Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10778 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10778 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 342/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ANCONA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che l a rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimati-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ANCONA n. 608/2021 depositata il 20/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/02/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 7/2016, il Tribunale di Ancona, accoglieva la domanda proposta nel 2012 dalla Banca Popolare di Puglia e Basilicata (d’ora innanzi, per brevità, ‘BPPB’) nei confronti della sig.ra NOME COGNOME e della società RAGIONE_SOCIALE, con la quale chiedeva l’accertamento della simulazione assoluta dell’atto, del 22/09/2009, trascritto presso la Conservatoria di Ancona in data 19/10/2009, con cui la RAGIONE_SOCIALE acquistava dalla COGNOME la proprietà dell’immobile sito in Ancona, al INDIRIZZO 54. Per l’effetto, condannava la COGNOME (rimasta contumace) e RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in solido, delle spese processuali in favore dell’attrice.
Avverso tale decisione proponeva appello la RAGIONE_SOCIALE
Alla prima udienza del 26/10/2016, il Presidente disponeva con ordinanza, ex art. 331 c.p.c., la notifica al litisconsorte necessario (sig.ra COGNOME già contumace in prime cure), rinviando all’udienza del 29/03/2017.
Senonché, la Corte d’Appello, con ordinanza del 20/05/2020, preso atto della nullità della notifica dell’atto di citazione in appello nei confronti di COGNOME NOME, ne disponeva la rinnovazione, che veniva effettuata nei termini dall’appellante.
Con sentenza n. 608/2021, del 20 maggio 2021, la Corte d’Appello di Ancona dichiarava inammissibile l’appello per nullità della rinnovazione – pur se tempestiva in quanto l’appellante si era limitata a notificare (ancora una volta) alla Vichi l’atto di citazione originario, che indicava come data di prima udienza il 15/06/2016, con invito a costituirsi nei termini di cui all’art. 166 c.p.c.; atto in cui veniva meramente allegata l’ordinanza del 20/05/2020 con cui la Corte disponeva la rinnovazione della notifica dell’atto di citazione e il rinvio all’udienza del giorno 11/11/2020. Pertanto, condannava la RAGIONE_SOCIALE alla rifusione delle spese.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito RAGIONE_SOCIALE propone ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Ha depositato atto denominato ‘Memoria ex art. 380 bis comma 1 c.p.c.’ che non può considerarsi tale, in mancanza dei relativi requisiti di legge.
3.1. RAGIONE_SOCIALE Società unipersonale, intervenuta in grado di appello, ex art. 111, comma 3, c.p.c., quale cessionaria del credito della RAGIONE_SOCIALE azionato con decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Ancona l’11/05/2010, resiste con controricorso , illustrato da memoria.
3.2. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «violazione e falsa applicazione degli artt. 293 e 294 e 331 c.p.c. anche in relazione all’art. 24, comma 1, Cost.».
Deduce che la sentenza d’appello è nulla e va riformata in quanto contenente declaratoria di inammissibilità del l’impugnazione in ragione di errata applicazione dell’art. 331 c.p.c.; pertanto, censura la decisione nella parte in cui la corte di merito ha affermato che la notifica è stata effettuata tempestivamente ma erroneamente, risultando nulla in quanto l’appellante avrebbe nuovamente commesso il medesimo errore in cui era già incorso in occasione della prima notifica.
Lamenta che la Corte di merito non avrebbe potuto dichiarare l’inammissibilità dell’appello sulla scorta dell’art. 331 c.p.c., stante la previsione di cui al 2° comma di tale articolo, a mente del quale l’inammissibilità dell’impugnazione può essere dichiarata solo se non tempestiva, e cioè qualora nessuna delle parti provveda all’integrazione nel termine fissato.
Richiama, in proposito, il precedente di questa Corte (Cass. n. 28810/2019) secondo cui ‘in tema di integrazione del contraddittorio in cause caratterizzate da litisconsorzio necessario, qualora risultino violate le norme che disciplinano il procedimento di notificazione, la nullità è sanabile attraverso la rinnovazione dell’atto di integrazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ., con fissazione di un nuovo termine perentorio, purché la notificazione precedente sia risultata meramente nulla e non propriamente inesistente. Ne consegue che, al di fuori di tale ipotesi, una volta che sia stata effettuata tempestivamente la seconda notifica, l’appello non può essere dichiarato inammissibile’. Osserva, in particolare, che ad esso già si era riferita la stessa Corte d’Appello nell’ordinanza del 20/05/2020 e sostiene che se esso era valido allora, deve ritenersi valido sempre.
5. Il motivo è infondato.
Nel caso di specie, infatti, non si ravvisa violazione dell’art. 331 c.p.c. da parte della corte territoriale.
Va al riguardo osservato che l’evocato precedente costituito da Cass. n. 28810/2019 risulta manifestamente inconferente nella parte richiamata dalla ricorrente.
L’assunto secondo cui, per effetto della sua menzione da parte della Corte territoriale nell’ordinanza del 20 maggio 2020, esso dovrebbe ritenersi automaticamente applicabile al caso di specie, non è condivisibile. La mera citazione di un precedente, infatti, non ne comporta l’automatica pertinenza o vincolatività, dovendo comunque verificarsi la sussistenza di un’effettiva omogeneità tra le fattispecie poste a confronto.
Va, infatti, evidenziata la notevole diversità di situazioni tra quella cui la Corte si è riferita nell’ordinanza del 2020 (i.e., rinnovazione di una citazione nulla) e quella che ha poi giustificato la dichiarazione di inammissibilità dell’appello (i.e., una eventuale rinnovazione della rinnovazione), di cui per l’appunto – si discorre in questa sede.
Invero, nel caso che ci occupa, risulta dalla sentenza impugnata (ivi, pagg. 4-5) che, disposta la rinnovazione della notifica dell’impugnazione ex art. 291 c.p.c. nei confronti della litisconsorte COGNOME con ordinanza del 20/05/2020, l’appellante si era limitata a notificare (ancora una volta) l’atto di citazione originario, che indicava come data di prima udienza il 15/6/2016, con invito a costituirsi nei termini di cui all’art. 166 c.p.c.; atto al quale era stata unicamente allegata l’ordinanza del 20/5/2020 con cui la Corte disponeva la rinnovazione e il rinvio all’udienza dell’11/11/2020.
Correttamente, dunque, la corte di merito ha dichiarato la nullità della rinnovazione, facendo invero piena applicazione dei principi più volte enunciati da questa Corte, nel fare in particolare richiamo a Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 28810 del 08/11/2019, secondo cui «nel caso in cui il giudice abbia ordinato la rinnovazione dell’atto introduttivo per mancato rispetto del termine a comparire, è nulla
la rinnovazione eseguita mediante la notifica della combinazione del primo atto di citazione (indicante, per la prima comparizione, una data già trascorsa) e del verbale contenente l’ordinanza di fissazione della nuova udienza, in quanto l’atto manca della chiarezza indispensabile all’evocazione in lite di una parte non ancora assistita da difensore, ferma restando la sanatoria dell’invalidità in caso di raggiungimento dello scopo e, cioè, di costituzione del convenuto» (v. anche Sez. 3, Ordinanza n. 30722 del 06/11/2023).
Di talché, rilevata la nullità della rinnovazione, la Corte di merito non ha potuto esimersi dal dichiarare la inammissibilità dell’appello, visto peraltro il consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui, «nell’ipotesi in cui venga disposta la rinnovazione della notifica nulla di un atto processuale, ove venga dichiarata l’invalidità anche della notificazione in rinnovazione, non è più possibile ordinare un’ulteriore rinnovazione ai sensi dell’art. 162 c.p.c., perché, quando la nullità è dichiarata la prima volta, il giudice assegna un termine per la rinnovazione, la cui natura perentoria non consente che, per il completamento della medesima attività, sia concesso un nuovo termine, atteso che l’art. 153 c.p.c. vieta la proroga dei termini perentori, salvo che sussistano i presupposti per la rimessione in termini» (in tal senso, Sez. 5, Ordinanza n. 19218 del 17/07/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 9541 del 07/04/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 26945 del 20/09/2023).
Non risulta idoneo a sollecitare un revirement della giurisprudenza consolidata l’argomento prospettato dalla ricorrente, secondo cui dovrebbe distinguersi tra ‘notifica in senso formale’ intesa come atto idoneo a raggiungere il destinatario -e ‘notifica in senso sostanziale’, ovvero come idoneità del contenuto dell’atto a rendere edotto il destinatario dell’instaurazione del giudizio, ai fini della vocatio in ius . In tale ottica, la ricorrente suggerisce che l’eventuale carenza degli elementi sostanziali della notifica (quale,
ad esempio, l’indicazione dell’esatta data dell’udienza) potrebbe essere sanata attraverso un atto integrativo ovvero un nuovo ordine di rinnovazione, anche in applicazione dell’art. 156 c.p.c.
Tale impostazione, tuttavia, non è condivisibile, tanto più nel caso di specie.
Come correttamente evidenziato dalla corte territoriale nell’impugnata sentenza , la rinnovazione della citazione non ha prodotto alcun effetto sanante, atteso che la parte destinataria, sig.ra COGNOME non si è costituita in giudizio. Ne consegue l’impossibilità di applicare l’art. 156, comma 3, c.p.c., non potendosi ritenere che l’atto abbia raggiunto il suo scopo, con conseguente insanabilità del vizio (a pag. 5 della sentenza impugnata).
In via generale, invece, la distinzione delineata dalla ricorrente fra ‘notifica sostanziale’ e ‘notifica formale’ appare artificiosa.
È anzitutto la funzione della notificazione a rendere del tutto evidente come questa non possa mai risolversi in un esercizio di stile, quasi una vuota e formale incombenza della quale è gravato chi agisca in giudizio; al contrario, la finalità della notifica è sempre inscindibilmente correlata ad un contenuto sostanziale, legato alla sfera giuridica del soggetto attinto, affinché costui possa avere effettiva e adeguata conoscenza della esistenza di un processo, così da essere messo nelle condizioni di esercitare pienamente il suo diritto di difesa, assurgendo la notificazione ad atto con cui si porta a legale conoscenza del destinatario l’atto processuale notificando. Per queste ragioni, discorrere di una notificazione che sia correttamente effettuata, perché tempestiva, sul piano formale, quando, in ragione della carenza contenutistica, la finalità di notizia non risulti essere soddisfatta è frutto di un ragionamento che frustra la funzione dell’istituto della notificazione nell’ordinamento processuale.
Del resto, il principio del raggiungimento dello scopo si inserisce perfettamente in una prospettiva che valorizza la valenza sostanziale della notifica, altrove testimoniata anche dal fatto che essa può avvenire mediante pubblici proclami (art. 150 c.p.c.), ossia mediante un sistema in cui la conoscenza è basata non sulla consegna di un documento, ma sulla mera presunzione di conoscenza allorquando la notizia venga diffusa su mezzi di informazione.
Non può, peraltro, sottacersi che l’interpretazione sostenuta dalla ricorrente priverebbe le disposizioni sui termini perentori procedurali di qualsiasi valore significativo cogente, consentendo così a una parte che non abbia esercitato il suo potere-onere di attendere l’udienza per eventualmente integrare l’atto che era chiamato a compiere.
Quest’ultima interpretazione porterebbe di fatto a una proroga e, quindi, ad una sostanziale elusione dei termini processuali perentori (notoriamente inammissibile e contraria ai principi di efficienza del procedimento civile e di applicazione in buona fede delle norme procedurali) perché una parte potrebbe semplicemente decidere di non rispettare pienamente l’ordine del giudice ex art. 331 c.p.c. salvo successive integrazioni, che sono invece possibili nella sola evenienza in cui l’esito negativo del procedimento notificatorio sia dipeso da causa non imputabile alla parte che abbia tempestivamente espletato l’adempimento posto a suo carico (in tal senso, Sez. 2, Ordinanza n. 9541 del 07/04/2023).
Resta ancora da osservare che l’art. 331 c.p.c. partecipa anch’esso di questa dimensione propriamente sostanziale, poiché la norma discorre di inammissibilità derivante dall’omessa integrazione del contraddittorio, con la finalità dunque di provocare una decisione nel pieno contraddittorio di tutti i litisconsorti necessari.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., «omessa pronuncia sui dedotti
motivi di appello violazione e falsa applicazione degli artt. artt. 115 e 116 c.p.c. anche in relazione all’art. 2709 cc. ovvero in relazione agli artt. 1414 e segg. cc».
Con il terzo motivo si duole, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., della «omessa pronuncia sui dedotti motivi di appello violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. anche in relazione all’art. 2709 cc. e art. 2901 cc».
