Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25335 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25335 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1211/2024 R.G., proposto da
NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura su foglio separato da ritenersi unito al ricorso;
-ricorrente-
nei confronti di
NOME COGNOME ;
-intimata- per la cassazione della sentenza n. 1084/2023 della CORTE d ‘ APPELLO di PALERMO, depositata il 1° giugno 2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
con ricorso depositato il 30 aprile 2015 e notificato, unitamente al decreto di fissazione d’udienza, in data 29 giugno 2015, NOME COGNOME convenne NOME COGNOME innanzi al Tribunale di Palermo, chiedendone la condanna al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale subìto a seguito della morte del fratello, NOME COGNOME provocata il 26 maggio 1982 dal convenuto, resosi responsabile di omicidio doloso, come accertato dalla sentenza della Corte d’assise di Palermo n. 36 del 1987, divenuta definitiva l’8 febbraio 1991;
celebrata, in data 14 settembre 2015, la prima udienza, il successivo 30 gennaio 2016 si costituì in giudizio il convenuto, il quale sollevò (tardivamente) l’eccezione di prescrizione del diritto risarcitorio azionato dall’attrice e chiese di essere rimesso nei termini, deducendo che la tardiva costituzione era dipesa dalla complessità della procedura di trasmissione degli atti al Servizio di Protezione dei Collaboratori di Giustizia, presso il quale era domiciliato;
con ordinanza riservata del 9 febbraio 2016, il Tribunale disattese la richiesta di rimessione in termini, e all ‘esito dell’udienza di discussione del 3 giugno 2016, con ordinanza depositata il 3 ottobre 2016, reputata inammissibile l’eccezione di prescrizione, accolse la domanda attorea, liquidando alla sig.ra COGNOME a titolo risarcitorio, la somma di Euro 250.517,00, comprensiva di rivalutazione e interessi sino alla decisione, oltre ulteriori interessi sino al saldo;
la decisione del Tribunale panormita è stata integralmente confermata dalla Corte d’ appello della stessa città che, con sentenza 1° giugno 2023, n. 1084, ha rigettato l’impugnazione proposta da NOME COGNOME;
quest’ultimo ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi; non ha svolto difese l’intimata, NOME COGNOME
in data 29 giugno 2024, il consigliere a ciò delegato ha proposto la definizione del ricorso ai sensi dell’art.380 -bis cod. proc. civ., sul presupposto dell’inammissibilità d ella censura inerente alla liquidazione del danno e della manifesta infondatezza delle altre censure;
ricevuta la comunicazione della proposta, il difensore del ricorrente ha peraltro formulato tempestiva istanza di decisione del ricorso, la cui trattazione è stata quindi fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380 -bis .1 cod. proc. civ.;
il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte;
il ricorrente ha depositato memoria, nella quale, oltre ad illustrare ulteriormente le ragioni del ricorso, ha chiesto fissarsi udienza di discussione orale in sostituzione della adunanza camerale non partecipata.
Considerato che:
preliminarmente, in relazione alla richiesta di fissazione dell’« udienza dibattimentale con discussione orale », va osservato che, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ. (nella formulazione applicabile ratione temporis ), la Corte di cassazione, a sezione semplice, pronuncia, di regola, con ordinanza in camera di consiglio, salvo che la trattazione in pubblica udienza -all’esito della quale si pronuncia con sentenza -sia imposta dalla particolare rilevanza della questione di diritto;
in mancanza di norme specifiche, la parte può sì sollecitare il potere officioso del presidente della sezione perché il ricorso sia trattato in pubblica udienza, ma ciò richiede che sia prospettata una questione di
diritto di particolare rilevanza, che non sussiste nella fattispecie in esame;
la richiesta di fissazione dell’« udienza dibattimentale con discussione orale » va dunque disattesa per mancanza dei presupposti, dovendosi peraltro in generale ribadire che la decisione sul punto è rimessa alla discrezionalità del presidente ed è fondata su questioni di opportunità legate alla funzione nomofilattica della questione giuridica da decidere;
con il primo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 153 cod. proc. civ. e 111 Cost.;
è censurata la statuizione con cui la Corte d’appello ha disatteso l’istanza di rimessione in termini , sul duplice rilievo della mancata dimostrazione dell’esistenza di una causa non imputabile al richiedente e del carattere non tempestivo della relativa istanza;
