Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 13154 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 13154 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2024
Oggetto
Locazione abitativa – Rinnovazione tacita Art. 2 l. n. 431 del 1998 – Interpretazione Preteso vincolo di giudicato esterno -Fattispecie
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12989/2021 R.G. proposto da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrenti e controricorrenti incidentali –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, n. 5476/2020, pubblicata il 4 novembre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 aprile 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
con atto notificato in data 23 marzo 2012 la RAGIONE_SOCIALE (cui è subentrata in corso di causa la RAGIONE_SOCIALE), premesso di aver concesso in locazione, ad uso abitativo, un proprio appartamento con decorrenza dal 1° gennaio 1996; che il rapporto, nel quale erano subentrati quali conduttori gli odierni ricorrenti, si era rinnovato per mancanza di valida disdetta alla seconda scadenza del 31 dicembre 2003, come accertato con sentenza n. 24348 del 2006 del Tribunale di Roma, confermata in appello con sentenza n. 2126 del 2009 e di aver, in vista della scadenza del 31 dicembre 2011, comunicato tempestiva disdetta con lettera raccomandata del 26 gennaio 2011, intimò ai predetti sfratto per finita locazione contestualmente citandoli per la convalida davanti al Tribunale di Roma;
gli intimati si costituirono eccependo l’inefficacia della disdetta poiché non preceduta né accompagnata dalla proposta di prosecuzione del rapporto, secondo quanto previsto dall’art. 28 del contratto, la cui interpretazione nel senso proposto assumevano oggetto del giudicato formatosi nel precedente giudizio; chiesero pertanto, in via riconvenzionale, accertarsi l’intervenuta rinnovazione del contratto;
transitato il giudizio alla fase a cognizione piena, con sentenza n. 10965 del 2014 il Tribunale rigettò la domanda principale e, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale dei conduttori, accertò l’intervenuta rinnovazione del contratto, in difetto di valida disdetta, « per un ulteriore quadriennio »;
pronunciando sui gravami proposti ─ in via principale dalla locatrice per la declaratoria della validità della disdetta e della conseguente cessazione del rapporto alla scadenza indicata in domanda; in via incidentale dai conduttori perché fosse dichiarata la rinnovazione del contratto per un doppio quadriennio, ai sensi del comma 1 dell’art. 2 l. n. 431 del 1998 e perché fosse rivista in aumento la liquidazione delle spese ─ la Corte d’appello di Roma, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello principale e accolto quello incidentale solo in punto di spese, confermando nel resto la sentenza di primo grado e condannando RAGIONE_SOCIALESai al pagamento in favore degli appellati, appellanti incidentali, anche delle spese del giudizio di secondo grado;
avverso tale decisione NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi; RAGIONE_SOCIALESai deposita controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale con due mezzi, cui i ricorrenti principali resistono depositando controricorso;
è stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata da rituale comunicazione alle parti;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero. entrambe le parti hanno depositato memorie;
considerato che:
con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano, con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., « la violazione del combinato disposto degli artt. 2909 c.c. e 2 commi 1 e 6 legge n. 431 del 1998 in relazione al giudicato rappresentato dalla sentenza del Tribunale civile di Roma n. 24348/2006 confermata dalla sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2126/2009 emessa inter partes sul rinnovo del contratto di locazione del 1/1/96 »;
con il secondo motivo essi denunciano, in relazione all’art. 360,
comma primo, num. 5, cod. proc. civ., « violazione dell’art. 6, comma 1, legge n. 431 del 1998 »;
sostengono che, una volta accertata l’inefficacia della nuova disdetta per la scadenza del 31 dicembre 2011, la Corte d’appello, in accoglimento del gravame incidentale sul punto, avrebbe dovuto altresì accertare che il contratto si era rinnovato non per un solo ulteriore quadriennio ma per quattro anni più altri quattro e ciò per due autosufficienti ragioni:
anzitutto (primo motivo) per il vincolo in tal senso asseritamente derivante dal giudicato formatosi sulla citata sentenza n. 2126 del 2009 della stessa Corte d’appello , essendo in essa espressamente affermato che, « per quanto detto in ordine alla validità ed efficacia della disdetta, il contratto deve ritenersi tacitamente rinnovato alla scadenza del 31/12/2003 e sottoposto alla disciplina di cui all’art. 2, comma 1, della legge n. 431/1998 »;
in ogni caso perché (secondo motivo) tale è il meccanismo previsto dalla legge, nel senso che ad ogni tacito rinnovo, anche se riferito a contratti sorti anteriormente, si applicano le condizioni previste dal comma 1 dell’art. 2 (quattro anni più quattro e non più rinnovo per soli quattro anni);
con il primo motivo del ricorso incidentale RAGIONE_SOCIALE denuncia « violazione di legge e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 2909 cod. civ. e art. 3 della l. 431/98 là dove la gravata sentenza … ha rigettato la domanda di finita locazione svolta da RAGIONE_SOCIALE ritenendo illegittimamente formato il giudicato in merito all’interpretazione dell’art. 28 del contratto di locazione »;
con il secondo motivo essa poi deduce « violazione di legge e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione agli art. 3 della l. 431/98 nonché dell’art. 1322 c.c. nella parte in cui la gravata sentenza della Corte di appello di Roma
ha ritenuto che la clausola contrattuale di cui all’art. 28 del contratto di locazione limiti la facoltà di disdetta contrattuale anche nell’ipotesi di seconda scadenza contrattuale »;
sotto il primo profilo rileva che il precedente cui la Corte di merito ha attribuito efficacia di giudicato vincolante tale efficacia in realtà non poteva avere dal momento che riguardava solo la prima disdetta contrattuale, cosicché tra le due cause non vi era identità di petitum e causa petendi ma vi era anzi diversità rilevante dal momento che l’ordinamento dedica una specifica disciplina più favorevole ai conduttori solamente in caso di prima scadenza contrattuale e non anche in ipotesi di seconda scadenza;
sotto il secondo profilo osserva che l’art. 28 del contratto di locazione afferma, conformemente al dettato legislativo di cui all’art. 3 della legge n. 431 del 1998, solo e soltanto che alla prima scadenza del contratto il locatario ha l’obbligo di preferire il conduttore originario quale nuova controparte contrattuale qualora sia ancora intenzionato a locare il bene;
il primo motivo del ricorso principale è inammissibile, per difetto di autosufficienza;
come questa Corte ha più volte chiarito, nel giudizio di legittimità, il principio della rilevabilità del giudicato esterno va coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso; pertanto, la parte ricorrente che deduca l’esistenza del giudicato deve, a pena d’inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione (v. ex multis Cass. n. 15737 del 23/06/2017; n. 13988 del 31/05/2018; n. 1398 del 22/01/2021; n. n. 34251 del 6/12/2023);
nella specie i ricorrenti si limitano a riportare (v. ricorso pagg. 7-8 e poi pagg. 9-10) solo alcuni stralci e il dispositivo delle sentenze di primo e secondo grado rese nel pregresso giudizio, così non mettendo
questa Corte nelle condizioni di interpretare compiutamente la portata del giudicato esterno e in tal modo vagliare con immediatezza la fondatezza della tesi censoria;
peraltro, valutato alla luce delle indicazioni offerte, il motivo andrebbe detto comunque infondato;
come obietta la società controricorrente i detti precedenti si sono pronunciati sulle conseguenze della mancanza di una efficace disdetta del contratto alla scadenza del 31 dicembre 2003, la prima successiva all’entrata in vigore della legge n. 431 del 1998 ; tale riferimento temporale segnava dunque il perimetro entro il quale si è esplicata la portata performativa della pronuncia e, per converso, l’interpretazione in quella sede data della norma di cui al comma 6 dell’art. 2 l. cit. (circa la durata e il meccanismo di rinnovo conseguenti alla mancata disdetta di contratti in corso all’entrata in vigore della legge) può costituire giudicato solo in relazione agli effetti che, nel caso specifico esaminato, ne sono stati fatti derivare;
giova in tal senso rammentare che, secondo pacifico insegnamento, il giudicato richiede, perché possa determinarsi, una statuizione minima della sentenza costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia (v. ex multis Cass. n. 30728 del 19/10/2022, Rv. 666050; n. 10760 del 17/04/2019, Rv. 653408; n. 12202 del 16/05/2017, Rv. 644289); in tal senso, è da escludere che possa formare giudicato anche l’ “interpretazione giuridica” della norma, ove intesa come mera argomentazione avulsa dalla decisione del caso concreto, poiché detta attività, compiuta dal giudice e contestuale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire un limite all’esegesi esercitata da altro giudice, né è suscettibile di passare in giudicato autonomamente dalla domanda e dal capo di essa cui si riferisce, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione, ferma, in ogni caso, la
necessità del collegamento, tendenzialmente durevole, ad una situazione di fatto (Cass. 21/10/2013, n. 23723; 21/05/2015, n. 10523; 23/05/2019, n. 13967);
il secondo motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 -bis n. 1 cod. proc. civ.;
nella interpretazione da dare all’art. 2, comma 6, l. n. 431 del 1998 la Corte di merito ha deciso conformemente alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa;
questa Corte ha invero avuto modo di chiarire, già diversi anni prima della sentenza di merito qui impugnata, in un caso peraltro assai simile, che « nel sistema delineato dalla riforma del 1998 … il superamento del regime vincolistico del canone trova un bilanciamento, per così dire, nella limitazione della facoltà del locatore di dare disdetta alla scadenza del primo quadriennio (salvi i casi limitati previsti dall’art. 2 cit.), sicché il contratto ha una durata minima di otto anni, alla scadenza dei quali ciascuna delle parti ha diritto di ‘attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni’;
questo regime vale anche per i contratti precedenti alla modifica, che si siano tacitamente rinnovati; la giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha affermato che l’art. 2, ultimo comma, della legge n. 431 del 1998 va interpretato nel senso che, se il contratto si rinnova tacitamente nella vigenza della nuova legge, per mancanza di una disdetta che il locatore avrebbe potuto fare, ma che non ha fatto, anche in base alle vecchie regole, il rapporto resta assoggettato alla nuova disciplina integralmente, e quindi anche con riferimento alla doppia durata quadriennale (sentenze 24 agosto 2007, n. 17995, 13 giugno 2013, n. 14866, e 17 settembre 2013, n. 21173);
ove la disdetta non sia stata intimata entro la scadenza del secondo quadriennio -come nel caso di specie -il contratto è rinnovato ulteriormente alle medesime condizioni, ma tale previsione
legislativa non può che intendersi nel senso di un rinnovo quadriennale, risultandone altrimenti una situazione difforme dalla volontà della legge ed eccessivamente sbilanciata a favore del conduttore; la disposizione, infatti, riguarda solo il primo rinnovo dopo la modifica legislativa; per cui, permanendo il silenzio del locatore fino alla seconda scadenza, il rinnovo tacito può avere luogo per soli altri quattro anni e non per altri quattro più quattro » (Cass. 1/02/2016, n. 1881);
alla luce di tale principio, che va qui ribadito, del tutto corretta si appalesa sul punto la decisione della Corte territoriale;
la memoria che, come detto, è stata depositata dai ricorrenti, ai sensi dell’art. 380 -bis.1 , comma primo, cod. proc. civ., non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi;
per le considerazioni che precedono deve quindi pervenirsi alla declaratoria di inammissibilità del ricorso principale;
ne discende, ex art. 334, secondo comma, cod. proc. civ., l’inefficacia del ricorso incidentale, in quanto tardivo ;
lo stesso risulta, infatti, notificato a mezzo p.e.c. in data 10 giugno 2021, ben oltre la scadenza del termine lungo per impugnare di sei mesi, ex art. 327 cod. proc. civ., decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza (4 novembre 2020) e venuto, pertanto, a scadere il 4 maggio 2021;
alla soccombenza segue la condanna dei ricorrenti principali al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;
mette conto al riguardo precisare che la soccombenza è interamente ravvisabile in capo ai ricorrenti principali e non anche a carico della ricorrente incidentale, non potendo di contro rilevare la dichiarata perdita di efficacia del ricorso da questo proposto;
con la perdita di efficacia, infatti, il ricorso incidentale tardivo
diviene tamquam non esset e non viene preso in esame dalla Corte, non potendosi pertanto neppure in astratto predicare una soccombenza valorizzabile ai fini del regolamento delle spese;
in tal senso, questa Corte ha già chiarito che, in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, il ricorso incidentale tardivo è inefficace ai sensi dell’art. 334, secondo comma, cod. proc. civ., con la conseguenza che la soccombenza va riferita alla sola parte ricorrente in via principale, restando irrilevante se sul ricorso incidentale vi sarebbe stata soccombenza del controricorrente, atteso che la decisione della Corte di cassazione non procede all’esame dell’impugnazione incidentale e dunque l’applicazione del principio di causalità con riferimento al decisum evidenzia che l’instaurazione del giudizio è da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale (Cass. 20/02/2014, n. 4074; conf. Cass. 4/11/2014, n. 23469; Cass. 12/06/2018, n. 15220; Cass. 26/09/2018, n. 22799; Cass. 28/09/2018, n. 23443);
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali , ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13;
condizioni invece, per le ragioni dette, non ravvisabili nei confronti della ricorrente incidentale, non essendo ad esse riconducibile la dichiarata perdita di efficacia (v. Cass. 25/07/2017, n. 18348);
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso principale; inefficace quello incidentale.
Condanna i ricorrenti principali al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali, liquidate in Euro 2.000 per
compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza