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Rinuncia al ricorso: chi paga le spese legali?

Un debitore, dopo aver perso un’azione revocatoria, ha presentato ricorso in Cassazione. Durante il giudizio, le parti hanno raggiunto una transazione, a seguito della quale il ricorrente ha formalizzato la rinuncia al ricorso. La Corte ha dichiarato estinto il procedimento e, applicando la regola generale, ha condannato la parte rinunciante al pagamento di tutte le spese legali, dato che l’accordo transattivo non prevedeva una diversa ripartizione.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia al ricorso: chi paga le spese se l’accordo tace?

La rinuncia al ricorso in Cassazione a seguito di una transazione tra le parti è una prassi comune per porre fine a una controversia. Ma cosa succede alle spese legali se l’accordo non dice nulla al riguardo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un principio fondamentale della procedura civile: in assenza di un patto contrario, l’onere delle spese ricade interamente sulla parte che rinuncia.

I fatti di causa

La vicenda nasce da un’azione revocatoria avviata da un istituto di credito nei confronti di un proprio debitore, al fine di rendere inefficace un atto con cui quest’ultimo aveva disposto di un suo bene. L’azione era stata accolta sia in primo grado che in appello. Il debitore, ritenendo ingiusta la decisione, aveva quindi proposto ricorso per cassazione.

Nelle more del giudizio di legittimità, il credito era stato oggetto di cessione a due diverse società. Tuttavia, prima che la Corte si pronunciasse nel merito, tutte le parti coinvolte sono riuscite a trovare un accordo, stipulando una transazione per chiudere definitivamente la lite. A seguito di tale accordo, il ricorrente ha depositato un atto di rinuncia al ricorso, accettato dalle controparti.

La rinuncia al ricorso e le spese di lite

Il punto cruciale affrontato dalla Corte non è stato il merito della controversia, ormai superato dalla transazione, ma la regolamentazione delle spese processuali. L’accordo transattivo, infatti, non conteneva alcuna clausola specifica sulla ripartizione delle spese legali del giudizio di cassazione.

In casi come questo, la legge prevede una regola chiara, stabilita dall’articolo 391 del Codice di procedura civile. Secondo tale norma, il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, a meno che non sia stato diversamente pattuito. La Corte ha quindi applicato questo principio, rilevando che la mancata previsione nell’accordo equivaleva a rimettersi alla disciplina legale.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato estinto il giudizio a causa della rinuncia al ricorso. Di conseguenza, ha condannato il ricorrente a pagare le spese di lite a favore di ciascuna delle parti controricorrenti.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su due pilastri. Il primo è l’applicazione diretta dell’art. 391 c.p.c., che stabilisce una presunzione di carico delle spese in capo al rinunciante. Le parti sono libere di derogare a questa regola nell’accordo transattivo, ma se non lo fanno, la norma si applica automaticamente.

Il secondo punto, altrettanto importante, riguarda il contributo unificato. La Corte ha escluso il raddoppio del contributo, spesso applicato in caso di impugnazioni respinte, inammissibili o improcedibili. Gli ermellini hanno chiarito che il raddoppio ha una natura sanzionatoria e, come tale, deve essere interpretato in modo restrittivo. La sua applicazione è limitata ai casi espressamente previsti dalla legge, tra i quali non rientra l’estinzione del giudizio per rinuncia. Citando un proprio precedente (Cass. n. 10140/2020), la Corte ha ribadito che questa ipotesi non può essere assimilata a quelle che comportano la sanzione del raddoppio.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: quando si redige un atto di transazione per chiudere una lite pendente, è fondamentale inserire una clausola chiara e specifica sulla ripartizione delle spese legali. Omettere questo dettaglio significa affidarsi alla regola generale del codice, che pone l’intero carico economico sulla parte che formalizza la rinuncia. Un’attenta redazione degli accordi transattivi può quindi evitare spiacevoli sorprese e ulteriori esborsi economici alla conclusione di una controversia.

Chi paga le spese legali se si rinuncia a un ricorso dopo aver firmato una transazione?
Se l’accordo di transazione non specifica nulla riguardo alle spese legali, la legge prevede che sia la parte che rinuncia al ricorso a doverle pagare a tutte le altre parti del processo.

Perché la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese?
La Corte ha applicato la regola prevista dall’articolo 391 del codice di procedura civile, poiché l’accordo di transazione stipulato tra le parti non conteneva alcuna clausola che derogasse a tale principio, lasciando quindi che fosse la legge a decidere.

In caso di rinuncia al ricorso, si deve pagare il doppio del contributo unificato?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il raddoppio del contributo unificato è una misura sanzionatoria applicabile solo in caso di rigetto, inammissibilità o improcedibilità del ricorso, e non si estende all’ipotesi di estinzione del giudizio per rinuncia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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