Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16742 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16742 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. R.G. 16361/2019, proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME , rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in INDIRIZZO INDIRIZZO.
RICORRENTI
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO.
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 702 del 2019, depositata in data 26.3.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 3.4.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE ha adito il Tribunale di Firenze, chiedendo di pronunciare la risoluzione del contratto di somministrazione di prodotti di gelateria concluso il 3 gennaio 2011
Oggetto: somministrazione
con la RAGIONE_SOCIALE, lamentando che detta società aveva violato il patto di esclusiva contemplato dal contratto, e di condannare i convenuti al pagamento della penale prevista per l’inadempimento.
In contraddittorio con la RAGIONE_SOCIALE e con i soci NOME COGNOME e NOME COGNOME, il Tribunale ha respinto la domanda, ritenendo che il contratto del 2011 costituisse una mera proroga annuale di quello stipulato dalle parti nel 2010, legittimamente disdetto dalla ricorrente in data 25.2.2012.
La pronuncia, impugnata dalla RAGIONE_SOCIALE, è stata riformata in appello.
Secondo la Corte distrettuale, in data 3 gennaio 2011 le parti avevano concluso un nuovo e diverso contratto avente una durata quinquennale, non già concordato una semplice proroga annuale di quello già in essere dal 2010.
I due contratti non erano contenutisticamente sovrapponibili, poiché il secondo di essi, concluso nel 2011, prevedeva condizioni economiche diverse da quelle precedenti e, per il primo anno, un’anticipazione dello sconto sul fatturato globale di €. 9.361,00, di cui €. 3.584 da accreditare su un estratto conto e la rimanente parte da pagare con assegno, potendo siffatta agevolazione avere un senso solo nell’ottica di una durata quinquennale del rapporto, venendo altrimenti lo sconto ad eguagliare il fatturato per il solo anno 2011.
Nessun effetto poteva avere prodotto la disdetta del contratto inoltrata dalla RAGIONE_SOCIALE nel 2012, data la durata quinquennale della somministrazione e, inoltre, era provato, secondo il giudice distrettuale, che la ricorrente avesse instaurato rapporti con altri fornitori in violazione del patto di esclusiva, giustificandosi la
risoluzione e l’addebito della penale pari a quattro annualità, per il periodo in cui il rapporto non aveva avuto esecuzione.
Per la cassazione della sentenza la RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso in quattro motivi, cui ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
In prossimità dell’adunanza camerale le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’eccezione di inammissibilità del ricorso è infondata: l’impugnazione non si risolve in una richiesta di riesame del fatto ed è formulata in modo sufficientemente specifico, con compiuta descrizione delle vicende sostanziali e processuali e con argomentata esposizione delle critiche alla sentenza impugnata, non precluse ai sensi dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c..
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 1941, 1362, 1375, 2956 c.c., 9 della legge 192/1998 e vizio di motivazione, per aver la Corte di merito desunto la durata quinquennale del contratto del 3 gennaio 2011 dalla regolazione economica del rapporto, senza aver ricercato la comune intenzione delle parti alla luce di tutte le clausole contrattuali, evidenziandosi che il mutamento anche sostanziale delle condizioni economiche del rapporto non richiede necessariamente la stipulazione di un nuovo contratto ma dà luogo, di norma, ad una semplice modificazione di quello già vigente.
Risulterebbe violato anche il criterio di interpretazione conservativa, poiché la durata quinquennale del nuovo rapporto avrebbe superato anche la durata legale massima del patto di esclusiva.
La pronuncia sarebbe, infine, censurabile anche per avere ritenuto che la società ricorrente fosse pienamente consapevole della durata
quinquennale in base alla data del recesso, comunicato tardivamente il 25 Febbraio 2012, dando rilievo ad una circostanza del tutto ininfluente, e per aver disatteso i criteri di interpretazione secondo buona fede, non avendo considerato che le parti, nel compilare il modulo contrattuale predisposto, avevano barrato la casella con la dicitura ‘rinnovo’ anziché quella con la dicitura ‘nuovo contratto’, a riprova che legittimamente la RAGIONE_SOCIALE aveva confidato in una proroga annuale del rapporto instaurato nel 2010.
Si deduce che la NOME aveva sottoposto alla firma due contratti entrambi qualificati come rinnovi, nonostante la modifica di talune soltanto delle condizioni economiche, sostenendo infine che, nel dubbio, il contratto doveva essere interpretato nel senso più favorevole alla parte aderente.
Il motivo non merita accoglimento.
In primo luogo, difetta in ricorso la riproduzione del contenuto delle clausole contrattuali, apparendo la censura carente di una compiuta esposizione dei fatti rilevanti ai sensi dell’art. 366 c.p.c.
Può comunque evincersi dal ricorso (cfr. pag. 11) che la durata quinquennale del contratto concluso nel 2011 era stata oggetto di una previsione testuale contenuta nell’art. 3 del modulo sottoscritto dalle parti e tale dato letterale non era superabile.
L’art. 1362 c.c., allorché prescrive all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento testuale del contratto ma, al contrario, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è più consentita (Cass. 21576/2019; Cass. 4189/2019).
Solo se il risultato in tal modo ottenuto non consenta di pervenire a soluzioni certe, è consentito l’utilizzo dei criteri sussidiari di interpretazione (Cass. 7972/2007; Cass. 9786/2010; Cass. 27564/2011; Cass. 5595/2014).
A tali principi si è attenuta al Corte di merito che, oltre all’elemento letterale, ha dato rilievo alle rilevanti modifiche contenutistiche del rapporto, specie riguardo alla pratica degli sconti, anticipati in misura significativa sin dal primo anno, evidenziando che quelle modifiche erano incompatibili con una semplice proroga annuale del rapporto.
Non confuta tale conclusione il fatto che, nel sottoscrivere nel 2011 il modulo predisposto con le relative condizioni contrattuali, i contraenti avevano barrato la casella con la dicitura ‘ rinnovo ‘ anziché con la dicitura ‘ nuovo contratto ‘: la Corte di merito, nel sostenere che le parti avevano concluso un nuovo contratto, ha -in realtà inteso valorizzare l’adozione di un regolamento di interessi incompatibile con la persistente vigenza del contratto del 2010 per escludere una mera proroga annuale del rapporto già in essere, senza voler affatto negare che detto rapporto si fosse sviluppato sin dal 2004 (cfr. sentenza, pag. 3).
Non ha rilievo, per i fini di cui si discute, la durata legale massima del patto di esclusiva, poiché la limitazione temporale prevista dall’art. 2596 c.c. non si applica ai rapporti di somministrazione, non essendo neppure in discussione che il patto avesse carattere autonomo rispetto al contratto cui accedeva, in modo da assumere un’autonoma funzione regolatrice della concorrenza (Cass. 21729/2013).
Peraltro, anche qualora la clausola di esclusiva svolga una funzione autonoma di limitazione della concorrenza, non v’è ragione perché i
limiti temporali posti dall’art. 2596 c.c., si riflettano sulla durata del contratto di somministrazione.
Ove tale autonomia sia esclusa, alla intervenuta proroga tacita del contratto non può non essere ricollegata, in difetto di una diversa volontà delle parti, la proroga dell’efficacia della clausola di esclusiva per l’intera durata del contratto (Cass. 1238/2000).
Non è infine sindacabile il mancato utilizzo dei criteri interpretativi residuali: compete al giudice di merito la scelta del mezzo ermeneutico più idoneo all’accertamento della comune intenzione dei contraenti, scelta che non è sindacabile in sede di legittimità qualora sia stato rispettato il principio del “gradualismo”, secondo il quale deve farsi ricorso ai criteri interpretativi sussidiari, solo quando risulti non appagante il ricorso ai criteri di cui agli artt. 13621365 c.c. e il giudice fornisca compiuta ed articolata motivazione della ritenuta equivocità ed insufficienza del dato letterale (Cass. 12721/2007; Cass. 11278/2005; Cass. 8713/2004; Cass. 9786/2010).
2. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 1382, 1453 c.c., 115 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo, per aver la Corte d’appello dichiarato la risoluzione del contratto, ritenendo violato il patto di esclusiva benché i rapporti con i nuovi fornitori fossero stati instaurati solo dopo la comunicazione di recesso inviata il 25 Febbraio 2012, per cui, essendo l’attività della ricorrente di natura stagionale, non vi sarebbe stato alcun inadempimento prima di tale data, dovendosi comunque considerare che la pattuizione di un’ulteriore esclusiva quinquennale sarebbe stata illegittima. In ogni caso, la penale andava calcolata per i tre anni e mezzo residui circa di durata del contratto.
Il motivo è infondato.
La Corte di merito ha stabilito che nell’aprile 2012 la RAGIONE_SOCIALE non aveva esercitato un recesso, ma dato disdetta del contratto sull’erroneo presupposto che il rapporto avesse una durata residua di un anno.
Il suddetto rapporto era -quindi -rimasto in essere per un ulteriore quinquennio e la violazione del patto di esclusiva, anche se successiva al febbraio 2012, poteva certamente integrare un inadempimento (la cui gravità non è oggetto di censura) tale da giustificare la risoluzione, indipendentemente dal carattere stagionale dell’attività svolta dalla ricorrente ; né può ritenersi, per quanto detto, che il patto di esclusiva avesse perso efficacia per superamento del termine massimo ex art. 2596 c.c.
Il danno è stato – dunque – legittimamente calcolato in relazione all’intero periodo in cui il rapporto non aveva avuto regolare esecuzione a causa dell’inadempimento, tenuto conto della prevista durata quinquennale con effetto dalla stipula.
Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per avere la sentenza trascurato che, nel sottoscrivere il contratto del 2011, era stata barrata la casella ‘ rinnovo ‘ e non quella recante la dicitura ‘nuovo contratto’.
Il motivo è infondato.
Si è già evidenziato, nell’esame del primo motivo, che l’aver le parti barrato la casella con la dicitura rinnovo valeva non già a negare, ma a confermare che i rapporti commerciali tra le parti si erano sviluppati sin dal 2004, non avendo avuto inizio nel 2011: la Corte di merito, nel ritenere concluso un nuovo contratto, ha semplicemente posto l’accento sulle rilevanti modifiche contenutistiche del rapporto per escludere che nel 2011 le parti avessero semplicemente prorogato il contratto preesistente.
Sotto tale profilo quindi, la denunciata omissione è priva di decisività, non potendo provare una proroga annuale o cheil rapporto fosse già estinto al momento della violazione del patto di esclusiva.
4. Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la sentenza condannato la ricorrente al pagamento, a titolo di penale, di una somma superiore a quella richiesta dalla RAGIONE_SOCIALE, non tenendo conto dell’erroneità dei conteggi denunciata dalla RAGIONE_SOCIALE e senza considerare che nel 2011 il contratto aveva avuto regolare esecuzione.
Il motivo è inammissibile.
Nulla chiarisce la censura né riguardo all’ammontare delle somme richieste a titolo di penale, né riguardo alle ragioni della presunta erroneità dei conteggi, solo genericamente contestati: il motivo difetta dei requisiti minimi imposti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c.
Contrariamente a quanto lamenta la ricorrente, la Corte di merito ha -inoltre – riconosciuto un importo pari al 50% del fatturato calcolato su quattro annualità, in base agli anni di mancata attuazione del contratto, non considerando il rapporto inattuato, per fatto della somministrata, per l’intera durata contrattuale.
Il ricorso è quindi respinto, con aggravio delle spese processuali.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali, pari ad € 2.700,00, di cui
200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda