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Rinuncia al ricorso: chi paga le spese legali?

Una società di trasporti ha presentato ricorso in Cassazione contro una sentenza favorevole a un suo dipendente. Successivamente, la società ha effettuato una rinuncia al ricorso. Poiché il lavoratore non ha accettato la rinuncia, la Corte ha dichiarato estinto il processo ma ha condannato la società ricorrente al pagamento di tutte le spese legali, avendo dato causa al procedimento poi abbandonato.

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Rinuncia al ricorso: Analisi di un caso e le conseguenze sulle spese legali

La rinuncia al ricorso è un istituto processuale che consente a una parte di abbandonare la propria impugnazione prima che il giudice si pronunci. Tuttavia, questa scelta non è priva di conseguenze, specialmente per quanto riguarda le spese legali. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione chiarisce un punto fondamentale: chi rinuncia al ricorso deve pagare le spese, anche se la controparte non accetta la rinuncia. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione.

I Fatti del Caso

La vicenda nasce da una controversia di diritto del lavoro. Un dipendente aveva ottenuto una sentenza favorevole sia in primo grado sia in appello contro la società di trasporti per cui lavorava. La società, non accettando la decisione della Corte d’Appello, ha deciso di presentare ricorso per Cassazione. Il lavoratore si è costituito in giudizio presentando un controricorso per difendere le proprie ragioni.

Durante il procedimento, tuttavia, la società ricorrente ha cambiato strategia e ha depositato un atto di rinuncia al ricorso. A questo punto, si è verificato un passaggio cruciale: il lavoratore (controricorrente) non ha aderito formalmente a tale rinuncia. La questione è quindi passata al Collegio della Corte Suprema per decidere le sorti del processo e, soprattutto, a chi addebitare i costi.

La Decisione della Corte sulla rinuncia al ricorso

La Corte di Cassazione ha preso atto della rinuncia e, conformemente all’art. 391 del Codice di Procedura Civile, ha dichiarato l’estinzione del processo. Questo significa che il giudizio si è concluso senza una decisione sul merito del ricorso.

La parte più significativa della decisione riguarda però la condanna alle spese. Nonostante la chiusura anticipata del procedimento, la Corte ha stabilito che la società ricorrente, avendo dato causa al giudizio di legittimità per poi abbandonarlo, dovesse farsi carico di tutte le spese legali sostenute dal lavoratore. Le spese sono state liquidate e destinate direttamente al legale del dipendente, che si era dichiarato antistatario.

Le Motivazioni

La decisione della Corte si fonda su principi procedurali chiari e consolidati. In primo luogo, l’articolo 391 del Codice di Procedura Civile stabilisce che la rinuncia produce l’estinzione del processo. Tuttavia, i commi 2 e 4 dello stesso articolo regolano la questione delle spese in mancanza di adesione della controparte.

Il Collegio ha ritenuto che, poiché la società ricorrente ha dato origine al procedimento di Cassazione, costringendo il lavoratore a difendersi e a sostenere dei costi, è giusto che sia la stessa società a sopportare l’onere economico di un giudizio da essa stessa iniziato e poi interrotto. La mancata adesione del controricorrente non sposta questa responsabilità, ma anzi rende necessaria una pronuncia del giudice sulle spese.

Un ulteriore punto chiarito dalla Corte riguarda il cosiddetto ‘raddoppio del contributo unificato’. L’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002 impone al ricorrente soccombente di versare un ulteriore importo pari a quello del contributo unificato. La Corte ha specificato che questa norma ha natura sanzionatoria e si applica solo nei casi tassativi di rigetto, inammissibilità o improcedibilità del ricorso. Non trova, quindi, applicazione nel caso di rinuncia al ricorso, che porta all’estinzione del processo e non a una pronuncia di merito negativa.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la scelta di intraprendere un’azione legale ha delle responsabilità connesse, che non svaniscono semplicemente con la rinuncia. Chi decide di presentare un ricorso deve essere consapevole che, in caso di ripensamento, sarà molto probabilmente tenuto a rimborsare le spese legali alla controparte, a meno che non vi sia un accordo diverso tra le parti.

La decisione offre una tutela importante per la parte che subisce l’impugnazione, garantendo che non debba sostenere i costi di una difesa in un procedimento che viene poi abbandonato unilateralmente. Per le aziende e i privati, rappresenta un monito a valutare con estrema attenzione le probabilità di successo prima di avviare un ricorso, per evitare di incorrere in costi significativi anche in caso di successiva rinuncia.

Cosa succede se una parte rinuncia al ricorso in Cassazione?
Il processo si estingue, come previsto dall’art. 391 c.p.c. Questo significa che il procedimento si chiude senza una decisione sul merito della questione.

Chi paga le spese legali se la controparte non accetta la rinuncia al ricorso?
La parte che ha rinunciato al ricorso è condannata a pagare le spese legali del giudizio di legittimità. Secondo la Corte, questa parte ha dato causa al processo e deve quindi sostenerne i costi, anche se la controparte non ha aderito alla rinuncia.

In caso di rinuncia al ricorso, si deve pagare il doppio del contributo unificato?
No. La Corte ha chiarito che l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato si applica solo nei casi di rigetto, inammissibilità o improcedibilità del ricorso, non in caso di rinuncia, poiché si tratta di una misura sanzionatoria di stretta interpretazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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