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Rinuncia abdicativa: quando è nulla per vaghezza

Un ex dipendente ha richiesto il pagamento di differenze retributive. L’azienda si è opposta sostenendo che il lavoratore avesse firmato una rinuncia a ogni pretesa. La Corte di Cassazione ha confermato l’invalidità della rinuncia abdicativa perché formulata in modo generico e vago, senza specificare i diritti a cui si rinunciava, e potenzialmente lesiva di diritti indisponibili, confermando così il diritto del lavoratore al pagamento.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rinuncia Abdicativa del Lavoratore: la Cassazione ne Sancisce la Nullità se l’Oggetto è Vago

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti di validità della rinuncia abdicativa a diritti da parte del lavoratore. La Suprema Corte ha stabilito che una dichiarazione di rinuncia generica, contenuta in un atto come la lettera di dimissioni, è da considerarsi nulla se non specifica chiaramente e dettagliatamente i diritti ai quali si sta rinunciando. Questo principio protegge il lavoratore da rinunce inconsapevoli e potenzialmente lesive di diritti fondamentali.

I Fatti del Caso: Differenze Retributive e una Rinuncia Contestata

La vicenda ha origine dalla richiesta di un ex dipendente di ottenere il pagamento di circa 5.300 euro a titolo di differenze retributive non corrisposte dalla sua ex azienda. Il lavoratore aveva ottenuto un decreto ingiuntivo, al quale la società si era opposta.

Nei gradi di merito, la Corte d’Appello aveva dato ragione al lavoratore. I giudici avevano accertato che, sulla base delle buste paga, risultava un credito a favore del dipendente. L’azienda non contestava l’esistenza del debito, ma basava la sua difesa su una presunta rinuncia abdicativa contenuta in un documento di dimissioni firmato dal lavoratore. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva dichiarato tale rinuncia invalida per indeterminatezza dell’oggetto, ossia perché troppo generica.

La Questione della rinuncia abdicativa in Cassazione

L’azienda ha portato il caso dinanzi alla Corte di Cassazione, articolando il ricorso su diversi motivi, tutti incentrati sulla presunta erronea interpretazione delle sue difese da parte dei giudici di merito e sulla validità della rinuncia del lavoratore.

I motivi principali del ricorso si concentravano su:

1. Omesso esame di un punto decisivo: l’azienda sosteneva che i giudici non avessero considerato le sue argomentazioni sul pagamento.
2. Nullità della sentenza: per non essersi pronunciata sull’eccezione di pagamento e per una motivazione insufficiente sulla nullità della rinuncia.
3. Violazione di legge: contestando l’interpretazione che ha portato a dichiarare nulla la clausola di rinuncia.

La Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso dell’azienda, confermando la decisione della Corte d’Appello. I giudici supremi hanno chiarito in modo definitivo i principi che regolano la validità di una rinuncia abdicativa da parte del lavoratore.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto inammissibili o infondati tutti i motivi di ricorso. Il punto centrale della decisione risiede nell’analisi della clausola di rinuncia. La Cassazione ha confermato che la Corte d’Appello aveva correttamente applicato i principi di diritto, rilevando due profili di nullità:

1. Indeterminatezza dell’oggetto: la rinuncia era formulata in termini generici e riassuntivi, senza una specifica individuazione dei diritti a cui il lavoratore stava rinunciando. Una clausola “tombale”, che non elenca puntualmente le voci retributive o i diritti oggetto di rinuncia, è troppo vaga per essere considerata valida.
2. Coinvolgimento di diritti indisponibili: proprio a causa della sua genericità, la clausola avrebbe potuto includere anche diritti indisponibili del lavoratore (come quelli legati alla salute, alla sicurezza o a trattamenti retributivi minimi), che per loro natura non possono essere oggetto di rinuncia o transazione se non nelle sedi protette previste dalla legge.

La Corte ha inoltre specificato che criticare la valutazione del giudice di merito sull’interpretazione di un atto (come la lettera di dimissioni) richiede la deduzione della violazione di specifici canoni legali di ermeneutica contrattuale (artt. 1362 e ss. c.c.), cosa che l’azienda non aveva fatto correttamente.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale del diritto del lavoro: la tutela del lavoratore come parte contrattualmente più debole. Una rinuncia abdicativa per essere valida deve essere chiara, specifica e non deve ledere diritti indisponibili. Le formule generiche “a saldo di ogni pretesa” non hanno valore se non sono accompagnate da un’analitica descrizione dei diritti che ne costituiscono l’oggetto. I datori di lavoro devono quindi prestare la massima attenzione nella redazione di accordi transattivi o liberatori, assicurandosi che rispettino i requisiti di determinatezza richiesti dalla legge, pena la loro totale nullità.

Perché la rinuncia ai diritti firmata dal lavoratore è stata considerata nulla?
La rinuncia è stata dichiarata nulla per due motivi principali: l’indeterminatezza dell’oggetto, in quanto la clausola era generica e non specificava quali diritti venivano rinunciati, e il potenziale coinvolgimento di diritti indisponibili del lavoratore, che non possono essere oggetto di rinuncia.

Una clausola generica “a saldo di ogni pretesa” in una lettera di dimissioni è sufficiente per impedire al lavoratore di richiedere crediti futuri?
No, secondo questa decisione non è sufficiente. La Corte ha stabilito che una formula così generica è invalida proprio perché non permette di identificare con certezza i diritti oggetto della rinuncia, violando il requisito della determinatezza dell’oggetto.

Come deve essere formulata una rinuncia per essere considerata valida?
Per essere valida, una rinuncia deve specificare in modo chiaro e dettagliato i singoli diritti e le somme a cui il lavoratore intende rinunciare. Deve avere un oggetto determinato o determinabile e non può riguardare diritti indisponibili previsti dalla legge o dai contratti collettivi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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