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Rinuncia al ricorso: estinzione del giudizio

Una società immobiliare, dopo aver impugnato una sentenza d’appello che aveva reso inefficace un suo acquisto immobiliare, ha presentato una rinuncia al ricorso. La Corte di Cassazione, prendendo atto della rinuncia, ha dichiarato l’estinzione del giudizio. La decisione chiarisce che, data la mancata costituzione delle controparti, non vi è condanna alle spese e non si applica il raddoppio del contributo unificato, previsto solo per i casi di rigetto o inammissibilità.

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Rinuncia al Ricorso: Quando Conviene Fermarsi e Quali Sono le Conseguenze?

La rinuncia al ricorso è un istituto processuale che permette di porre fine a una controversia legale in modo definitivo. Ma quali sono le implicazioni pratiche di questa scelta? Un’ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per analizzare gli effetti di tale decisione, in particolare per quanto riguarda le spese di lite e il contributo unificato.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un’azione legale promossa da un istituto di credito. La banca aveva ottenuto dal Tribunale una sentenza che dichiarava l’inefficacia, nei suoi confronti, di un contratto di compravendita immobiliare. L’operazione vedeva coinvolti un privato cittadino, garante di una società terza debitrice della banca, e una società immobiliare acquirente. Secondo la banca, tale vendita pregiudicava le sue possibilità di recuperare il credito.

La Corte d’Appello aveva confermato la decisione di primo grado, respingendo il reclamo della società immobiliare. Quest’ultima, non rassegnandosi, aveva quindi presentato ricorso per cassazione, articolando ben sette motivi di doglianza di natura sia processuale che sostanziale.

Tuttavia, in prossimità dell’udienza fissata per la discussione, la stessa società ricorrente depositava un atto di rinuncia al ricorso, cambiando radicalmente il corso del procedimento.

La Decisione della Corte sulla Rinuncia al Ricorso

Di fronte alla rinuncia, la Corte di Cassazione non ha potuto fare altro che prenderne atto e dichiarare l’estinzione del giudizio. La legge, infatti, prevede che la rinuncia, essendo un atto unilaterale, produca i suoi effetti a prescindere dall’accettazione della controparte. Questo atto determina la fine irrevocabile del processo di cassazione.

La Corte ha poi affrontato due aspetti consequenziali di grande rilevanza pratica:

1. Le spese di lite: La Corte ha stabilito che nulla dovesse essere disposto in merito alle spese. La ragione risiede nel fatto che le controparti (la banca e il privato cittadino) erano rimaste “intimate”, cioè non si erano costituite in giudizio per difendersi attivamente. In assenza di una parte che ha sostenuto costi per la difesa, non vi è luogo a una condanna al rimborso delle spese.

2. Il raddoppio del contributo unificato: La Corte ha escluso l’obbligo per la parte rinunciante di versare un ulteriore importo pari al contributo unificato già pagato. Questa misura, di natura sanzionatoria, si applica solo nei casi di rigetto totale, inammissibilità o improcedibilità del ricorso, non in caso di estinzione per rinuncia.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una precisa interpretazione delle norme processuali. La rinuncia al ricorso è un atto che non richiede accettazione per essere efficace, poiché il suo scopo è semplicemente quello di porre fine a un’impugnazione. Una volta formalizzata, l’unico esito possibile per il giudice è la declaratoria di estinzione del processo. Questo principio, consolidato in giurisprudenza, garantisce certezza e rapidità nella definizione del contenzioso.

Per quanto riguarda le spese, la motivazione è altrettanto lineare: non essendoci state controparti costituite che abbiano svolto attività difensiva nel giudizio di cassazione, non esistono spese da rimborsare. La condanna alle spese presuppone infatti una soccombenza virtuale e, soprattutto, l’esistenza di costi effettivamente sostenuti dalla parte vittoriosa.

Infine, la decisione sul contributo unificato si basa sulla natura eccezionale e sanzionatoria della norma che ne prevede il raddoppio. Essendo una misura punitiva, non può essere applicata per analogia a casi non espressamente previsti, come appunto la rinuncia. La giurisprudenza è costante nell’affermare che l’estinzione del giudizio per rinuncia non rientra tra le ipotesi che giustificano tale aggravio economico.

Conclusioni

L’ordinanza in esame offre importanti spunti pratici. In primo luogo, conferma che la rinuncia al ricorso è uno strumento efficace per chiudere definitivamente una lite, evitando i rischi e i costi di un giudizio dall’esito incerto. In secondo luogo, chiarisce in modo inequivocabile le conseguenze economiche di tale scelta: se le controparti non si sono costituite, non vi sarà condanna alle spese. Soprattutto, la rinuncia evita la sanzione del raddoppio del contributo unificato, rendendola un’opzione strategicamente vantaggiosa rispetto al rischio di un rigetto nel merito.

Cosa succede quando una parte rinuncia al ricorso in Cassazione?
La rinuncia determina l’estinzione immediata del giudizio. La Corte di Cassazione non esamina il merito dei motivi, ma si limita a dichiarare chiuso il processo in modo definitivo.

In caso di rinuncia al ricorso, si è sempre tenuti a pagare le spese legali alla controparte?
No. Come chiarito dalla Corte, se le controparti (dette ‘intimate’) non si sono costituite attivamente nel giudizio di Cassazione, non vi è alcuna condanna al pagamento delle spese legali, poiché non hanno sostenuto costi difensivi in quella fase.

La rinuncia al ricorso comporta il raddoppio del contributo unificato?
No. La Corte ha specificato che il raddoppio del contributo unificato è una misura sanzionatoria che si applica solo in caso di rigetto, inammissibilità o improcedibilità del ricorso, e non si estende all’ipotesi di estinzione del giudizio per rinuncia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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