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Rinuncia al ricorso: chi paga le spese legali?

Una società di costruzioni rinuncia al proprio ricorso in Cassazione a seguito di un accordo transattivo. Tuttavia, in assenza dell’accettazione formale della controparte, la Corte di Cassazione dichiara estinto il processo ma condanna la società rinunciante al pagamento delle spese legali. Il caso chiarisce le conseguenze procedurali della rinuncia al ricorso e il principio della soccombenza virtuale.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia al ricorso: cosa succede alle spese legali?

La rinuncia al ricorso è uno strumento processuale che consente di porre fine a un giudizio di impugnazione. Ma cosa accade quando la rinuncia è frutto di un accordo privato tra le parti non formalizzato in giudizio? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un aspetto fondamentale: in assenza di accettazione della controparte, il rinunciante è tenuto a pagare le spese legali. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Una società di costruzioni aveva impugnato davanti alla Corte di Cassazione una sentenza della Corte d’Appello che aveva dichiarato la parziale nullità di un contratto di vendita immobiliare. Le controparti, eredi dell’originario acquirente, si erano costituite in giudizio per resistere al ricorso.

Prima della data fissata per la discussione, la società ricorrente ha depositato un atto di rinuncia al ricorso. La motivazione dietro questa mossa era la stipula di un accordo transattivo con gli eredi, che prevedeva espressamente la fine del contenzioso. Tuttavia, gli eredi non hanno mai depositato un atto formale di accettazione di tale rinuncia.

La questione della rinuncia al ricorso e le spese

La Corte di Cassazione si è trovata a dover decidere sulle conseguenze di questa rinuncia unilaterale. L’atto era stato depositato tempestivamente e sottoscritto sia dalla parte che dal suo difensore, rispettando i requisiti formali previsti dall’art. 390 del codice di procedura civile. Di conseguenza, il presupposto per dichiarare l’estinzione del processo era pienamente soddisfatto.

Il punto cruciale, però, riguardava la condanna alle spese. La società ricorrente sosteneva che l’accordo transattivo avrebbe dovuto regolare anche quest’aspetto, esonerandola da ogni pagamento. La Corte, tuttavia, ha seguito un ragionamento diverso e più rigoroso.

La Decisione della Corte: la Soccombenza Virtuale

Secondo i giudici, gli accordi intervenuti tra le parti, sebbene menzionati nell’atto di rinuncia, non possono essere presi in considerazione dalla Corte se non sono confermati formalmente in giudizio dalla controparte. In altre parole, l’accordo transattivo rimane un atto privato che non può spiegare effetti diretti sulla regolamentazione delle spese processuali decisa dal giudice.

In assenza di un’esplicita accettazione della rinuncia da parte dei controricorrenti, scatta il principio della cosiddetta ‘soccombenza virtuale’. La parte che rinuncia al ricorso è considerata come la parte che avrebbe perso la causa e, pertanto, è tenuta a pagare le spese legali sostenute dalla controparte fino a quel momento. La Corte ha quindi condannato la società costruttrice al pagamento di 4.000,00 euro, oltre oneri e anticipazioni.

È stato inoltre chiarito che la rinuncia al ricorso non comporta l’obbligo di versare il ‘doppio del contributo unificato’, una sanzione prevista solo per i casi di ricorso inammissibile, improcedibile o respinto nel merito.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su un principio di certezza procedurale. Il giudice può decidere solo sulla base degli atti formalmente depositati nel processo. Un accordo privato, come la transazione menzionata, non è stato allegato né confermato dai controricorrenti in sede processuale. Pertanto, per la Corte, tale accordo è ‘tamquam non esset’ (come se non esistesse) ai fini della decisione sulle spese. L’unico atto processualmente rilevante era la rinuncia non accettata. La legge, in questo caso, prevede che il rinunciante paghi le spese, salvo diverso accordo formalizzato e accettato anche dalla controparte nel giudizio. L’estinzione del processo è una conseguenza diretta della rinuncia, ma la regolamentazione delle spese segue regole autonome che non possono essere derogate da accordi non formalizzati processualmente.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre una lezione pratica fondamentale: quando si raggiunge un accordo per porre fine a una causa, non è sufficiente depositare un atto di rinuncia. Per evitare una condanna alle spese, è cruciale che l’accordo preveda esplicitamente come queste verranno regolate e, soprattutto, che la controparte accetti formalmente la rinuncia in giudizio. In assenza di tale accettazione, la parte che rinuncia si espone quasi certamente a una condanna al pagamento di tutte le spese processuali maturate.

Se rinuncio a un ricorso per cassazione, devo sempre pagare le spese legali della controparte?
In linea di principio sì. Secondo la decisione in esame, in assenza di un’accettazione formale della rinuncia da parte del controricorrente, il rinunciante è condannato al pagamento delle spese processuali, anche se alla base della rinuncia vi è un accordo transattivo tra le parti.

Un accordo privato tra le parti per la rinuncia a un giudizio ha effetto sulle spese processuali?
No, non automaticamente. La Corte di Cassazione ha chiarito che gli accordi tra le parti, se non vengono confermati e documentati nel processo (ad esempio con l’accettazione della rinuncia da parte del controricorrente), non possono essere presi in considerazione dal giudice per decidere sulla ripartizione delle spese.

La rinuncia al ricorso comporta il pagamento del doppio del contributo unificato?
No. L’ordinanza specifica che l’obbligo di pagare il doppio del contributo unificato si applica solo nei casi in cui l’impugnazione sia dichiarata inammissibile, improcedibile o sia respinta nel merito, non nel caso di estinzione del processo per rinuncia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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