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Rinuncia al ricorso e spese legali: chi paga?

Due società, dopo aver perso in appello in una causa relativa alla falsità di verbali di conciliazione, hanno proposto ricorso in Cassazione. Successivamente, hanno presentato una rinuncia al ricorso. La controparte non ha accettato la rinuncia, chiedendo la condanna alle spese. La Corte di Cassazione ha dichiarato estinto il giudizio, ma, applicando il principio della soccombenza virtuale, ha condannato le società ricorrenti al pagamento delle spese legali, ritenendo il loro ricorso originario verosimilmente improcedibile.

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia al ricorso: chi paga le spese se il processo si estingue?

La rinuncia al ricorso per Cassazione è uno strumento che porta all’estinzione del giudizio, ma non risolve automaticamente la questione delle spese legali. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: anche quando il processo si chiude anticipatamente, le spese seguono la ‘soccombenza virtuale’. Vediamo cosa significa analizzando un caso concreto che parte da una disputa su verbali di conciliazione lavorativa.

I fatti del caso: dalla querela di falso alla Cassazione

La vicenda ha origine da un giudizio promosso da un lavoratore contro due società. Il lavoratore contestava l’autenticità della propria firma su tre verbali di conciliazione sindacale che le aziende avevano prodotto in un’altra causa di lavoro per dimostrare che egli avesse rinunciato a ogni pretesa economica.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione al lavoratore, dichiarando false le firme e, di conseguenza, nulli i verbali di conciliazione. Le società, non soddisfatte della decisione, hanno presentato ricorso in Cassazione.

Tuttavia, in un secondo momento, le stesse società hanno depositato un atto di rinuncia al ricorso. Il lavoratore, però, si è opposto, chiedendo che la Corte si pronunciasse comunque sulle spese del giudizio, sostenendo che il ricorso delle società fosse dall’inizio improcedibile per tardivo deposito e che, quindi, le società dovessero essere considerate la parte soccombente.

La decisione sulla rinuncia al ricorso e il principio di soccombenza virtuale

La Corte di Cassazione ha affrontato due questioni principali: l’effetto della rinuncia al ricorso e la regolamentazione delle spese legali.

La decisione della Corte di Cassazione

Gli Ermellini hanno dichiarato estinto il giudizio, confermando che la rinuncia produce tale effetto anche senza l’accettazione della controparte. Tuttavia, hanno accolto la richiesta del lavoratore riguardo alle spese. Applicando il principio della ‘soccombenza virtuale’, hanno condannato le società ricorrenti a pagare le spese processuali del giudizio di legittimità.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che, sebbene la rinuncia ponga fine al processo, non cancella l’attività processuale svolta fino a quel momento. Per decidere chi debba sostenere i costi, il giudice deve compiere una valutazione prognostica sull’esito probabile del ricorso, se fosse stato deciso nel merito. Questo è il cuore del principio di soccombenza virtuale.

Nel caso specifico, l’eccezione del lavoratore circa l’improcedibilità del ricorso per tardivo deposito non appariva manifestatamente infondata. Di conseguenza, le società ricorrenti sarebbero state, con ogni probabilità, la parte soccombente. Per questo motivo, pur a fronte della loro rinuncia, sono state condannate al pagamento delle spese. La Corte ha inoltre chiarito che il raddoppio del contributo unificato, una sanzione prevista in caso di rigetto o inammissibilità del ricorso, non si applica nei casi di estinzione del giudizio, trattandosi di una misura eccezionale non suscettibile di interpretazione estensiva.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre importanti spunti pratici. In primo luogo, la rinuncia al ricorso è una scelta strategica che estingue il processo, ma non garantisce di evitare la condanna alle spese legali. In secondo luogo, il principio della soccombenza virtuale tutela la parte che si è dovuta difendere da un ricorso potenzialmente infondato o inammissibile, assicurandole il rimborso delle spese sostenute. Infine, viene confermata la natura sanzionatoria e di stretta interpretazione del raddoppio del contributo unificato, escludendone l’applicazione in caso di estinzione del giudizio.

Cosa succede se si effettua una rinuncia al ricorso in Cassazione?
La rinuncia, anche se non accettata dalla controparte, determina l’estinzione del giudizio. La sentenza impugnata passa quindi in giudicato, diventando definitiva.

Chi paga le spese legali in caso di rinuncia al ricorso?
Le spese legali vengono regolate secondo il principio della ‘soccombenza virtuale’. Il giudice valuta quale delle parti avrebbe probabilmente perso se il ricorso fosse stato deciso nel merito e condanna quella parte al pagamento delle spese.

La rinuncia al ricorso comporta sempre il raddoppio del contributo unificato?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il raddoppio del contributo unificato è una sanzione che si applica solo in caso di rigetto, inammissibilità o improcedibilità del ricorso, e non in caso di estinzione del giudizio per rinuncia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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