caso di rinuncia non si applica il raddoppio del contributo unificato, misura sanzionatoria prevista solo per rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia al Ricorso in Cassazione: Guida Pratica all’Estinzione del Processo

La rinuncia al ricorso rappresenta un istituto processuale cruciale che permette di concludere un contenzioso in modo definitivo. Questo strumento, sebbene ponga fine al giudizio, solleva importanti questioni riguardo alle spese legali e all’applicazione di sanzioni come il raddoppio del contributo unificato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti essenziali su questi aspetti, delineando un percorso chiaro per le parti che decidono di porre fine a una controversia tramite accordo.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una procedura fallimentare. Una società creditrice si era vista negare l’ammissione al passivo di un ingente credito, vantato per prestazioni di servizi e canoni di locazione nei confronti di un’altra società, successivamente dichiarata fallita. Il Tribunale, in sede di opposizione, aveva confermato la decisione del giudice delegato, ritenendo in parte inammissibili le domande e infondate nel merito le restanti. In particolare, il credito era stato considerato estinto per compensazione e, per la parte relativa ai servizi, era stata giudicata carente la prova dell’effettiva erogazione delle prestazioni.

Di fronte a questa decisione, la società creditrice aveva deciso di presentare ricorso per la cassazione del provvedimento, articolando diverse censure. La curatela fallimentare si era costituita in giudizio per resistere al ricorso.

La Svolta Processuale: La Rinuncia al Ricorso

Durante il giudizio in Cassazione, è intervenuto un fatto nuovo e decisivo: le parti hanno raggiunto un accordo transattivo per definire integralmente la controversia. In esecuzione di tale accordo, la società ricorrente ha depositato un atto di rinuncia al ricorso, sottoscritto dal proprio legale rappresentante e vistato dal curatore del fallimento.

La Corte di Cassazione, preso atto della rinuncia, non è entrata nel merito delle questioni sollevate, ma si è concentrata sulle conseguenze procedurali di tale atto, dichiarando l’estinzione del processo.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha basato la sua decisione su due principi cardine, offrendo importanti precisazioni in materia di spese processuali e contributo unificato.

1. La Gestione delle Spese Legali

In primo luogo, la Corte ha stabilito che non vi era luogo a una pronuncia sulle spese. Ai sensi dell’art. 391, comma 2, del codice di procedura civile, quando la rinuncia è frutto di un accordo transattivo tra le parti, si presume che la regolamentazione delle spese sia già avvenuta all’interno dell’accordo stesso. Pertanto, il giudice non interviene per condannare una parte al pagamento delle spese dell’altra.

2. L’Inapplicabilità del Raddoppio del Contributo Unificato in caso di rinuncia al ricorso

Il punto più significativo della decisione riguarda il raddoppio del contributo unificato. L’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115/2002 prevede che la parte la cui impugnazione è respinta integralmente, o dichiarata inammissibile o improcedibile, è tenuta a versare un ulteriore importo pari a quello del contributo unificato dovuto.

La Corte ha chiarito che questa norma ha una natura eccezionale e sanzionatoria. Essendo una misura punitiva, deve essere interpretata in modo restrittivo e non può essere applicata per analogia. La rinuncia al ricorso non rientra in nessuno dei casi tassativamente previsti dalla legge (rigetto, inammissibilità, improcedibilità). Di conseguenza, il ricorrente che rinuncia non è tenuto al pagamento del doppio contributo, anche se l’esito del ricorso fosse stato potenzialmente sfavorevole.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio di grande rilevanza pratica. La rinuncia al ricorso a seguito di un accordo transattivo si conferma uno strumento efficace per chiudere le liti in modo efficiente. La decisione offre una certezza fondamentale per le parti: la scelta di transigere e rinunciare all’impugnazione non solo pone fine alla controversia, ma esclude anche l’applicazione della sanzione del raddoppio del contributo unificato. Questo incentiva le soluzioni concordate, alleggerendo il carico dei tribunali e fornendo alle parti un percorso chiaro e privo di ulteriori oneri economici imprevisti.

Cosa succede se si rinuncia a un ricorso in Cassazione?
In seguito a un atto di rinuncia, accettato dalla controparte, la Corte di Cassazione dichiara l’estinzione del processo, ponendo fine al giudizio senza una decisione nel merito.

In caso di rinuncia al ricorso, chi paga le spese legali?
Se la rinuncia deriva da un accordo transattivo tra le parti, la Corte non emette alcuna pronuncia sulle spese. Si presume infatti che le parti abbiano già regolato questo aspetto all’interno del loro accordo.

La rinuncia al ricorso comporta il raddoppio del contributo unificato?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il raddoppio del contributo unificato è una misura sanzionatoria applicabile solo nei casi tassativi di rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione. La rinuncia non rientra in queste categorie e, pertanto, non fa scattare l’obbligo di pagare l’ulteriore importo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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