Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28161 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 28161  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 921/2025 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE  NOME  RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  della liquidatrice,  elettivamente  domiciliata  in  Roma,  INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso  lo  studio  dell’ AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende
– controricorrente –
 avverso il decreto del giudice delegato del Tribunale di Roma depositato  l ‘ 11.12.2024  nel  procedimento  iscritto  al  n.  151NUMERO_DOCUMENTO;
udita  la  relazione  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 14.10.2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La liquidatrice della liquidazione RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, contro il decreto con cui il giudice delegato alla procedura, accogliendo il reclamo di RAGIONE_SOCIALE, ha ammesso al passivo il credito  da  questa  insinuato,  per  complessivi € 1.351.924,30, oltre accessori, di cui € 292.499,62, con collocazione ipotecaria, ed € 59.424,68, in chirografo.
RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell ‘ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
 Occorre  preliminarmente  sgomberare  il  campo  dalle eccezioni in rito sollevate nel controricorso.
1.1. Quanto all’esistenza e alla validità della procura alle liti rilasciata al difensore della ricorrente, è sufficiente osservare che,  contrariamente  a  quanto  afferma  la  controricorrente,  la procura è sottoscritta digitalmente dall’AVV_NOTAIO , come risulta dal documento informatico con coccarda depositato al momento dell’iscrizione a ruolo .
1.2.  Quanto  all’autorizzazione a  stare  in  giudizio  del giudice delegato alla procedura di liquidazione RAGIONE_SOCIALE -di cui la controricorrente rileva l’assenza , peraltro senza associarvi in modo esplicito un’eccezione di inammissibilità -essa non è richiesta dalla legge, trattandosi di giudizio di impugnazione di un decreto emesso proprio da quel giudice. Ciò è espressamente disposto nella disciplina della liquidazione giudiziale (art. 128,
comma 2, c.c.i.i.) e corrisponde alla costante applicazione della analoga disposizione contenuta nella legge fallimentare (art. 31, come modificato dal d.lgs. n. 5 del 2006; Cass. n. 7918/2012). E la medesima regola non può che valere, a più forte ragione, nella liquidazione RAGIONE_SOCIALE, ove manca una norma generale sul divieto per il liquidatore di stare in giudizio senza l’autorizzazione del giudice delegato, la quale è richiesta solo per iniziare o proseguire «ogni azione … finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del debitore e ogni azione diretta al recupero dei crediti», nonché «le azioni dirette a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile» (art. 274 c.c.i.i.).
 Con il  primo  motivo di ricorso  la ricorrente denuncia «v iolazione o falsa applicazione dell’art. 153, comma 2, c.p.c., con riferimento segnatamente all’art.  56, comma 3, d.lgs. n. 136 del 2024 in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3, c.p.c.».
Oggetto di censura è la decisione del giudice delegato di rimettere in termini il creditore che aveva presentato reclamo dieci giorni dopo la comunicazione del deposito dello stato passivo, mentre, alla luce della disciplina legale sopravvenuta (art. 273 Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza , così come modificato dall’art. 41 del d.lgs. n. 136 del 2024) , il reclamo doveva essere presentato « ai sensi dell’art. 133 » e, quindi, entro otto giorni dalla comunicazione (nel ricorso si faceva riferimento a un deposito del reclamo effettuato tredici giorni dopo la comunicazione del deposito dello stato passivo, ma tale affermazione è stata rettificata nella memoria illustrativa, restando pacifico il deposito nel decimo giorno).
Il secondo motivo, che può essere trattato insieme al primo per la stretta connessione tra i due, denuncia «violazione
o  falsa  applicazione  dell’art .  133  c.c.i.i.  per  avere  ritenuto  il decreto essere possibile accostare la regolamentazione operata dal  legislatore,  con  il  d.lgs.  13.9. 2024  n.  136,  all’art.  124 c.c.i.i.».
Si contesta al giudice delegato di avere ritenuto legittima la presentazione del reclamo entro il decimo giorno, in quanto in  tal  modo era stata rispettata  la tempistica dettata dall’art. 124  c.c.i.i.  riferita  al  reclamo  contro  i  decreti  del  giudice delegato.
I primi due motivi sono fondati.
4.1. Occorre precisare che la formazione del passivo della liquidazione RAGIONE_SOCIALE di NOME si è svolta a cavallo del 28.9.2024, data di entrata in vigore del d.lgs. correttivo n. 136 del 2024 e, quindi, del nuovo testo dell’art. 273 c.c.i.i. In particolare, il termine per presentare osservazioni al progetto di stato passivo predisposto dalla liquidatrice venne a scadere il 30 settembre, sicché la liquidatrice -invece di trasmettere il progetto e le osservazioni ricevute e ritenute «non superabili» al giudice delegato per la definitiva formazione del passivo (art. 273, comma 5, testo ante riforma) -provvide essa stessa a formare e depositare lo stato passivo e a comunicarlo ai creditori (art. 273, comma 3, testo post riforma).
