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Rinuncia agli atti: chi paga le spese legali?

Una società avvia un procedimento d’urgenza che dura un anno, con un’intensa attività istruttoria (6 udienze, 14 testimoni). Al termine di questa fase, la società ricorrente presenta una rinuncia agli atti. Il Tribunale di Trento dichiara estinto il giudizio ma, contrariamente alla richiesta di compensazione delle spese, condanna la parte rinunciante a rimborsare integralmente le spese legali delle controparti. La liquidazione dei compensi viene calcolata tenendo conto della durata, della complessità e dell’attività processuale svolta, dimostrando che la rinuncia tardiva non esonera dal pagamento dei costi del giudizio.

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Pubblicato il 9 aprile 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia agli Atti: Attenzione ai Costi, la Ritirata Può Essere Onerosa

Quando si inizia una causa, l’obiettivo è ottenere una sentenza favorevole. Ma cosa succede se, a metà percorso, si decide di abbandonare l’azione legale? La rinuncia agli atti del giudizio è uno strumento che permette proprio questo, ma come dimostra una recente ordinanza del Tribunale di Trento, non è una mossa priva di conseguenze economiche. Anzi, può costare molto cara, specialmente se arriva dopo un’intensa e dispendiosa attività processuale. Analizziamo questo caso emblematico per capire perché chi rinuncia, spesso, paga.

I Fatti del Caso

Una società aveva avviato un procedimento d’urgenza (ex art. 700 c.p.c.) contro altre due aziende. La causa si è rivelata complessa e si è protratta per circa un anno. Durante questo periodo, il Tribunale ha gestito ben sei udienze e, soprattutto, ha condotto una fase istruttoria particolarmente impegnativa, che ha visto l’assunzione di quattordici testimoni e l’interrogatorio formale del legale rappresentante di una delle società resistenti.

Proprio all’esito di questa pesante attività di raccolta prove, la società ricorrente ha cambiato strategia, depositando una dichiarazione di rinuncia agli atti e chiedendo al giudice di dichiarare estinto il procedimento a spese compensate. Le società resistenti, tuttavia, si sono opposte alla compensazione, evidenziando come la rinuncia fosse giunta solo dopo un anno di battaglie legali e un’onerosa attività difensiva.

La Decisione del Giudice sulla Rinuncia agli Atti

Il Giudice del Tribunale di Trento ha accolto la rinuncia e dichiarato l’estinzione del procedimento. Tuttavia, ha respinto nettamente la richiesta di compensazione delle spese.

Al contrario, ha condannato la società rinunciante a rimborsare integralmente le spese legali sostenute dalle controparti. Il Giudice ha liquidato somme significative: quasi 13.000 euro per due società resistenti e oltre 9.000 euro per la terza, oltre a spese generali e accessori di legge. La decisione si fonda su un principio chiaro: la parte che costringe un’altra a difendersi in un processo lungo e complesso, per poi rinunciare, deve farsi carico dei costi generati dalla sua iniziativa.

Le motivazioni

Il cuore della decisione risiede nella valutazione del momento in cui è avvenuta la rinuncia. Il Giudice ha sottolineato che la rinuncia non è stata un ripensamento iniziale, ma è arrivata “all’esito dell’attività istruttoria”. Questo significa che le società resistenti sono state costrette a impegnare tempo e risorse per difendersi, redigere memorie, partecipare a numerose udienze e preparare l’escussione di ben quattordici testimoni.

Il Tribunale ha ritenuto che tale dispendio di attività processuale, causato unicamente dall’iniziativa della ricorrente, non potesse semplicemente essere ignorato con una compensazione delle spese. Per quantificare i compensi, il Giudice ha fatto riferimento ai parametri ministeriali (D.M. 147/2022), tenendo conto del valore indeterminabile della causa e applicando maggiorazioni per la complessità del caso, come previsto dal D.M. 55/2014. La liquidazione ha analiticamente considerato le diverse fasi del giudizio (studio, introduttiva, istruttoria), riconoscendo il lavoro svolto dai difensori delle parti resistenti.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito pratico: la rinuncia agli atti è un diritto processuale, ma il suo esercizio non è a costo zero. Chi decide di ritirare una causa dopo aver innescato una complessa macchina processuale deve mettere in conto di dover pagare le spese legali della controparte. Il principio non è punitivo, ma di equità: chi ha sopportato i costi di una difesa necessaria, a causa di un’azione legale poi abbandonata, ha diritto a essere ristorato. Prima di avviare un contenzioso, è quindi fondamentale valutare non solo le possibilità di vittoria, ma anche le conseguenze economiche di un’eventuale, e talvolta necessaria, marcia indietro.

Cosa succede se si rinuncia a una causa dopo che sono state raccolte le prove?
Secondo questa ordinanza, se la rinuncia agli atti avviene dopo un’intensa e costosa fase istruttoria (come l’ascolto di molti testimoni), la parte che rinuncia viene condannata a rimborsare integralmente le spese legali sostenute dalla controparte.

La parte che rinuncia può chiedere che le spese legali siano compensate?
Può chiederlo, ma il giudice non è obbligato ad accogliere la richiesta. Nel caso esaminato, il giudice ha respinto la richiesta di compensazione proprio perché la rinuncia è avvenuta tardivamente, dopo che le controparti avevano già sostenuto costi significativi per difendersi.

Come vengono calcolate le spese legali da rimborsare in caso di rinuncia?
Le spese vengono liquidate dal giudice tenendo conto di vari fattori: la durata del processo, il numero di udienze, la complessità delle questioni trattate e l’attività svolta (es. redazione di memorie, assunzione di prove). Il calcolo si basa su tabelle ministeriali (in questo caso, il D.M. n. 147/2022) che stabiliscono i compensi per ogni fase del giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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