8. I motivi sono inammissibili.
Anzitutto, le mosse censure risultano palesemente eccentriche rispetto alla ratio decidendi della sentenza d’appello, con la quale la corte di merito ha dichiarato esclusivamente la inammissibilità della impugnazione.
D’altronde, la stessa ricorrente ammette che «le questioni di merito non possono essere sottoposte al vaglio di Codesta Ecc.ma Corte», salvo poi soggiungere che «laddove la sentenza in seconde cure, ha, come nel caso in esame, completamente omesso di pronunciarsi su fatti fondamentali che era tenuta a vagliare la parte è necessariamente onerata di riproporre anche nella presente sede di legittimità tutti i motivi di appello» (così a pag. 19 del ricorso per cassazione).
In questo modo, dall’esame dei motivi risulta che la ricorrente è incorsa in un duplice errore, nella misura in cui: a) da un lato, propone dei motivi che, in se stessi considerati, non mirano tanto e solo a sollecitare una rivalutazione del corredo istruttorio, in quanto tale riservata al giudice del merito, ma piuttosto fomiti dell’espletamento di un vero e proprio giudizio di merito, sì da trasformare il giudizio di legittimità in un terzo grado di giudizio (peraltro si tratterebbe, in questo caso, di un secondo grado di merito svolto dinanzi alla Suprema Corte, avendo la Corte d’Appello propalato una sentenza ‘in rito’); b) dall’altro lato, evoca inammissibilmente e fuori dalla sua logica sistematica un supposto ‘onere di riproposizione’ in sede di legittimità.
Su quest’ultimo punto, infatti, vale ribadire che la riproposizione, prevista dal legislatore all’art. 346 c.p.c. nella disciplina del (solo) giudizio di appello, riguarda le domande e le eccezioni rimaste assorbite dall’accoglimento di altra domanda o eccezione (ciò che accade, in particolare, nei casi in cui l’attore opera il c.d. ‘cumulo condizionale di domande’), non già il rigetto della domanda stessa, la quale non può essere riproposta, occorrendo – invece – una specifica impugnazione per superare la reiezione dell’istanza (in tal senso, ex multis , Sez. 3, Ordinanza n. 33128 del 18/12/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 21069 del 27/07/2024).
Invero, la ratio sottesa all’onere dell’appellante di riproporre la domanda ovvero l’eccezione non esaminata in prime cure dipende dal fatto che, nella logica del principio del tantum devolutum quantum appellatum (art. 342, comma 1, c.p.c.), in mancanza della riproposizione della domanda e/o eccezione rimasta assorbita dall’accoglimento di altra domanda o eccezione, il giudice difetterebbe di potestas iudicandi in ordine ad essa, volta che, a mente dell’art. 346 c.p.c., le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate.
Del resto, risulta del tutto inappropriato evocare un ‘assorbimento’ (dei motivi di merito) rispetto ad una pronuncia in rito che, nella sua fisionomia, esula da tale meccanismo.
Non a caso la pronuncia di una c.d. ‘sentenza meramente processuale’ suggerisce che il giudice del merito si sia arrestato dinanzi alla constatazione di un impedimento alla decisione nel merito del rapporto controverso; sicché, quest’ultimo non è affatto esaminato dal giudice, non già ‘assorbito’.
Ne è prova tra l’altro – la disciplina del giudicato della pronuncia in rito propalata in primo grado: è infatti jus receptum che la pronuncia ‘in rito’ di inammissibilità della domanda dà luogo ad un giudicato meramente formale, con effetti circoscritti al solo
rapporto processuale nel cui ambito è emanata, talché, non è idonea a produrre, né sul piano oggettivo né sul piano soggettivo, gli effetti del giudicato sostanziale ex art. 2909 c.c. e non preclude, pertanto, la riproposizione della domanda in altro giudizio (in tal senso, Sez. 3, Ordinanza n. 20636 del 24/07/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 13603 del 19/05/2021; Sez. 3, Sentenza n. 26377 del 16/12/2014); ciò che resterebbe escluso, invece, nel caso della formazione del giudicato su una pronuncia di merito in cui una domanda e/o eccezione rimanga assorbita dall’accoglimento di altra domanda o eccezione, per la preclusione del dedotto e del deducibile.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 4.200,00, di cui euro 4.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza