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Rinuncia al ricorso: come evitare il doppio contributo

Una società cooperativa, dopo aver presentato ricorso in Cassazione, vi rinunciava. La Suprema Corte, con ordinanza, ha dichiarato l’estinzione del giudizio. La decisione chiarisce un importante aspetto fiscale: la rinuncia al ricorso, a differenza del rigetto o dell’inammissibilità, non comporta la condanna al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, offrendo così un’importante lezione sulla gestione strategica del contenzioso.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Societario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia al ricorso: una scelta strategica per evitare costi aggiuntivi

La gestione di un contenzioso, specialmente in sede di Cassazione, non è solo una questione di ragioni giuridiche, ma anche di attenta valutazione strategica. La rinuncia al ricorso rappresenta uno strumento processuale che può rivelarsi fondamentale non solo per porre fine a una lite, ma anche per evitare conseguenze economiche negative. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione illumina i benefici di questa scelta, in particolare per quanto riguarda l’obbligo di versamento del doppio del contributo unificato. Analizziamo insieme la vicenda e le sue importanti implicazioni pratiche.

I fatti del caso

La controversia vedeva contrapposte due società cooperative. La prima, a seguito di una fusione per incorporazione, aveva proseguito un ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione contro una sentenza emessa dalla Corte d’Appello. La controparte era un’altra società cooperativa, posta in liquidazione coatta amministrativa. Prima che la Suprema Corte potesse esaminare il caso nel merito, la società ricorrente ha compiuto un passo decisivo: ha depositato un atto di formale rinuncia al ricorso, manifestando la volontà di non proseguire oltre nel giudizio di legittimità.

La decisione della Corte: l’estinzione del giudizio per rinuncia al ricorso

Preso atto della rituale e formale rinuncia presentata dalla parte ricorrente, la Corte di Cassazione non ha potuto fare altro che applicare le norme del codice di procedura civile. Nello specifico, l’articolo 390 del codice regola la rinuncia, mentre l’articolo 391 ne disciplina gli effetti. La conseguenza diretta è stata la declaratoria di estinzione dell’intero giudizio. Questo significa che il processo si è concluso senza che i giudici entrassero nel merito delle questioni sollevate, chiudendo definitivamente la vicenda processuale a quel livello.

Le motivazioni: perché la rinuncia al ricorso evita il raddoppio del contributo unificato

Il punto cruciale e di maggiore interesse dell’ordinanza risiede nella statuizione relativa alle spese e, in particolare, al contributo unificato. La Corte ha specificato che, data l’estinzione del giudizio per rinuncia, non sussistono i presupposti per applicare l’articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R. 115/2002. Questa norma prevede che la parte che ha visto il proprio ricorso respinto integralmente, o dichiarato inammissibile o improcedibile, è tenuta a versare un ulteriore importo pari a quello già pagato come contributo unificato.

La logica della Corte è chiara: la ‘sanzione’ del raddoppio del contributo è legata a un esito negativo del giudizio di merito o a un vizio grave dell’atto introduttivo. La rinuncia al ricorso, invece, è un atto dispositivo della parte che previene una pronuncia di questo tipo, ponendo fine al processo per volontà propria. Di conseguenza, venendo meno una decisione di rigetto, inammissibilità o improcedibilità, viene meno anche il presupposto normativo per il pagamento del doppio contributo. La Corte ha inoltre ritenuto di non dover assumere alcuna statuizione in ordine alle spese di lite tra le parti.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della pronuncia

Questa ordinanza offre un’indicazione strategica di grande valore per avvocati e imprese. Quando un ricorso in Cassazione presenta scarse probabilità di successo, o quando nel frattempo le parti hanno raggiunto un accordo o sono venuti meno i motivi del contendere, la rinuncia al ricorso si conferma come la via più efficiente. Non solo permette di chiudere la pendenza giudiziaria, ma offre anche un concreto vantaggio economico, evitando il pagamento di un importo che può essere anche molto consistente. La scelta di rinunciare, quindi, deve essere considerata parte integrante di una gestione oculata e consapevole del contenzioso, capace di bilanciare le ragioni di diritto con le opportunità procedurali e i relativi costi.

Cosa succede legalmente quando una parte rinuncia al suo ricorso in Cassazione?
La Corte Suprema dichiara l’estinzione del giudizio. Ciò significa che il processo si conclude immediatamente, senza che venga emessa una decisione sul merito delle questioni sollevate nel ricorso.

La rinuncia al ricorso comporta il pagamento di penali o costi aggiuntivi?
No. Secondo quanto stabilito in questa ordinanza, l’estinzione del giudizio a seguito di rinuncia non fa scattare l’obbligo di versare il cosiddetto ‘doppio contributo unificato’, una sanzione prevista invece per i casi in cui il ricorso viene respinto, dichiarato inammissibile o improcedibile.

Perché la Corte non ha deciso nulla sulle spese legali tra le parti?
Nell’ordinanza, la Corte ha ritenuto che nessuna statuizione dovesse essere assunta in merito alle spese. Sebbene il testo non lo espliciti, ciò accade frequentemente nei casi di estinzione per rinuncia, specialmente se non vi è una richiesta specifica della controparte o se la rinuncia è accettata senza condizioni sulle spese.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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