Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9051 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 9051 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/04/2025
Oggetto: Pubblico impiego – Licenziamento – vizi procedimento disciplinare
Dott. NOME COGNOME
Presidente –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. IRENE TRICOMI
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
SENTENZA
sul ricorso 10055-2024 proposto da:
COMUNE DI VICO EQUENSE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliato presso l’indirizzo pec dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA COGNOME INDIRIZZO, rappresentato e difesi dall’avvocato NOME COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri di Giustizia;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3575/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 23/10/2023 R.G.N. 1070/2023;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME
udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso del 10.05.2023 il Comune di Vico Equense proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, in funzione di giudice del lavoro, n. 1559/2022 che, sull’impugnativa del licenziamento senza preavviso del 17.12.2018 proposta da Consiglio Cannavale, aveva accolto il ricorso del lavoratore nei confronti della parte datoriale, condannando quest’ultima alla ricostruzione del rapporto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria, commisurata all’ultima retribuzione di riferimento, pari a 24 mensilità e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali nonché al pagamento delle retribuzioni non erogate al dipendente nel periodo dalla sospensione cautelare al pensionamento, da quantificare in separato giudizio anche tenendo conto di quanto versato al Cannavale a titolo di indennità nel suddetto periodo.
L’appellante lamentava che il primo giudice, in violazione dell’art. 55 bis , comma 1, del d.lgs. n. 165/2001, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento in quanto il procedimento disciplinare sarebbe stato riavviato ‘senza rinnovo della contestazione dell’addebito e soprattutto senza convocazione né audizione del dipendente a sua difesa’.
Con sentenza n. 3575/2023 pubblicata il 23.10.2023, la Corte d’appello di Napoli riteneva innanzitutto pacifiche le circostanze rilevanti in causa e cioè che il Cannavale era stat o sospeso in via cautelare il 13.02.2014, a seguito della sentenza di condanna di primo grado a due anni di reclusione per peculato; che il predetto in data
31.01.2017 era andato in pensione; che in data 13.04.2018 era stata emessa la sentenza di appello in sede penale che aveva derubricato il reato di peculato in quello di abuso di ufficio dichiarando il reato estinto per prescrizione; che il Comune in data 19.07.2018 aveva riaperto il procedimento disciplinare ed irrogato in data 13.12.2018 al ricorrente la sanzione del licenziamento.
Rilevava che in sede di riapertura del procedimento disciplinare il RAGIONE_SOCIALE aveva ricevuto solo comunicazione di tale riapertura ma non anche la contestazione degli addebiti neppure per relationem.
Evidenziava che l’unico atto notificato al Cannavale era la comunicazione prot. 25907 del 19.07.2018 mentre non vi era in atti alcuna relata di notifica con la sottoscrizione del Cannavale che attestasse la ricezione da parte del predetto del verbale dell’Ufficio procedimenti disciplinari del 12/7/2018 (verbale che, peraltro, neppure conteneva la contestazione disciplinare limitandosi a riportare il contenuto del provvedimento di sospensione emesso a seguito della condanna in primo grado per peculato e poi il dispositivo della sentenza di proscioglimento per prescrizione a seguito della riqualificazione come abuso d’ufficio).
Riteneva integrata la violazione dell’art. 55 ter d.lgs. n. 165/2001.
Evidenziava che risultava altresì omessa la convocazione del dipendente a sua discolpa.
C oncludeva pertanto nel senso della illegittimità del licenziamento oltre che della misura della sospensione cautelare irrogatagli il 13.02.2014 ma, preso atto che il RAGIONE_SOCIALE aveva cessato la propria attività lavorativa in data 31.01.2017, essendo stato collocato in quiescenza per sopraggiunti limiti di età e, quindi prima che gli venisse irrogata la sanzione espulsiva, riteneva che non fosse possibile la ricostituzione del rapporto. Condannava tuttavia il Comune di Vico Equense al pagamento di una indennità risarcitoria, commisurata all’ultima retribuzione di riferimento, pari a 5 mensilità ed al pagamento
delle retribuzioni non erogate al dipendente nel periodo dalla sospensione cautelare al pensionamento, da quantificare in separato giudizio, anche tenendo conto di quanto versatogli a titolo di indennità nel suddetto periodo.
Avverso tale sentenza il Comune di Vico Equense ha proposto ricorso affidandolo a due motivi successivamente illustrati da memoria.
Il Cannavale ha resistito con controricorso.
Il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo di ricorso e il rigetto del primo.
Il Comune ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il Comune denuncia la violazione dell’art. 100 cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. nonché violazione e/o falsa applicazione dell’art. 55 ter comma 4, del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 2697 cod. civ. ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di appello ha illegittimamente ritenuto di confermare la decisione di prime cure che aveva caducato il licenziamento disciplinare de quo e respinto l’appello proposto dal Comune volto a censurarla, in quanto i vizi procedurali relativi al contraddittorio verificatisi in relazione al procedimento all’esito del quale il provvedimento espulsivo era stato emesso non potevano dare luogo a nullità del procedimento e della conseguente sanzione, perché il dipendente non aveva allegato e dimostrato il pregiudizio al concreto esercizio del diritto di difesa che da tali vizi gli sarebbero derivati ed in particolare non aveva prospettato e dimostrato, come sarebbe stato suo onere, ex art. 100 cod. proc. civ. ed ex art. 2697 cod. civ. il diverso risultato del procedimento nel caso di rispetto del contraddittorio e, quindi, quanto egli avrebbe potuto fondatamente sostenere per impedire con successo l’emissione di una sanzione espulsiva nei suoi confronti.
2. Il motivo è infondato.
È pur vero che è stato precisato da questa Corte, ponendosi proprio in evidenza la finalità di garanzia del diritto di difesa del lavoratore (Cass. 6 marzo 2019, n. 6555; Cass. 2 ottobre 2018, n. 23895; Cass. 22 agosto 2016, n. 17245; Cass. 10 agosto 2016, n. 16900), che i vizi procedurali correlati all’audizione del dipendente possono dare luogo a nullità del procedimento e della conseguente sanzione non di per sé soli, ma unicamente ove l’interessato dimostri di aver sofferto un concreto pregiudizio al proprio diritto di difesa.
Tuttavia, si tratta di giurisprudenza formatasi con riferimento alla violazione di tempi (non perentori) e modi della procedura.
Non può giungersi alla medesima conclusione nel caso qui in esame in cui la decisione impugnata non è fondata solo sulla omessa convocazione del dipendente per essere sentito a sua discolpa nell’ambito del riaperto procedimento disciplinare ma principalmente sulla mancata notifica della contestazione degli addebiti e dunque sulla mancata instaurazione, a monte, di ogni contraddittorio.
Ed allora non rileva che il dipendente non abbia neppure adombrato il pregiudizio derivato dalla mancata notifica in quanto è proprio l’art. 55 ter , in uno con la previsione espressa ed imperativa nello stesso contenuta, che è stato violato, non essendo il rinnovo della contestazione surrogabile dall’accertamento del reato in sede penale.
La norma, inserita dall’art. 69, comma 1, del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, nel testo modificato dall’art. 14, comma 1, lettera a), del d.lgs. 25 maggio 2017 (anteriore alla riapertura in questione) così prevede:
« 1. Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le
infrazioni per le quali è applicabile una sanzione superiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni, l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all’esito dell’istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale. Fatto salvo quanto previsto al comma 3, il procedimento disciplinare sospeso può essere riattivato qualora l’amministrazione giunga in possesso di elementi nuovi, sufficienti per concludere il procedimento, ivi incluso un provvedimento giurisdizionale non definitivo. Resta in ogni caso salva la possibilità di adottare la sospensione o altri provvedimenti cautelari nei confronti del dipendente.
Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l’irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall’irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale.
Se il procedimento disciplinare si conclude con l’archiviazione ed il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna, l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari riapre il procedimento disciplinare per adeguare le determinazioni conclusive all’esito del giudizio penale. Il procedimento disciplinare è riaperto, altresì, se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne è stata applicata una diversa.
Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3, il procedimento disciplinare è, rispettivamente, ripreso o riaperto, mediante rinnovo della contestazione dell’addebito, entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza, da parte della cancelleria del giudice, all’amministrazione di appartenenza del dipendente, ovvero dal ricevimento dell’istanza di riapertura. Il procedimento si svolge secondo quanto previsto nell’articolo 55 -bis con integrale nuova decorrenza dei termini ivi previsti per la conclusione dello stesso. Ai fini delle determinazioni conclusive, l’ufficio procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le disposizioni dell’articolo 653, commi 1 e 1-bis, del codice di procedura penale ».
Ai sensi del comma 4, dunque, il rinnovo della contestazione disciplinare è imprescindibile e la sua mancanza già in sé integra una irrimediabile violazione del diritto di difesa.
Come affermato da questa Corte di legittimità la ripresa del procedimento richiede il rinnovo della contestazione dell’addebito da parte dell’autorità disciplinare competente (Cass. 27 giugno 2023, n. 18362).
Nella fattispecie in esame, la Corte territoriale, sulla base di un accertamento in fatto non rivedibile in sede di legittimità, ha affermato che nessuna contestazione degli addebiti era stata rinnovata.
Ed allora in mancanza di tale rinnovo la statuizione in punto di illegittimità della riapertura del procedimento disciplinare va tenuta ferma.
Con il secondo motivo il Comune denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 63, comma 2, terzo periodo, d.lgs. n. 165/2001, come modificato dal d.lgs. n. 75/2017, nonché falsa applicazione dell’art. 18, comma 4, legge n. 300/1970, nel testo anteriore all’art. 1, comma 42, lett. b), L. 28 giugno 2012, n. 92, nonché violazione dell’art. 18, comma 4, legge n. 300/1970, nel testo successivo all’art.
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1, comma 42, lett. b), L. 28 giugno 2012, n. 92, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ..
Il ricorrente, per la denegata ipotesi del rigetto delle critiche formulate con il primo motivo, si duole della sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di appello ha illegittimamente condannato il Comune al pagamento di una indennità risarcitoria, commisurata all’ultima retribuzione di riferimento, pari a 5 mensilità, in quanto attraverso di essa il giudice di merito ha illegittimamente riconosciuto al dipendente un indennizzo risarcitorio da lucro cessante ad esso non dovuto atteso che il licenziamento era intervenuto dopo il collocamento a riposo obbligatorio dello stesso per raggiunti limiti di età e la stessa norma di cui all’art. 63, comma 2, terzo periodo, del d.lgs. 165/2001 escludeva la possibilità di una siffatta condanna.
4. Il motivo è infondato .
L’indennità risarcitoria non è un lucro cessante ma è dovuta per il fatto dell’accertamento della illegittimità (illiceità) del licenziamento. La natura sanzionatoria dell’indennità è stata rimarcata da Corte cost. n. 194/2018, richiamata nella sentenza impugnata,
Il riferimento operato in sentenza all’art. 18, comma 4, St. Lav. è fatto al solo fine di rinvenirvi un parametro per la determinazione dell’importo indennitario da corrispondere che, nella formulazione dell’art. 63, comma 2, prevede un limite massimo e non minimo (« 2. Il giudice adotta, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati. Le sentenze con le quali riconosce il diritto all’assunzione, ovvero accerta che l’assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro. Il giudice, con la sentenza con la quale annulla o dichiara nullo il licenziamento, condanna l’amministrazione alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata
all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, e comunque in misura non superiore alle ventiquattro mensilità, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali».
Il ricorso deve, quindi, essere rigettato.
La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
Va dato atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., S.U., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso; condanna il Comune ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in complessivi euro 5.000,00 per compenso professionale ed euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge e spese generali nella misura del 15% da corrispondere all’avvocato NOME COGNOME antistatario.
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Sezione Lavoro