Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27683 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 27683 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 482-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2706/2022 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/06/2022 R.G.N. 1/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/09/2025 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
Oggetto
R.G.N.482/2023
COGNOME.
Rep.
Ud 18/09/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato l’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE (da ora SIT) avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da NOME COGNOME, avente ad oggetto il pagamento della somma di € 5.325,00, oltre accessori, a titolo di differenze retributive maturate in ragione del rapporto di lavoro intercorso con la detta società.
La Corte di merito, respinta la eccezione di giudicato esterno formulata dal MCOGNOME, ha ritenuto provato il credito azionato in via monitoria argomentando dal difetto di corrispondenza tra quanto risultante come dovuto sulla base delle buste paga versate in atti e quanto risultante come corrisposto dalla datrice di lavoro a mezzo degli assegni prodotti; ha evidenziato che la società non aveva contestato la debenza delle somme né dedotto l’avvenut a corresponsione del residuo con altri mezzi di pagamento, essendosi limitata ad eccepire la esistenza di una rinunzia abdicativa del lavoratore contenuta nel documento del 3 novembre 2015; tale rinunzia secondo il giudice di appello era invalida per indeterminatezza dell’oggetto; nulla era dovuto dal lavoratore a titolo di indennità di preavviso stante la deroga concordata tra le parti al più ampio termine di preavviso stabilito dalla norma collettiva.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE sulla base di cinque motivi, illustrati con memoria; la parte intimata ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c., omesso esame di un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata in relazione alla interpretazione delle difese formulate da essa società nel giudizio di merito, in particolare con riferimento alla deduzione dell’avvenuto pagamento di quanto risultato dovuto sulla scorta delle buste paga prodotte da controparte.
2. Il motivo è inammissibile.
2.1. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, più volte espresso anche a Sezioni unite, l’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordina mento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), specificandosi che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così Sez. un. n. 8053/2014; Sez. un. n. 19881/2014); che in tale paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive o di censure proposte (Sez. un. n. 20399/2019). E’ stato, inoltre, precisato che non costituiscono fatti il cui omesso esame possa cagionare il vizio in parola: a) le argomentazioni o deduzioni difensive; b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi
rappresentato in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze astrattamente rilevanti; c) una moltitudine di fatti e circostanze, o il vario insieme dei materiali di causa; d) le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello, i quali costituiscono i fatti costitutivi della domanda in sede di gravame (in tal senso, riassuntivamente, Cass. n. 18318/2022; ma v., ex plurimis , in termini analoghi Cass. n. 10321/2023; n. 5616/2023; n. 26364/2022).
2.2. Alla luce di tale indirizzo deve escludersi che le censure articolate con il motivo in esame possano ricondursi al vizio denunziato ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c., sostanziandosi le stesse, in realtà, in una critica all’ interpretazione delle difese formulate dalla odierna ricorrente, critica peraltro non sorretta, in violazione dell’art. 366, comma 1 n. 6 c.p.c., dalla compiuta trascrizione degli atti di riferimento e comunque non articolata in conformità della costante giurisprudenza della S.C. secondo cui, in tema d’interpretazione degli atti processuali, la parte che censuri il significato attribuito dal giudice di merito deve dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 ss. c.c., indicando, a pena d’inammissibilità, quali criteri ermeneutici siano stati violati (Cass. n. 2360/2025, Cass. n. 16057/2016).
Con il secondo motivo parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c. per omessa pronunzia e motivazione sulla eccezione di pagamento formulata; si duole in particolare della mancata considerazione della dichiarazione di quietanza del lavoratore, che assume ulteriormente rafforzata nella
dichiarazione liberatoria avente chiara natura confessoria contenuta nella lettera di dimissioni del 3 novembre 2015.
Il secondo motivo è in parte assorbito dalla inammissibilità del primo motivo ed in parte inammissibile.
3.1. La doglianza di omessa pronunzia sulla eccezione di pagamento è infatti assorbita dall’inammissibilità del primo motivo, non essendo stata validamente censurata l’affermazione della Corte di merito secondo la quale la odierna ricorrente non aveva formulato alcuna eccezione di pagamento ma affidato le proprie difese esclusivamente alla deduzione della esistenza di una rinunzia abdicativa (sentenza, pag. 3, 3° cpv).
3.2. La censura di omessa motivazione è inammissibile per difetto di pertinenza con le ragioni della decisione; la Corte di merito, sulla scorta della ricostruzione operata in relazione alle difese articolate dalla società datrice di lavoro, ha infatti espressamente escluso la configurabilità di una rinunzia abdicativa nella comunicazione del 3 novembre 2015, dando, sia pure in forma sintetica, contezza del rilievo di nullità di tale rinunzia per indeterminatezza dell’oggetto.
Con il terzo motivo parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 2113 e 1418 c.c. censurando la interpretazione operata dalla Corte di merito della dichiarazione di quietanza contenuta nell’atto di dimissioni del lavoratore e il rilievo di nullità della stessa connesso a potenziali diritti indisponibili.
Con il quarto motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. violazione dell’art. 132, comma 2 . n. 4 c.p.c. per omessa, erronea e illogica motivazione su un punto decisivo e per apparenza di motivazione. Censura la sentenza impugnata per
non avere, nel rilevare la nullità della rinunzia, indicato specificamente i diritti indisponibili ipoteticamente contenuti nella t ransazione intervenuta tra le parti .
Il terzo ed il quarto motivo di ricorso, esaminati congiuntamente per connessione, devono essere respinti.
6.1. Si premette che la motivazione meramente apparente – che la giurisprudenza parifica, quanto alle conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante -sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico -giuridico destinato a sorreggere il decisum ( Cass. n. 9105/2017, Cass. Sez. Un.n. 22232/2016, Cass. n. 20112/2009) rimettendo all’interprete, come non consentito (Cass. n. 22232/2016 cit.), il compito di integrare la motivazione con le più varie, ipotetiche congetture; restando esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima in raffronto con le risultanze probatorie” (Cass. Sez. Un. n. 5888/1992). In sostanza, (Cass. n. 12632/ 2020) la mancanza di motivazione, quale causa di nullità per mancanza di un requisito indispensabile della sentenza, si configura “nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi” (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili, e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sé, restando esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione
medesima in raffronto con le risultanze probatorie” (Cass. SEZ. Un, n. 5888/1992 cit.).
6.2. Nel caso in esame, viceversa, la sentenza impugnata ha dato contezza dei presupposti fattuali e del percorso logicogiuridico seguito nell’argomentare il rilievo di nullità della rinunzia abdicativa contenuta nel documento del 3 novembre 2015. Ha mostrato infatti di ancorare tale nullità all’indeterminatezza dell’oggetto della rinunzia, vale a dire alla circostanza che i diritti oggetto in ipotesi di negozio abdicativo, secondo quanto evincibile dal brano tra virgolette riportato in sentenza, erano indicati con una formula riassuntiva, senza ulteriore specifica individuazione (sentenza, pag.3); quale ulteriore profilo di nullità della rinunzia, strettamente connesso al primo, ha evidenziato che in relazione all’ampiezza delle espressioni usate l’oggetto del negozio abdicativo avrebbe potuto ricomprendere anche diritti indisponibili-peraltro specificamente evidenziati nel medesimo contesto argomentativo (sentenza, pag. 3, 3° cpv,) – cioè posizioni soggettive attive che in quanto afferenti a diritti fondamentali non potevano costituire oggetto di rinunzia o transazione.
6.3. Parte ricorrente non si confronta specificamente con l’autonomo rilievo di nullità, per indeterminatezza dell’oggetto, della rinunzia abdicativa, rilievo che in quanto conseguente alla interpretazione da parte del giudice di merito della comunicazione del 3 novembre 2015 poteva essere incrinato solo dalla deduzione di violazione dei criteri legali di interpretazione, neppure formalmente denunziata dalla odierna ricorrente.
Con il quinto motivo parte ricorrente deduce ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione
dell’art. 132, comma 2. n. 4 c.p.c. censurando la sentenza impugnata per avere omesso di palesare l’iter argomentativo che aveva condotto ad affermare la volontà datoriale di rinunziare al termine di preavviso sancito dall’art. 70 c.c.n.l. . Rappresenta che la comunicazione di un periodo di preavviso inferiore da parte del lavoratore recava in calce la sola sottoscrizione del datore di lavoro, da intendersi come certificazione ed attestazione di ricezione dell’atto predisposto da controparte ma non quale espressione di volontaria rinunzia al più ampio di termine di preavviso che a mente della previsione collettiva risultava pari a due mesi.
Il quinto motivo è inammissibile in quanto, premesso che l’iter logico giuridico che sorregge il rigetto della domanda di condanna del lavoratore all’indennità di preavviso risulta agevolmente percepibile nei suoi presupposti fattuali e giuridici avendo la Corte di merito ritenuto che il termine a tal fine stabilito dalla contrattazione collettiva era stato ridotto per concorde volontà delle parti, a fronte dell’accertamento da parte del giudice di appello della esistenza di un atto negoziale, espressione della comune volontà delle parti di ridurre il termine di preavviso, la odierna ricorrente non poteva limitarsi a denunziare apparenza di motivazione ma doveva dedurre, come viceversa non avvenuto, la violazione di specifiche regole legali di interpretazione onde contrastare il risultato ermeneutico al quale era pervenut a la Corte di merito nell’interpretazione della volontà negoziale delle parti.
Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’ art.13 d. P.R. n. 115/2002 (Cass. Sez. Un. n. 23535/2019)
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 2.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, 18 settembre 2025
La Presidente AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME