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Rinuncia al ricorso: estinzione del giudizio

Una disputa tra fratelli per il rimborso di spese su un immobile ereditario arriva in Cassazione a seguito di un appello dichiarato inammissibile per tardività. Il ricorrente, che contestava la decisione sostenendo la sospensione dei termini per l’emergenza Covid-19, ha poi effettuato una rinuncia al ricorso. La Corte Suprema, di conseguenza, ha dichiarato l’estinzione del giudizio. Dato che la controparte non si era costituita, non è stata emessa una pronuncia sulle spese processuali.

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Rinuncia al ricorso: la Cassazione chiarisce l’estinzione del giudizio

L’istituto della rinuncia al ricorso rappresenta uno strumento processuale che consente alla parte che ha impugnato una sentenza di porre fine al giudizio prima che la Corte si pronunci nel merito. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione illustra chiaramente le conseguenze di tale atto, in particolare per quanto riguarda la regolamentazione delle spese legali. Analizziamo insieme un caso pratico per comprendere meglio come funziona questo meccanismo e quali sono le sue implicazioni.

I Fatti di Causa: dalla richiesta di rimborso all’appello tardivo

La vicenda trae origine da una controversia tra due fratelli sorta in seguito alla gestione di alcuni terreni ereditati. Uno dei due aveva citato in giudizio l’altro davanti al Giudice di Pace per ottenere il rimborso di oltre 4.000 euro, spesi per la potatura di ulivi e alberi da frutto presenti sulla proprietà comune.

Il Giudice di Pace, con una sentenza del 2020, aveva rigettato la domanda. Il fratello soccombente aveva quindi proposto appello, ma il Tribunale lo aveva dichiarato inammissibile. Il motivo? L’appello era stato notificato oltre il termine lungo semestrale previsto dalla legge, calcolato dal giorno del deposito della sentenza di primo grado.

Il ricorso in Cassazione e l’impatto della rinuncia al ricorso

Non dandosi per vinto, il fratello ha presentato ricorso in Cassazione. Il suo unico motivo di doglianza si basava sulla presunta violazione di legge da parte del Tribunale, che non avrebbe tenuto conto della sospensione dei termini processuali introdotta durante l’emergenza epidemiologica da Covid-19 (dal 9 marzo all’11 maggio 2020). Secondo i suoi calcoli, tenendo conto di tale sospensione, il suo appello sarebbe risultato tempestivo.

Tuttavia, prima che la Corte potesse esaminare la questione, è intervenuto un colpo di scena: il ricorrente, con un atto depositato a fine 2024, ha formalizzato la rinuncia al ricorso.

Le Motivazioni della Decisione della Suprema Corte

Di fronte alla rinuncia, la Corte di Cassazione non ha potuto fare altro che applicare il disposto degli articoli 390 e 391 del Codice di procedura civile. Queste norme stabiliscono che la rinuncia, se accettata dalle altre parti costituite che abbiano interesse alla prosecuzione, produce l’estinzione del procedimento.

Nel caso specifico, la controparte (il fratello intimato) non si era costituita nel giudizio di Cassazione. Questa circostanza è risultata decisiva per la regolamentazione delle spese legali. La Corte ha infatti dichiarato che, in assenza di una costituzione dell’intimato, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità. La giurisprudenza consolidata, richiamata nell’ordinanza, conferma che la condanna alle spese presuppone la soccombenza, ma in caso di estinzione per rinuncia senza che la controparte abbia svolto attività difensiva, non si procede a tale regolamentazione.

Un’altra conseguenza importante della rinuncia è stata l’esclusione dell’obbligo, per il ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto in caso di rigetto o inammissibilità del ricorso. Anche su questo punto, la Corte ha seguito un orientamento costante, stabilendo che la rinuncia preclude l’applicazione di tale sanzione processuale.

Conclusioni

L’ordinanza in esame offre un chiaro spaccato degli effetti pratici della rinuncia al ricorso nel giudizio di Cassazione. Si conferma che tale atto determina l’immediata estinzione del processo, chiudendo definitivamente la controversia. La lezione più importante riguarda le spese: se la parte intimata non si costituisce in giudizio, il rinunciante non subirà la condanna al pagamento delle spese legali relative alla fase di legittimità. Inoltre, la rinuncia evita l’applicazione del ‘raddoppio’ del contributo unificato, un ulteriore onere economico per chi vede il proprio ricorso respinto. Questa decisione ribadisce quindi come la scelta di rinunciare a un ricorso possa essere una strategia processuale vantaggiosa per porre fine a una lite, limitandone i costi.

Cosa succede quando una parte effettua una rinuncia al ricorso in Cassazione?
La rinuncia al ricorso, come previsto dagli articoli 390 e 391 del Codice di procedura civile, determina l’estinzione del giudizio di legittimità, ponendo fine al processo prima di una decisione sul merito della questione.

Chi paga le spese legali in caso di rinuncia al ricorso?
Se la parte contro cui è stato presentato il ricorso (l’intimato) non si è costituita in giudizio, la Corte non provvede alla regolamentazione delle spese. Pertanto, il ricorrente che rinuncia non viene condannato al pagamento delle spese legali della controparte per la fase di Cassazione.

Il ricorrente che rinuncia deve pagare il doppio del contributo unificato?
No. La Corte ha chiarito che, per effetto della rinuncia, non si applica l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto invece nei casi di rigetto, inammissibilità o improcedibilità del ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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