4.2. Sulla base di tale sequenza cronologica non si dubita, e il giudice delegato non ha dubitato, che nel presente processo trova applicazione il testo novellato del l’art. 273 c.c.i.i. , in virtù delle disposizioni transitorie contenute nel l’ art. 56 del d.lgs. n. 136 del 2024, secondo cui: «Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale» (comma 1) e, «Salva diversa disposizione, … si applica … alle procedure di liquidazione … RAGIONE_SOCIALE … pendenti alla data della sua entrata in vigore …» (comma 4; l’art. 56 è stato poi
fatto oggetto di interpretazione autentica con l’art. 8, comma 1, del d.l. n. 178 del 2024, convertito con modificazioni dalla legge n. 4 del 2025, per precisare che l’entrata in vigore immediata nelle procedure pendenti «non richiede il rinnovo, la modifica o l ‘ integrazione degli atti» già compiuti e che «sono fatti salvi i provvedimenti adottati»; ciò che non rileva in questo caso).
Di conseguenza, è innegabile che il reclamo presentato il decimo giorno fu tardivo rispetto al termine di otto giorni fissato, nell ‘art.  273,  comma 4, c.c.i.i.,  mediante l’incondizionato richiamo dell’art. 133.
4.3. Il nucleo essenziale, nella motivazione del decreto qui impugnato, oggetto di censura con il primo motivo, è pertanto rappresentato dal l’applicazione dell’art. 153, comma 2, c.p.c., il quale consente al giudice di rimettere in termini la parte «che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile».
Il giudice delegato ha ritenuto di ravvisare una causa «non imputabile» del ritardo nella repentina entrata in vigore del novellato art. 273 c.c.i.i., valorizzando, da un lato, la deroga disposta dal legislatore alla consueta vacatio legis di quindici giorni (art. 73, comma 3, Cost. e 10, comma 1, disp. prel. c.c.); dall’altro lato, la giurisprudenza di legittimità sui casi di «cd. prospective overulling , ossia di sopravvenuta interpretazione di norme processuali importanti rispetto al precedente assetto esegetico preclusioni e decadenze che in tal modo possono essere ovviate (v. Cass. S.u. 12.2.2019 n. 4135)».
4.4. Il percorso argomentativo seguito dal giudice delegato presta il fianco alle critiche che gli sono state mosse nel ricorso e non può essere condiviso.
L’art. 153, comma 2, c.p.c. conferisce al giudice il potere di derogare alla rigorosa applicazione delle norme di legge in
considerazione di qualche particolare circostanza del caso concreto che non abbia permesso alla parte, senza sua colpa, di rispettare il termine imposto per lo svolgimento di una determinata attività. Si tratta, in sostanza, di un potere equitativo che permette al giudice, di fronte alla eccezionale particolarità del caso, di non «seguire le norme del diritto». Il giudice delegato del Tribunale di Roma ha invece deciso di rimettere il creditore in termini -e, quindi, di non seguire le norme del diritto -non in considerazione della specificità del caso concreto (ovverosia della particolare situazione in cui si fosse venuto a trovare quel determinato creditore in relazione a sue personali vicende meritevoli di comprensione), bensì in base a un giudizio di carattere generale sulla difficoltà di rispettare la legge a causa della sua troppo repentina entrata in vigore. In tal modo, però, invece di valutare un caso concreto al fine di sottrarlo, una tantum , all’applicazione della norma secondo un principio di equità, il giudice ha espresso un generale giudizio di incongruità della disciplina transitoria dettata dal legislatore, che si traduce in una critica al contenuto della legge in sé. Critica, si deve rilevare, che il giudice a quo non ha potuto condurre nei termini di una interpretazione correttiva (evidentemente non perseguibile per la chiarezza del dato normativo), bensì nei termini di una esplicita disapplicazione della norma transitoria, solo formalmente giustificata dal richiamo dell’istituto della rimessione in termini . Ma ciò non è consentito al giudice, che, subordinato alla legge (art. 101, comma 2, Cost.), la può soltanto interpretare e, laddove non interpretabile nel senso ritenuto conforme a giustizia, la deve comunque applicare, salva la possibilità di rimetterla al giudizio della Corte costituzionale, sussistendone i presupposti.
A ben vedere, il giudice COGNOME -annoverando tra le situazioni rilevanti ai fini della rimessione in termini «anche la sopravvenienza di disposizioni di cui viene disposta l’immediata applicazione ad ogni fattispecie procedimentale in corso poiché trattasi di evenienza che ingenera, nell’operatore, il ragionevole dubbio circa l’effettiva portata applicativa del novum normativo anche a situazioni già insorte e in corso di svolgimento all’atto del suo intervento» -ha sostanzialmente applicato una norma di diritto transitoria diversa da quella chiaramente posta dal legislatore.
4.5. È appena il caso di aggiungere che, come riportato dalla  stessa  RAGIONE_SOCIALE  nel  controricorso,  la liquidatrice,  nel  comunicare l’avvenuto deposito  dello  stato passivo, esplicitò che tale adempimento era stato effettuato «ai sensi  dell’art.  273,  comma  3,  c.c.i.i.»  e  aggiunse  il  seguente avviso: «Lo stato passivo è reclamabile (art. 273, comma 4, c.c.i.i.)».
Pertanto,  qualora  il  giudice  delegato  avesse  valutato  la situazione particolare in cui si era venuta a trovare la creditrice (invece  di  limitarsi  a  un  giudizio  in  astratto  sulla  norma  di diritto) avrebbe dovuto constatare che la liquidatrice si era fatta carico  di  un  chiaro  riferimento,  nella  comunicazione,  al  testo novellato dell’art. 273 e di indicare, per relationem , il mezzo di impugnazione consentito.
4.6. Non è pertinente, infine, l’accostamento della decisione qui adottata al prospective overulling , che riguarda i mutamenti  della  giurisprudenza  di  legittimità  sulle  questioni processuali che comportano preclusioni e decadenze precedentemente non considerate tali.
Infatti,  è  evidente  che l’autolimitazione,  da  parte  de i giudici , dell’ ambito di applicazione dei propri nuovi orientamenti
interpretativi  è -sul  piano  del  rispetto  del  ruolo  assegnato nell’ordinamento  al  formante  giurisprudenziale  cosa  ben diversa dalla consapevole disapplicazione di una norma di legge. Inoltre,  il  mutamento  della  giurisprudenza,  in  mancanza  del correttivo  della prospective  overulling ,  non  avrebbe  soltanto efficacia immediata, ma sarebbe destinato a riverberarsi anche sugli atti già compiuti nel passato in tutti i processi non ancora definiti con decisioni ormai irrevocabili.
4.7. Il  secondo motivo di ricorso completa il primo, nel senso che si contesta al giudice delegato di avere applicato il termine  di  dieci  giorni  per  il  reclamo  previsto  dall’art.  124 c.c.i.i., in luogo di quello più breve fissato nel l’art. 133 , cui rinvia il novellato art. 273.
In  effetti,  nel  decreto  qui  censurato  si  osserva  che «l’impugnativa proposta , prescindendo da ogni considerazione relativa al suo oggetto, appare rispettosa di tale tempistica» ( id est il termine di dieci giorni), quasi che il giudice avesse inteso rimediare alla supposta iniquità della norma di legge transitoria applicando, nei primi giorni successivi al 28.9.2024, l’art. 124 in luogo dell’art. 133.
E anche sotto questo profilo la censura della ricorrente è fondata, perché il giudice non poteva applicare di sua iniziativa una  norma  di  diritto  diversa  da  quella  che  egli  stesso  aveva riconosciuto vigente ratione temporis .
Il terzo motivo di ricorso è rubricato «violazione o falsa applicazione  dell’art.  133 c.c.i.i.  per  avere  ritenuto  il  decreto essere  possibile  la  censura  anche  per  ragioni  diverse  non identificabili in una violazione di legge, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.».
5.1. Il motivo , che riguarda il merito dell’opposizione allo stato passivo, rimane assorbito dalla constatazione della tardività del reclamo che lo rende inammissibile.
 In  definitiva,  accolti  il  primo  e  il  secondo  motivo  di ricorso,  il  decreto  impugnato  deve  essere  cassato  e,  non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa viene decisa  nel  merito  dichiarando  inammissibile,  perché  tardiva, l’opposizione allo stato passivo.
Le spese legali seguono la soccombenza, con riferimento ad entrambi i gradi di giudizio, e si liquidano in dispositivo, con distrazione in favore del difensore della ricorrente che ne ha fatto richiesta, dichiarandosi antistatario; sussistono inoltre i presupposti, di cui all’art.13, comma 1 -quater, primo periodo, d.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento dell’ulteriore importo previsto al comma 1-bis art. cit.; esso è dovuto per il reclamo già proposto avanti al giudice delegato dall’attuale controricorrente e qui deciso nel merito alla stregua di rigetto integrale, ciò in conformità all’indirizzo seguito da questa Corte «che ha costantemente affermato la natura impugnatoria, sia pur sui generis, dell’opposizione allo stato passivo» quanto alle omologhe opposizioni allo stato passivo nei fallimenti (Cass. 4346/2024, 48/2025). 
P.Q.M.
La Corte:
in accoglimento dei primi due motivi di ricorso, dichiarato assorbito il terzo, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile -per la tardività del reclamo -l’opposizione  proposta da  RAGIONE_SOCIALE  allo  stato passivo della liquidazione RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME;
condanna la controricorrente al pagamento delle spese, che liquida: per il giudizio di merito, in € 5.000 per compensi, oltre  alle  spese  generali  al  15%,  al  rimborso  del  contributo unificato, e agli accessori di legge; per il presente giudizio di legittimità, in € 7.000 per compensi, oltre alle spese generali al 15%, al rimborso del contributo unificato a € 200 per esborsi, e agli accessori di legge; il tutto con distrazione in favore dell’AVV_NOTAIO;
dà atto,  con  riferimento  al  giudizio  di  reclamo,  ai  sensi dell’art.13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza  dei  presupposti  per  il  versamento,  da  parte  di RAGIONE_SOCIALE,  già  opponente  lo  stato  passivo, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il reclamo a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  del 14.10.2025.
Il Presidente NOME COGNOME