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Rimessione in termini: il ritardo è colpa tua?

Un collaboratore di giustizia, citato in giudizio per risarcimento danni, si costituiva tardivamente. Chiedeva la rimessione in termini, adducendo che il ritardo fosse dovuto alle complesse procedure di notifica legate al suo status. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti. La ragione decisiva è stata il ritardo di 44 giorni, considerato imputabile al collaboratore stesso, tra la ricezione dell’atto giudiziario e la sua consegna al difensore.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rimessione in termini: quando la colpa del ritardo ricade sulla parte

L’istituto della rimessione in termini rappresenta un’ancora di salvezza nel processo civile, ma non è una concessione automatica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che anche in situazioni particolari, come quelle che coinvolgono un collaboratore di giustizia, la diligenza della parte rimane un requisito fondamentale. Se il ritardo nel costituirsi in giudizio è causato da una propria negligenza, non si può sperare in un salvacondotto processuale.

I Fatti di Causa

Il caso nasce da un’azione di risarcimento danni promossa dai nipoti di un uomo assassinato. Essi hanno citato in giudizio un soggetto, ritenuto responsabile, per ottenere il ristoro dei danni subiti a seguito della tragica perdita. Il convenuto era un collaboratore di giustizia, sottoposto a un regime di protezione speciale.

A causa delle complesse procedure di notifica previste per i collaboratori, la sua costituzione in giudizio è avvenuta tardivamente. L’uomo ha quindi richiesto la rimessione in termini, sostenendo che il ritardo non fosse a lui imputabile, ma diretta conseguenza delle lungaggini burocratiche del sistema di protezione. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno rigettato la sua richiesta, sottolineando un fatto cruciale: il convenuto aveva atteso ben 44 giorni dal momento in cui aveva ricevuto l’atto prima di consegnarlo al suo difensore. Di conseguenza, è stato condannato al risarcimento.

L’analisi della Corte di Cassazione sulla rimessione in termini

Investita della questione, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i motivi di ricorso relativi alla tardiva costituzione. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: l’accertamento dei tempi e della non imputabilità del ritardo è una valutazione di fatto, riservata ai giudici di merito e non censurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata.

Le motivazioni

La ratio decidendi della decisione impugnata, e confermata dalla Cassazione, è chiara: il ritardo decisivo non è stato causato dalle procedure del servizio di protezione, ma dalla condotta del ricorrente stesso. Il verbale di consegna, prova documentale inequivocabile, attestava che tra la ricezione dell’atto da parte del collaboratore e la sua successiva consegna al servizio di protezione affinché lo inoltrasse al legale, erano trascorsi 44 giorni.

Questo lasso di tempo è stato considerato un ritardo a lui pienamente imputabile, sufficiente a escludere la causa di non imputabilità necessaria per ottenere la rimessione in termini. La Corte ha precisato che i giudici di merito non hanno travisato le prove, ma hanno fondato la loro decisione proprio sul contenuto letterale del documento.

Di conseguenza, anche il motivo relativo alla mancata possibilità di eccepire la prescrizione è stato assorbito e rigettato: senza la rimessione in termini, ogni difesa che avrebbe potuto essere svolta tempestivamente decade.

Infine, la Corte ha respinto anche le censure sulla liquidazione del danno. Il ricorrente contestava l’uso di tabelle obsolete e una valutazione dei fatti errata. Tuttavia, i giudici hanno rilevato che la contestazione si basava su presupposti di fatto, non rivalutabili in Cassazione, e che, contrariamente a quanto affermato, la Corte d’Appello aveva correttamente fatto riferimento alle tabelle basate sul sistema a punti, e non a quello “a forbice”.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito sulla diligenza processuale. Lo status di collaboratore di giustizia e le relative complessità procedurali non costituiscono una giustificazione automatica per i ritardi. La parte ha sempre l’onere di agire con prontezza una volta venuta a conoscenza di un atto giudiziario. Un’attesa di oltre un mese e mezzo prima di attivare il proprio difensore è stata ritenuta una negligenza che impedisce di accedere al beneficio della rimessione in termini, con tutte le conseguenze negative che ne derivano sul piano delle difese processuali.

Un collaboratore di giustizia può sempre ottenere la rimessione in termini a causa delle difficoltà di notifica legate al suo status?
No. La Corte ha chiarito che lo status di collaboratore di giustizia non esonera la parte dall’onere di agire con diligenza. Se il ritardo è causato da una sua negligenza, come l’attesa di 44 giorni prima di inoltrare l’atto al difensore, la rimessione in termini non può essere concessa.

È sufficiente la complessità della procedura di notifica a giustificare una costituzione tardiva?
No, non è sufficiente. La parte deve dimostrare che il ritardo è dovuto a una causa a lei non imputabile. Nel caso di specie, il ritardo decisivo non è stato attribuito alla procedura, ma all’inerzia del destinatario dell’atto dopo averlo ricevuto.

La Corte di Cassazione può riesaminare la quantificazione del danno decisa dai giudici di merito?
No, di regola la Cassazione non può riesaminare la quantificazione del danno, poiché si tratta di un accertamento di fatto riservato ai giudici di merito. Il suo controllo è limitato alla violazione di norme di diritto o a un difetto assoluto di motivazione, come ad esempio l’utilizzo di criteri di liquidazione palesemente errati, cosa che in questo caso è stata esclusa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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