il ricorrente -ricordata la complessità della procedura di trasmissione degli atti ai soggetti domiciliati presso il Servizio di Protezione dei Collaboratori di Giustizia, nonché le lungaggini, a lui non imputabili, dell’iter relativo al ricevimento, da parte sua, della notifica del ricorso e del decreto (29 giugno 2015), al ritiro degli stessi dalla sua residenza ad opera del personale del competente Nucleo Operativo della Polizia Criminale (11 agosto 2015), alla loro successiva consegna al difensore (17 settembre 2015) e all’ acquisizione, da parte di quest’ultimo , della procura ad litem (22 ottobre 2015) -deduce che, a quest’ultima data (e già a quella precedente di ricezione degli atti) era decorso il termine di costituzione (4 settembre 2015) e si era già svolta l’udienza di comparizione (14 settembre 2015), sicché « nell’arco di tempo tra la ricezione della procura e il deposito dell’istanza non
stato compiuto alcun atto processuale … né la decisione sull’istanza determinato alcun allungamento dei tempi del processo »;
soggiunge che lo stesso Tribunale aveva differito la decisione sull’istanza di rimessione in termin i all’esito della udienza successiva, già fissata all’8 febbraio 2016;
conclude che, pertanto, la decisione della Corte d’ appello violerebbe gli artt. 153 cod. proc. civ. e 111 Cost, « non avendo, l’assunto ritardo nella presentazione dell’istanza, determinato alcun allungamento, quantomeno apprezzabile, sulla durata del processo, dovendosi cioè ritenere, per tal ragione, tempestiva e ‘immediata’ la stessa »;
1.1. il motivo, come esattamente rilevato dal consigliere delegato alla proposta di definizione accelerata, è manifestamente infondato, dovendosi ritenere perfettamente corretta in iure la statuizione della Corte territoriale;
quest’ultima, richiamando la pronuncia n. 32725/2018 delle Sezioni Unite di questa Corte, ha osservato che la rimessione in termini, di cui all’art. 153, secondo comma, cod. proc. civ., richiede non solo la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà, ma anche la tempestività dell ‘ iniziativa della parte stessa, da intendere come immediatezza della reazione al palesarsi della necessità di svolgere un ‘ attività processuale ormai preclusa;
sulla base di tale premessa, al di là della incontroversa complessità del l’ iter di trasmissione degli atti ai soggetti domiciliati presso il Sevizio di Protezione dei Collaboratori di Giustizia, non solo è stato ritenuto poco plausibile che NOME COGNOME ricevuta la notifica del ricorso e del decreto in data 29 giugno 2015, non fosse riuscito in un lasso di
tempo piuttosto ampio (il termine per la tempestiva costituzione scadeva il 4 settembre 2015) a contattare tempestivamente un difensore in vista di tale costituzione, ma è stato anche correttamente rilevato che -avendo, in ogni caso, l’avvocato del convenuto ricevuto il ricorso il 17 settembre 2015 e acquisito la procura dal proprio assistito il 22 ottobre 2015 -la reazione al palesarsi della necessità di svolgere un’attività processuale ormai preclusa era stata tutt’a ltro che tempestiva, dal momento che la costituzione in giudizio, con la formulazione dell’istanza di rimessione in termini e dell’ eccezione di prescrizione, era avvenuta solo il successivo 30 gennaio 2016;
il primo motivo, dunque, va rigettato;
con il secondo motivo viene denunciata la nullità della sentenza per avvenuto travisamento della prova in violazione dell’art.115 c od. proc. civ., in relazione agli artt. 111 Cost., 132 n. 4 cod. proc. civ. e 6 CEDU, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 116 cod. proc. civ. e 2727 cod. civ.;
la sentenza d’ appello è censurata per non aver posto a fondamento della decisione l’ « informazione probatoria » desumibile dalla Nota del 30 ottobre 2015 del Servizio di Protezione dei Collaboratori di Giustizia, allegata con il ricorso, la quale dimostrava che i plichi contenenti gli atti notificati a NOME COGNOME ricevuti dal convenuto in data 29 giugno 2015, erano stati ritirati dal personale del competente Nucleo Operativo il giorno 11 agosto 2015 e consegnati al difensore il 17 settembre 2015 ; quest’ultimo aveva poi acquisito la procura il 22 ottobre 2015;
2.1. il motivo è manifestamente inammissibile, per diverse ragioni: in primo luogo, non sussiste neppure in astratto il dedotto ‘travisamento’ della prova ( men che meno nei rigorosi termini in cui
esso è stato ammesso da Cass., Sez. Un., n.5792/2024), atteso che, alla luce delle stesse allegazioni del ricorrente, la Corte d’appello non sarebbe caduta in un errore percettivo sul contenuto della prova ma avrebbe invece mancato di attribuire la dovuta inferenza probatoria alla Nota del 30 ottobre 2015 del Servizio di Protezione dei Collaboratori di Giustizia;
in secondo luogo, il giudizio di inferenza probatoria è un giudizio insindacabile in sede di legittimità in quanto riservato al giudice del merito, cui spetta non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 04/07/2017, n. 16467; Cass.23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499);
in terzo luogo, non è vero che il giudice del merito non abbia tenuto conto dell’ « informazione probatoria » contenuta nella citata nota: la Corte territoriale, infatti, non ha in alcun modo revocato in dubbio i dati (peraltro incontroversi) in essa indicati: ovverosia che il convenuto avesse ricevuto gli atti il 29 giugno 2015, il competente Nucleo Operativo li avesse ritirati l’11 agosto 2015, il difensore li avesse ricevuti il 17 settembre 2015 e avesse acquisito la procura il 22 ottobre 2015;
al contrario, proprio sulla base di questi dati -del tutto pacifici, il che attribuisce persino carattere di irrilevanza al documento invocato -il giudice d ‘appello ha espresso l ‘insindacabile giudizio di fatto, fondato su corrette premesse in iure , in ordine al carattere implausibile dell’ impedimento e al carattere non immediato della reazione;
con il terzo motivo viene denunciata la violazione degli artt. 2947 e 2697 cod. civ.;
il ricorrente ribadisce la fondatezza nel merito della sollevata eccezione di prescrizione, il cui accoglimento avrebbe dovuto seguire a quello dell’istanza di rimessione in termini;
il motivo, come rilevato nella proposta di definizione accelerata, è assorbito dal rigetto delle censure sul diniego della rimessione in termini, che non consente di superare il rilievo di tardività e, quindi, di inammissibilità dell’ eccezione di prescrizione;
con il quarto motivo viene denunciata la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 132 cod. proc. civ. e 111 Cost., nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 1227 cod. civ.;
viene censurata la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale operata dal giudice del merito sulla base delle tabelle milanesi fondate sul criterio c.d. ‘a forbice’ , in spregio al principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, circa la necessità di utilizzazione di tabelle basate sul diverso criterio c.d. ‘a p unto’;
la sentenza di merito è inoltre censurata per non avere attribuito rilievo all’apporto asseritamente dato dalla confessione resa da NOME COGNOME all’accertamento della verità sulla morte di NOME COGNOME
il ricorrente si duole, infine, della reiezione del motivo di gravame relativo alla contestazione della debenza degli interessi compensativi, avuto riguardo al ritardo con cui era stata avanzata la pretesa risarcitoria, stigmatizzando la condotta della creditrice, asseritamente diretta ad aggravare il danno, la quale avrebbe dovuto implicare una riduzione del risarcimento in misura pari agli interessi maturati;
4.1. anche il quarto motivo è manifestamente inammissibile, in quanto -come correttamente evidenziato nella proposta di definizione accelerata -inerente al giudizio di fatto, riservato al giudice del merito;
giova, tuttavia, precisare , quanto all’invocazione del criterio di liquidazione c.d. ‘a p u nto’, che l’ inammissibilità della relativa censura trova ulteriore fondamento, nella fattispecie, nel difetto di interesse del ricorrente (quale soggetto danneggiante e non danneggiato) a rilevare la violazione delle regole di liquidazione del danno parentale, atteso che l’ applicazione di tabelle -ad es. quelle romane -fondate sul criterio ‘ a punto ‘ avrebbe potuto comportare, in concreto, una liquidazione anche sensibilmente maggiore rispetto a quella invocata;
questa Corte ha, del resto, affermato che la legittimazione a proporre impugnazione per ottenere la liquidazione in forza di tabelle “a punti”, è subordinata alla specifica deduzione della differenza tra i valori minimi o massimi tra le tabelle e all’ allegazione che l’applicazione dei nuovi valori-punto comporterebbe, per ciò stesso, un risultato più favorevole all’impugnante (Cass. n. 25213/2024);
giova, ancora, precisare che l’indagine sulla violazione, da parte del danneggiato, del dovere di evitare l ‘aggravamento del danno, ai sensi dell’art. 1227, secondo comma, cod. civ., è consentita al giudice solo in presenza di una tempestiva istanza da parte del danneggiante; istanza che si configura come eccezione in senso proprio proponibile nel termine della rituale costituzione in giudizio ( ex aliis , Cass. n.15750/2015), nella fattispecie non avvenuta;
in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile;
non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, stante l ‘ indefensio dell’intimata;
per la medesima ragione, non può emettersi a carico del ricorrente la condanna ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., prevista, dall’art. 380 -bis , ultimo comma, cod. proc. civ., quale
conseguenza della definizione del giudizio in conformità alla proposta di decisione accelerata;
l ‘art. 96 cod. proc. civ. va però applicato con riferimento all’ulteriore previsione in esso contenuta (quarto comma), che prescrive la condanna della parte ricorrente soccombente al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che, nella fattispecie, pare equo determinare in Euro 5.000,00.
A norma dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, ove dovuto (Cass., Sez. Un., 20/02/2020, n. 4315).
Per Questi Motivi
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
ai sensi del combinato disposto degli artt. 380bis , ultimo comma e 96, quarto comma, cod. proc. civ., condanna il ricorrente a pagare alla Cassa delle ammende la somma di Euro 5.000,00;
a norma dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 5 maggio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME