Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2842 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2842 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 284/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE “COGNOMERAGIONE_SOCIALECOGNOME RAGIONE_SOCIALE, in persona dei soci e legali rappresentanti, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in ROMA INDIRIZZO, pec:
-ricorrente-
contro
INPS, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio della seconda in ROMA INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 1406/2022 depositata il 29/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c. NOME COGNOME e NOME COGNOME in qualità di soci e legali rappresentanti dell’associazione professionale ‘COGNOME De COGNOME RAGIONE_SOCIALE‘, agirono in giudizio perché fosse dichiarata l’attuale vigenza del contratto di locazione tra l’Associazione e l’Inps, quale proprietario di tre unità immobiliari site in Padova, concesse inizialmente in locazione dal Ministero del Tesoro.
L’Inps (succeduto ex lege ad Inpdap, a sua volta succeduto a Casse ed Istituti di Previdenza amministrati dalla soppressa Direzione Generale degli Istituti di Previdenza del Ministero del Tesoro), si costituì in giudizio chiedendo, in rito, dichiararsi la nullità del ricorso introduttivo e, nel merito, rigettarsi la domanda o, in via subordinata, nella ipotesi di ritenuta rinnovazione del contratto in data 17/9/1987, dichiararsi lo stesso cessato in data 28/2/2005.
Il Tribunale, respinta l’eccezione di nullità della notifica, rigettò la domanda osservando che il contratto era pacificamente scaduto il 31/8/1980, ed in seguito non era stato stipulato alcun contratto nuovo in forma scritta né poteva ritenersi tacitamente rinnovato quello precedente perché, a fronte di una disponibilità del Ministero al rinnovo a determinate condizioni, l’ Associazione professionale non aveva mai accettato la proposta in forma scritta sicché, pur continuando a pagare somme, doveva ritenersi occupare senza titolo e le somme dovevano intendersi versate a titolo di indennità di occupazione.
A seguito di appello dell’Associazione che ripropose la tesi per cui, ferma la cessazione dell’originario contratto di locazione alla data del 31/8/1980, doveva ritenersi perfezionato un nuovo contratto locatizio tra la proprietà
(Inps) e l’Associazione in data 1/3/1987, la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato il gravame, con condanna dell’appellante alle spese.
Avverso la sentenza l’Associazione propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
Resiste l’Inps con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria
Considerato che:
con il primo motivo – nullità della sentenza ex art. 360, n. 4, cpc in relazione all’art. 112 (e art. 345, co.2) cpc – la ricorrente lamenta che la corte d’appello ha omesso di decidere sull’eccezione di intervenuto rinnovo del contratto di locazione per effetto della sua clausola n. 17, che prevedeva il rinnovo tacito del contratto, in assenza di disdetta.
Il motivo è infondato, in quanto, contrariamente a quanto ivi affermato, la Corte d’Appello si è pronunciata espressamente sulla questione dedotta, rigettandola. La sentenza d’appello così motiva (pagg. 3-4): ‘Nel merito, l’appello non può essere accolto. Il tribunale sottolinea che all’esito delle proroghe legali la scadenza del 31.8.1980 è pacifica in causa, come riconosce l’associazione in ricorso al punto 6: «l’originario contratto in applicazione dell’art. 71 l. 392/1978 è scaduto il 31.8.1980». 10. Successivamente, non vi è stata proroga in forma scritta necessaria ai sensi degli artt. 16s. RD 2440/1923, trattandosi di controparte pubblica. Non si può configurare un rinnovo tacito, ipotesi esclusa da Cass. SU 265/1985 per i contratti anteriori alla l. 392/1978: in tali casi il locatore «può esercitare l’azione di rilascio, alle scadenze fissate, per i rapporti soggetti o non soggetti a proroga nella previgente legislazione, rispettivamente dagli artt. 67 e 71 di detta legge, senza essere tenuto a comunicare al conduttore a quali condizioni intenda addivenire a una nuova locazione, e senza essere sottoposto alla disciplina della rinnovazione e del diniego di rinnovazione del rapporto alla prima scadenza, di cui agli artt. 28, 29 e 30 della citata legge, tenuto conto che tali norme, dettate per i contratti sorti nella vigenza della
nuova disciplina, non sono applicabili nella regolamentazione transitoria delle locazioni in corso, in difetto di un espresso richiamo, non ravvisabile, in particolare, negli artt. 69 e 73, riguardanti i diversi istituti della prelazione e del recesso; da ultimo, vd. Cass. 23694/2004: «in tema di locazione di immobili urbani adibiti a uso diverso da quello abitativo – e con riferimento alla disciplina transitoria dettata dalla legge 27 luglio 1978 n. 392 – nessuna disposizione prevede espressamente l’ipotesi di una rinnovazione automatica dei contratti alle scadenze previste dagli art. 67 e 71, mancando un qualsiasi richiamo all’art. 28, che disciplina il fenomeno in regime ordinario. Perciò alle suddette scadenze il locatore può ottenere il provvedimento di rilascio dell’immobile intimando la convalida per finita locazione e senza dover fornire alcuna giustificazione, riconducibile ai motivi di cui all’art. 29, nonché senza essere onerato della disdetta prescritta dall’art. 73»’.
Risulta quindi evidente l’insussistenza del denunciato vizio di omessa pronuncia.
Del resto, l’infondatezza è rivelata dal dubbio dello stesso ricorrente che lo porta a proporre il secondo motivo: si ribadisce, per come emerge dal passo riportato, che la prospettiva che alla scadenza convenzionale 31.8.1980 il contratto potesse essersi rinnovato a termini di clausola contrattuale non si può considerare ignorata dalla sentenza, ma solo implicitamente disattesa, sia con il riferire della pacificità fra le parti del verificarsi di quella scadenza, sia con il sostenere, invocando la sentenza delle S.U. del 1985, l’esclusione di una operatività della clausola convenzionale di rinnovo.
Peraltro, la prospettiva dell’operare della clausola alla scadenza della proroga disposta ex lege e, dunque, con riferimento ad una scadenza sovrapposta alla disciplina convenzionale dalla legge, è insostenibile, atteso che l’operare della clausola venne neutralizzato dalla legge.
Il secondo motivo deduce ‘Nullità della sentenza ex art. 360, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 115 c.p.c., per il caso in cui si reputi che la sentenza di appello abbia rigettato la eccezione di rinnovo tacito in ragione
dell’affermata natura “pacifica” dell’intervenuta scadenza del contratto di locazione al 31.8.1980, la statuizione sarebbe erronea: il giudice ha il dovere di porre a fondamento della propria decisione i fatti non contestati dalle parti a meno che tali fatti non siano smentiti dal materiale probatorio in atti, com’è nel caso di specie’ .
Secondo la ricorrente, nell’ipotesi in cui il passaggio della sentenza dovesse leggersi quale ragione del rigetto implicito del rinnovo tacito a norma dell’art. 17 del contratto, il giudice comunque non poteva ritenere vero il fatto ‘pacifico’ tra le parti ma doveva rilevare anche d’ufficio l’esistenza della clausola di rinnovo tacito e l’assenza di disdette a tal fine rilevanti. Sicché la sentenza sarebbe da cassare – per violazione dell’art. 115 c.p.c.per il caso in cui l’eccezione di rinnovo tacito anziché ignorata, come sostenuto con il primo motivo di ricorso, fosse ritenuta rigettata per essere il fatto della cessazione del contratto alla data del 31/8/1980 pacifico tra le parti.
Anche tale secondo motivo è destituito di ogni fondamento. Va detto in primo luogo che la non contestazione costituisce un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che deve astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale, ritenendolo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti (tra le altre, Cass. 12517/16). Nel caso di specie come si è già visto in relazione al motivo che precede, la Corte di Appello, contrariamente a quanto affermato dalla odierna ricorrente, ha espressamente escluso che potesse configurarsi una rinnovazione tacita per il contratto di locazione de quo, in quanto contratto in corso alla data di entrata in vigore della legge 392/78 e non soggetto a proroga ma alla disciplina transitoria, inderogabile (o meglio, derogabile nei soli limiti già innanzi evidenziati), di cui all’art. 71 della stessa legge. Quindi non c’è alcuno spazio per l’operatività del principio di non contestazione: è peregrino, giusta l’osservazione appena fatta, il sostenere che, pur in presenza del fatto pacifico fra le parti della scadenza
al 31.8.1980, la corte territoriale avrebbe dovuto rilevare l’errore delle parti e ritenere invece che il contratto si fosse rinnovato tacitamente in forza della clausola contrattuale. Tanto si osserva non senza doversi rilevare che la corte ha tratto conferma della correttezza del fatto ritenuto pacifico dalla sentenza delle S.U., evocata successivamente all’affermazione della pacificità della scadenza.
Con il terzo motivo, si lamenta: ‘Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – ex art. 360 n. 3 c.p.c. -, in relazione agli artt. 16 e 17 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, per avere il Giudice d’appello erroneamente ritenuto, alle pagine 3 e 4 della sentenza impugnata, che «Successivamente, non vi è stata proroga in forma scritta necessaria ai sensi degli artt. 16s. RD 2440/1923, trattandosi di controparte pubblica. 11. Non si può configurare un rinnovo tacito, ipotesi esclusa da Cass. SU 265/1985 per i contratti anteriori alla l. 392/1978». Violazione e falsa applicazione dell’art. 69 della l. 392/78, come sostituito dall’art. 1 del d.1. n. 832/1986′ . La ricorrente si duole del fatto che non sia stato ravvisato, nel comportamento tenuto dalle parti successivamente alla scadenza del contratto del 31/8/1980, un accordo integrante la rinnovazione del contratto di locazione. Il motivo non coglie le rationes decidendi dell’impugnata sentenza la quale così motiva (pp. 4-5) : ’12. Infine, non è dimostrata la conclusione di un nuovo contratto in forma scritta, laddove anche il pagamento di somme si giustifica come indennità di occupazione, e non come canone di una valida locazione. Oltre tutto, risulta che l’INPS lungi dall’autorizzare qualche proroga, intendeva vendere l’immobile (vd. lettera 18.2.2019).13. Si esclude la rilevanza di un affidamento idoneo a sostituire la conclusione del contratto scritto. 14. Quanto alla lettera dell’1.3.1987 (con la quale il ministero ha dichiarato la disponibilità a rinnovare il contratto), è ovviamente superata dalla disdetta intimata dall’INPS subentrante nella proprietà il 17.3.2003 (doc. 9), e comunque non è una proposta che la controparte ha accettato in forma espressa, visto che il ministero aveva chiesto di rendere nota la volontà ai sensi dell’art. 69 l. 392/1978 e successive modificazioni, ovvero in forma scritta. Nei fatti, non
vi è un documento a riprova che la conduttrice ha accettato le condizioni proposte dal locatore’ .
Chiarito già, a confutazione dei motivi precedenti, che la clausola di cui all’art. 17 del contratto di locazione non poteva operare successivamente all’entrata in vigore della legge 392/78, stante la portata inderogabile della norma di cui all’art. 71 della stessa legge (e salvo le ipotesi individuate da tempo da codesto Supremo Collegio, non ricorrenti nel caso di specie), la tesi della formazione di un accordo tacito, per effetto di ‘comportamenti univocamente concludenti’ , non può trovare evidentemente accoglimento. In tal senso , ex multis , Cass. civ. sez. VI, 23/06/2011, n. 13886, per la quale ‘La volontà della p.a. di obbligarsi non può desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo essere manifestata nelle forme richieste dalla legge, tra le quali l’atto scritto “ad substantiam”; pertanto, nei confronti della stessa p.a., non è configurabile alcun rinnovo tacito del contratto di locazione, né rileva, per la formazione del contratto, un mero comportamento concludente, anche protrattosi per anni’ .
Come evidenziato di recente da Cass. SU 9775/22, la ratio di tale principio – per cui i contratti conclusi dallo Stato e dagli enti locali richiedono, per l’appunto, la forma scritta a pena di nullità, con esclusione di qualsivoglia manifestazione di volontà implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi – trova fondamento nei principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 Cost., nella misura in cui la forma scritta assolve la funzione di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, permettendo di identificare con precisione l’obbligazione assunta ed il contenuto negoziale dell’atto, così da renderlo controllabile da parte dell’autorità tutoria (fra le molte: Cass., 14 dicembre 2006, n. 26826; Cass., 26 ottobre 2007, n. 22537; Cass., 14 aprile 2011, n. 8539; Cass., 22 dicembre 2015, n. 25798; Cass., 17 giugno 2016, n. 12540; Cass., 27 ottobre 2017, n. 25631; Cass., 23 gennaio 2018, n. 1549; Cass., S.U., 9 agosto 2018, n. 20684). Pur potendo la conclusione del contratto ritenersi integrata a mezzo di documenti non contestuali ai sensi dell’art. 17 del r.d. n. 2440 del 1933, la
necessità della forma scritta ad substantiam , è imprescindibile perché risponde alla tutela del principio costituzionale di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione, che vincola quest’ultima in forza di un programma contrattuale univoco, chiaro, senza incertezze dovute a contenuti impliciti o taciti, tale, quindi, che le obbligazioni assunte possano essere individuate in modo preciso, anche al fine di rendere pianamente esercitabili i controlli tutori sull’attività negoziale della parte pubblica’ . Pertanto, la ratio della norma non va ravvisata nel fatto che ‘l’ente pubblico ha agito in veste autoritativa’, come si legge nell’odierno ricorso, quanto semmai nella necessità di osservare norme inderogabili di contabilità pubblica. Rispetto a tali norme, perfettamente conosciute e conoscibili dai professionisti ricorrenti, non si pone evidentemente alcun problema di tutela dell’affidamento. Affidamento peraltro del tutto insussistente sotto un profilo di fatto: sia perché la proprietà non ha mai lasciato intendere in alcun modo di ritenere vigente un contratto di locazione (ferma restando l’irrilevanza di una convinzione eventualmente diversa dei ricorrenti), sia perché, come del resto evidenziato nella sentenza impugnata, la proprietà ha, anzi, con nota del 17/3/2003, seppur per mera prudenza dettata proprio dal permanere degli ex conduttori nei locali oggetto di causa, nuovamente disdettato il rapporto locatizio. Di talché, ove mai per pura ipotesi si volesse ritenere che il rapporto locativo sia proseguito dopo la scadenza del 1980, il contratto sarebbe comunque cessato, per effetto della successiva disdetta, in data 28/02/2005. In ogni caso, quindi, all’atto della introduzione del presente giudizio, il contratto di locazione era irrimediabilmente cessato ormai da anni. Il che rende vieppiù evidente, peraltro, il difetto di interesse della ricorrente alla decisione dell’odierno ricorso. Peraltro, per mera completezza espositiva, si osserva che, come ammesso dalla stessa ricorrente, nella fattispecie concreta non è ravvisabile neanche uno scambio di comunicazioni scritte di proposta e accettazione, non essendo pervenuta alcuna risposta, da parte dell’associazione conduttrice, alla richiesta del Ministero allora proprietario del 23/02/1987.
Aggiuntivamente si rileva comunque che, avuto riguardo alla disciplina dell’art. 69 l. n. 392 del 1978 e alla necessità della forma scritta per la stipula del contratto, il pagamento del canone indicato dal Ministero ai sensi dell’art. 69 non poteva implicare un’accettazione per fatto concludente. La contraddittoria invocazione della clausola n. 17, naturalmente, è poi meritevole delle considerazioni già espresse a proposito dei primi due motivi, il che rende pretestuoso e non pertinente il richiamo dei precedenti di cui all’ultima riga della pag. 13 ed all’inizio della pagina 14.
Il quarto motivo deduce ‘Nullità della sentenza ex art. 360, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c. e all’art. 111 Cost.: totale carenza di motivazione in relazione all’affermata (ma minimamente giustificata) esclusione della « rilevanza di un affidamento idoneo a sostituire la conclusione del contratto scritto» (punto 13, sent. app.)’ .
Il motivo è manifestamente infondato perché non vi è alcuna motivazione apparente. La frase contestata, di cui al punto 13 della sentenza impugnata, va letta, evidentemente, in correlazione agli altri punti della medesima sentenza, in particolare ai punti 10 e 11 che ribadiscono la necessità che il rinnovo avvenga in forma scritta, in ossequio alle disposizioni inderogabili di cui agli artt. 16 ss. R.D. 2440/23 e richiamano la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui, nel regime transitorio della legge n. 392 del 1978, deve ritenersi esclusa la cosiddetta rinnovazione automatica dei contratti di locazione per uso non abitativo non soggetti a proroga (e questo anche in presenza di una clausola convenzionale di tacita riconduzione). Di talché l’affermazione di cui al punto 13 della sentenza, riportata da parte ricorrente, altro non è, in tutta evidenza, se non la conclusione del ragionamento che precede (ragionamento che peraltro, sebbene in sintesi, ricalcava pedissequamente, richiamandola, la motivazione della sentenza di primo grado). Ossia che, alla luce delle disposizioni inderogabili richiamate, un eventuale affidamento, ove mai sussistito, comunque non sarebbe stato idoneo a sostituire la conclusione di un contratto scritto.
Con il quinto motivo, parte ricorrente lamenta: ‘Violazione e falsa applicazione di norme di diritto – ex art. 360 n. 3 c.p.c. -, in relazione all’art. 1375 c.c., per avere il Giudice d’appello erroneamente ritenuto, alla pagina 4, punto 13, della sentenza impugnata, che «Si esclude la rilevanza di un affidamento idoneo a sostituire la conclusione del contratto scritto»’ . Si tratta della medesima doglianza di cui al precedente motivo risolvendosi essa nella riproposizione, per l’ennesima volta, della tesi dell’avvenuta rinnovazione del contratto di locazione per effetto di comportamenti concludenti, ossia il pagamento delle somme via via richieste dalla proprietà successivamente alla scadenza legale del contratto del 1980. Si tratta delle medesime argomentazioni già spese in relazione ai precedenti motivi, del tutto inidonee a scalfire l’iter logico motivazionale alla base della sentenza impugnata. Peraltro, trattandosi di vicenda soggetta, per più aspetti, a norme inderogabili, certamente ben note ai professionisti ricorrenti, non si intende neanche, dalla esposizione del motivo, quali sarebbero stati i comportamenti dell’ente proprietario tali da determinare la censura della sentenza di appello per violazione dell’art. 1375 c.c. Anzi, dalla stessa esposizione del motivo, si trae conferma che il Ministero del Tesoro, successivamente alla scadenza legale del contratto, ebbe a comunicare alla conduttrice i termini per l’eventuale rinnovo del contratto, ai sensi e nei termini di cui agli artt. 69 e 71 l. 392/78 richiedendo espressamente che la conduttrice comunicasse il proprio assenso entro i successivi trenta giorni; che la conduttrice non rispose in alcun modo a tale proposta; che con nota del 17/3/2003 attesa l’insistenza di parte conduttrice nelle proprie tesi, la proprietà ebbe ad inviare cautelativamente, a mezzo del gestore RAGIONE_SOCIALE, una nuova ed ulteriore disdetta, regolarmente ricevuta. Merita aggiungere che in tale arco temporale è intercorsa ulteriore corrispondenza tra le parti e mai è stata adombrata, da parte della proprietà, la esistenza di un nuovo contratto di locazione tra esse.
Conclusivamente il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di una somma a titolo di contributo unificato, pari a quella versata per il ricorso, se dovuta.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di cassazione che liquida in € 6000 (oltre € 200 per esborsi), più accessori e spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile