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Rinuncia al ricorso: chi paga le spese legali?

Una società ha presentato ricorso in Cassazione per poi rinunciarvi formalmente. La Corte ha dichiarato l’estinzione del giudizio e, applicando il principio di causalità, ha condannato la società ricorrente al pagamento delle spese legali. I costi sono stati liquidati a favore dello Stato, poiché i curatori fallimentari erano ammessi al patrocinio a spese dello Stato, e a favore di un’altra società controricorrente. La decisione chiarisce che la rinuncia al ricorso non comporta il pagamento del doppio del contributo unificato.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia al Ricorso: Analisi di un’Ordinanza della Cassazione sulle Spese Legali

La rinuncia al ricorso è un atto processuale che pone fine a un giudizio di impugnazione. Ma quali sono le sue conseguenze pratiche, soprattutto in termini di spese legali? Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione offre chiarimenti fondamentali, delineando chi deve sostenere i costi quando un procedimento si estingue in questo modo e specificando le differenze rispetto a un rigetto nel merito.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata aveva impugnato una decisione della Corte d’Appello, portando la controversia dinanzi alla Corte di Cassazione. Tuttavia, in un momento successivo, la stessa società ha deciso di fare un passo indietro, depositando un atto formale di rinuncia al ricorso.

Le controparti nel giudizio erano due: i curatori del fallimento della stessa società ricorrente (ammessi al patrocinio a spese dello Stato) e una società di gestione del risparmio, che si erano costituiti in giudizio per difendere le proprie ragioni. A seguito della rinuncia, la Corte è stata chiamata a decidere sull’estinzione del processo e, soprattutto, sulla ripartizione delle spese legali.

La Decisione della Corte: Estinzione e Condanna alle Spese

La Corte di Cassazione ha preso atto della rinuncia e ha dichiarato l’estinzione del giudizio di legittimità. La questione centrale, a questo punto, non era più il merito della controversia, ma la regolamentazione delle spese processuali. La Corte ha stabilito che la società ricorrente, avendo dato causa al giudizio e avendovi poi rinunciato, doveva essere condannata a rimborsare le spese legali sostenute dalle controparti.

Nello specifico, la condanna è stata duplice:
1. A favore dello Stato, per le spese sostenute per la difesa dei curatori fallimentari ammessi al patrocinio a spese dello Stato.
2. A favore della società di gestione del risparmio, che aveva resistito al ricorso presentando un controricorso.

Le conseguenze della rinuncia al ricorso sulle spese

La Corte ha inoltre precisato un punto di notevole importanza pratica: la rinuncia al ricorso non fa scattare l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, il cosiddetto “raddoppio del contributo”. Questo obbligo sorge solo in caso di rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, non in caso di estinzione per rinuncia.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte si fonda su principi consolidati del nostro ordinamento processuale. Il principio cardine è quello di causalità: chi dà inizio a un procedimento e poi vi rinuncia, causando attività difensiva da parte delle controparti, deve farsi carico dei costi generati. La rinuncia al ricorso, pur essendo un diritto della parte, non la esonera dalle responsabilità economiche derivanti dall’aver attivato la macchina della giustizia.

La motivazione relativa alla condanna a favore dello Stato è basata sull’articolo 133 del d.P.R. 115/2002 (Testo Unico sulle Spese di Giustizia). Questa norma prevede che, quando una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato risulta vittoriosa, il pagamento delle spese liquidate dal giudice vada effettuato a favore dello Stato. In questo caso, anche se non c’è stata una vittoria nel merito, la rinuncia ha prodotto un effetto analogo per i curatori, che non hanno visto accolte le pretese della ricorrente.

Infine, la motivazione per cui non è dovuto il raddoppio del contributo unificato risiede in un’interpretazione letterale della norma (art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/2002). La legge elenca tassativamente i casi in cui scatta l’obbligo di pagamento aggiuntivo, e l’estinzione del giudizio per rinuncia non è tra questi. Si tratta di una distinzione cruciale che differenzia nettamente l’esito di una rinuncia da quello di una sconfitta nel merito.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce importanti lezioni per chi affronta un contenzioso. Innanzitutto, la decisione di impugnare una sentenza deve essere ponderata, poiché anche un successivo ripensamento tramite rinuncia comporta conseguenze economiche significative. La condanna alle spese è quasi automatica e può essere anche molto onerosa.

In secondo luogo, emerge la rilevanza dell’istituto del patrocinio a spese dello Stato: la parte che agisce contro un soggetto ammesso a tale beneficio, in caso di soccombenza (o rinuncia), sarà tenuta a rimborsare le spese non alla controparte, ma direttamente all’Erario.

Infine, la pronuncia offre un importante chiarimento strategico: in situazioni in cui le probabilità di successo di un ricorso appaiono basse, la rinuncia al ricorso può rappresentare una via d’uscita per evitare il raddoppio del contributo unificato, una sanzione economica che si aggiungerebbe alla già certa condanna alle spese legali.

Cosa succede quando una parte rinuncia al ricorso in Cassazione?
Il giudizio si estingue, ovvero si chiude senza una decisione sul merito della questione. La Corte dichiara formalmente l’estinzione del procedimento.

Chi paga le spese legali in caso di rinuncia al ricorso?
La parte che ha rinunciato al ricorso è tenuta a rimborsare le spese legali alle controparti che si sono costituite in giudizio. Questo avviene in base al principio di causalità, secondo cui chi ha dato origine al procedimento deve sostenerne i costi.

In caso di rinuncia al ricorso, si deve pagare il doppio del contributo unificato?
No. La Corte ha chiarito che l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato (il cosiddetto “raddoppio”) non si applica in caso di estinzione del giudizio per rinuncia, ma solo nei casi di rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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