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Rinuncia al ricorso: conseguenze sulle spese legali

Un’azienda di trasporti, dopo aver impugnato una sentenza sfavorevole in una causa di lavoro, presenta una rinuncia al ricorso in Cassazione. Poiché la controparte non accetta la rinuncia, la Corte Suprema dichiara estinto il processo ma condanna la società rinunciante al pagamento delle spese legali. La Corte chiarisce inoltre che la sanzione del raddoppio del contributo unificato non si applica in caso di rinuncia, ma solo in caso di rigetto o inammissibilità dell’impugnazione.

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Rinuncia al ricorso: quando si pagano comunque le spese legali?

La rinuncia al ricorso per Cassazione è uno strumento processuale che consente di porre fine a un giudizio di legittimità. Tuttavia, come chiarisce una recente ordinanza della Suprema Corte, questa scelta non esonera sempre dal pagamento delle spese legali, specialmente se la controparte non accetta la rinuncia. Analizziamo questo interessante caso per capire le dinamiche e le conseguenze pratiche.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da una controversia di diritto del lavoro. Un dipendente aveva ottenuto una sentenza favorevole contro la propria azienda, una nota società di trasporti, sia in primo grado che in Corte d’Appello.

L’azienda, non rassegnata, decideva di presentare ricorso per Cassazione. La controparte, a sua volta, si costituiva in giudizio presentando un controricorso. In un primo momento, il procedimento sembrava destinato a una definizione nel merito, ma prima dell’udienza in camera di consiglio, l’azienda ricorrente depositava un atto di rinuncia al ricorso.

Un dettaglio fondamentale, però, cambiava le carte in tavola: il lavoratore, tramite il suo legale, non aderiva alla rinuncia. Questa mancata accettazione ha reso necessario l’intervento del Collegio per decidere sulle conseguenze di tale atto.

La Decisione della Corte sulla rinuncia al ricorso

La Corte di Cassazione, preso atto della rinuncia formalizzata dalla società ricorrente e della mancata adesione della controparte, ha dichiarato l’estinzione del processo.

La conseguenza più rilevante della decisione, tuttavia, ha riguardato la regolamentazione delle spese processuali. Nonostante la rinuncia, la Corte ha condannato la società ricorrente al pagamento di tutte le spese legali sostenute dal lavoratore nel giudizio di legittimità, liquidate in euro 1.500,00, oltre accessori. Al contempo, ha escluso l’applicazione della sanzione del raddoppio del contributo unificato.

Le Motivazioni della Decisione

La pronuncia della Corte si fonda su due principi cardine del diritto processuale civile, che meritano un approfondimento.

Estinzione del Processo e Condanna alle Spese

Secondo l’articolo 391 del Codice di procedura civile, la rinuncia al ricorso determina l’estinzione del processo. Tuttavia, la stessa norma, ai commi 2 e 4, stabilisce una regola precisa per le spese legali: se la controparte non accetta la rinuncia, il giudice deve decidere sulle spese.

In questo caso, il Collegio ha ritenuto che la parte che ha dato causa al giudizio – presentando un ricorso e poi ritirandolo – debba farsi carico dei costi che la sua iniziativa ha generato per la controparte. La mancata accettazione del controricorrente ha quindi attivato il potere del giudice di condannare la parte rinunciante, in applicazione del principio di causalità.

Inapplicabilità del Raddoppio del Contributo Unificato

Un punto di grande interesse pratico riguarda l’esclusione del cosiddetto ‘raddoppio del contributo unificato’. L’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 115/2002 prevede che la parte il cui ricorso è respinto integralmente, o dichiarato inammissibile o improcedibile, debba versare un ulteriore importo pari al contributo unificato già pagato. Si tratta di una misura con finalità sanzionatorie, volta a scoraggiare le impugnazioni infondate.

La Corte, richiamando un proprio precedente (Cass. n. 23175 del 2015), ha specificato che questa norma ha carattere eccezionale e non può essere interpretata in modo estensivo. La rinuncia al ricorso non rientra tra i casi tassativamente previsti (rigetto, inammissibilità, improcedibilità). Pertanto, la sanzione non trova applicazione, poiché la rinuncia è un atto volontario di ritiro che chiude il processo senza una valutazione negativa nel merito da parte del giudice.

Conclusioni

Questa ordinanza offre due importanti lezioni pratiche. In primo luogo, la rinuncia al ricorso è una strategia che può evitare una pronuncia sfavorevole nel merito, ma non garantisce un risparmio sulle spese legali se la controparte non vi aderisce. Il principio di causalità impone a chi ha iniziato e poi abbandonato il giudizio di sostenere i costi generati. In secondo luogo, la pronuncia conferma un orientamento consolidato: la rinuncia, essendo un atto dispositivo della parte, non viene equiparata a un esito negativo del giudizio e, pertanto, non fa scattare la sanzione del raddoppio del contributo unificato. Una distinzione cruciale per chi valuta le strategie processuali in sede di legittimità.

Cosa succede se una parte presenta una rinuncia al ricorso in Cassazione?
Il processo viene dichiarato estinto, ponendo fine al giudizio senza una decisione sul merito della questione.

Chi paga le spese legali se la controparte non accetta la rinuncia al ricorso?
La parte che ha rinunciato al ricorso viene condannata a pagare le spese legali del giudizio di legittimità, in quanto ha dato causa al procedimento poi abbandonato.

In caso di rinuncia al ricorso, si è tenuti a versare il doppio del contributo unificato?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che questa misura sanzionatoria si applica solo nei casi di rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, e non in caso di rinuncia volontaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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