Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13738 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13738 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23545/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappres. e difesa da ll’ avv.to NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappres. p.t.; COGNOME nella qualità di erede di NOME COGNOME e NOME COGNOME, rappresentate e difese dall’ avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-controricorrenti- avverso la sentenza della Corte d’appello di P alermo -n.751/2023depositata il 15/04/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6.05.2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con sentenza pubblicata mediante lettura all’udienza del 4.12.2017 , il Tribunale di Palermo accoglieva la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE di COGNOME‘ultima quale legale rappresentante e fideiussore della società- nonché da NOME, NOME e NOME COGNOME, nella qualità di fideiussori, nei confronti del Banco Popolare s.coop. a r.lRAGIONE_SOCIALE (già Banca Mercantile Italiana, e Banca di Carini), e per l’effetto, rideterminava il saldo del conto corrente intrattenuto dalla società con la banca convenuta dal maggio 1995 in euro 98.582,90 a credito della società, e condannava la banca al pagamento del danno da ritardo quantificato in euro 1.263,84 (a titolo di rivalutazione monetaria del predetto saldo) oltre interessi legali a fare data dalla sentenza.
Al riguardo, il giudice di primo grado: riteneva non provata l’esistenza della fideiussione prestata da NOME e NOME COGNOME; limitava l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca alle rimesse solutorie -calcolate sul saldo banca e tenuto conto del cd. fido di fatto concesso alla società correntista- effettuate dalla società fino al 19.3.03 (data calcolata a partire dalla notificazione dell’atto di citazione a ritroso per 10 anni) quantificate in euro 4.500,00; accoglieva l’eccezione di invalidità degli addebiti dovuti alla capitalizzazione trimestrale degli interessi fino al 1.7.2000 per difetto di reciprocità ed alla commissione di massimo scoperto ritenuta invalida per mancanza di determinatezza, mentre rigettava le eccezioni relative alla mancata previsione per iscritto degli interessi ultra-legali ed al superamento del tasso soglia usurario.
Alla stregua di queste valutazioni, il Tribunale rideterminava il saldo del conto corrente nella misura summenzionata sulla scorta dei calcoli operati dal ctu, che era partito dal primo saldo indicato negli estratti
conto in atti, operando il raccordo dei vari saldi nei periodi nei quali mancavano gli estratti-conto.
Avverso la predetta sentenza proponeva appello il Banco RAGIONE_SOCIALE quale società costituita a seguito della fusione fra la Banco Popolare sRAGIONE_SOCIALE e la Banca Popolare di Milano sRAGIONE_SOCIALE
Con sentenza del 15.4.23, la Corte territoriale rigettava l’appello, osservando che: la banca non aveva impugnato la parte della sentenza che aveva escluso la legittimazione di NOME e NOME COGNOME, quali supposti fideiussori della società correntista, in adesione all’eccezione formulata dalla stessa banca; c orrettamente il ctu ed il Tribunale avevano ritenuto indeterminata la commissione di massimo scoperto, in quanto nel contratto non ne era stata specificata la base di calcolo; pertanto, era corretto il ricalcolo delle competenze senza tenere conto di tali commissioni e della capitalizzazione trimestrale (punto che non è stato impugnato dalla banca) effettuato dal ctu; correttamente il giudice di primo grado aveva escluso la rilevanza della questione relativa alla cd. usura sopravvenuta, perché il tasso soglia usurario non risultava superato una volta che dal conteggio era stata eliminata la suddetta commissione; detta nullità comportava l’esclusione di quest’ultima da ogni ricalcolo del saldo, sicché la stessa non esplicava più incidenza sul reale costo complessivo del credito che formava oggetto della verifica di conformità alla normativa antiusura; il motivo sul ricalcolo, astrattamente fondato, non poteva però essere accolto, perché portava ad un risultato sfavorevole alla banca in assenza di appello incidentale della società correntista; il punto di riferimento per i ricalcoli era la terza relazione depositata dal ctu, nominato nel primo grado di giudizio a seguito delle integrazioni ai quesiti disposti all’udienza del 8.5.17, poiché n elle precedenti relazioni il ctu aveva effettuato i ricalcoli solamente a partire dal 19.3.03,
avendo ritenuto prescritte tutte le rimesse effettuate dalla società prima di tale data, poiché non aveva tenuto conto del cd. fido di fatto concesso dalla banca; rispetto al ricalcolo delle competenze effettuato a partire dall’apertura del c/c mancavano, quindi, tutti gli estratti-conto del 1996, quelli da agosto a novembre 1998, e da agosto a dicembre 1999, mentre successivamente a tale data man cava solo l’estratto di giugno 2004; la mancanza degli estratticonto per l’intero anno 1996 e di numerosi di essi negli anni 1998 e 1999, rendeva del tutto inaffidabile la prova del saldo di partenza per i ricalcoli invocati dalla società correntista ; dal momento che la prova del saldo di partenza per effettuare la verifica delle competenze spetta alla società correntista che vuole la rideterminazione del saldo del c/c depurata delle competenze illegittimamente addebitate dalla banca, si doveva partire dal saldo banca indicato ne ll’e/c del primo trimestre del 2000, il primo dal quale risultava una serie continua di e/c fino al momento in cui il rapporto di c/c è stato operativo, ovvero al 31.12.2011; tale saldo era pari a lire 190.131.327 a debito della società correntista; orbene, confrontando questo saldo con quello indicato nell’all. 4 alla terza relazione, dal quale sono state tratte le somme da riaccreditare in favore della società correntista e pari a lire 291.911.688 a debito della società correntista al 31.12.1999, emergeva che l’eventuale ricalcolo delle competenze avrebbe un effetto sfavorevole alla banca, poiché i conteggi verrebbero fatti sulla base di un saldo a debito della società correntista inferiore (lire 190.131.327 anziché lire 291.911.688); in assenza di una domanda in tal senso della società correntista appariva, pertanto, privo di interesse l’accoglimento del motivo della banca; si dovrebbe, infatti, rinnovare la ctu per effettuare i calcoli con gli stessi criteri usati dal consulente nominato in primo grado, ma a partire da un saldo più favorevole alla società correntista: tale operazione non
potrebbe che determinare un risultato ancora più favorevole alla società rispetto a quello già raggiunto in primo grado; la nullità del fido di fatto era di protezione, per cui correttamente la invocava il correntista al fine di ritenere non dovute le somme pagate per interessi a questo titolo, mentre non era invocabile dalla banca a proprio favore per aumentare la soglia delle rimesse solutorie; la banca aveva, invece, ragione nel censurare la limitazione delle rimesse solutorie alla quota di interessi mat urati fuori dal fido, poiché l’intera rimessa della società correntista -almeno nella parte in cui riduceva o azzerava l’esposizione al di fuori del fido (tornando ad essere meramente ripristinatoria della provvista la parte che riduceva il saldo a debito all’ interno del fido concesso)- era da ritenere solutoria e, quindi, prescritta; anche in questo caso, però, la fondatezza del motivo non consentiva l’accoglimento dell’appello, perché il calcol o delle rimesse solutorie non andava fatto sul saldo cd. banca, ma sul saldo cd. ricalcolato dal ctu; al riguardo, il ctu aveva effettuato la verifica delle rimesse solutorie sul saldo ricalcolato nella terza relazione in risposta alle osservazioni del ctp della banca, e dall’esame di questo allegato si evince va che, in ossequio a questo calcolo, non sussistevano rimesse solutorie in tutto l’arco temporale considerato; anche in questo caso, in assenza di appello incidentale della società correntista, non si poteva espungere dal calcolo effettuato dal Tribunale la somma di euro 4.500,00 corrispondente a rimesse solutorie e, quindi, prescritte; il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno causato dall’applicazione di clausole ritenute illegittime, e si era limitato a riconoscere la rivalutazione del saldo attivo così come calcolato dal ctu dal momento della citazione fino alla pronuncia della sentenza, individuando nella citazione il momento in cui la società correntista aveva messo in mora la banca rispetto ai detti
comportamenti illegittimi; la somma è stata quantificata in euro 1.263,84, con esclusione del computo di interessi legali, che decorrono sulla somma complessivamente riconosciuta solo a fare data dalla sentenza, quale titolo dichiarativo del rapporto di dare/avere fra le parti; questa necessaria precisazione rendeva irrilevanti le argomentazioni dell’appellante, che si focalizza vano sulla prova del maggior danno rispetto alla corresponsione degli interessi legali, non conteggiati.
RAGIONE_SOCIALE ricorre in cassazione, avvero la suddetta sentenza, con tre motivi. La RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME resistono con controricorso, illustrato da memoria.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2033, 2935, 2946, 1823 e 1842 cc.
Al riguardo, la ricorrente, premesso che la Corte di Appello ha ritenuto che in materia di prescrizione delle rimesse in conto corrente dovesse valere il fido di fatto e che il computo delle rimesse prescritte debba essere eseguito non sul saldo di cui all’ estratto conto, bensì sul saldo rideterminato, eliminando tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall’istituto di credito, lamenta che la consulenza contabile non ha espunto dal ricalcolo del conto corrente le rimesse prescritte, ma solo gli interessi extra-fido, avendo sia il Tribunale che la Corte di Appello, ritenuto che il perito nominato dal Tribunale avesse correttamente svolto il conteggio delle rimesse prescritte secondo quanto previsto dalla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n.24418/2010. La ricorrente assume pertanto che relativamente all’accertamento del saldo del conto corrente n.NUMERO_DOCUMENTO, poi n.2301/336461, intestato alla RAGIONE_SOCIALE, era da applicare il principio di diritto secondo il
quale dal saldo rettificato dagli addebiti illegittimi devono essere detratte le rimesse solutorie prescritte.
Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt.2697 cc e 115 cpc, per aver la Corte d ‘appello ritenuto che il motivo della banca appellante sarebbe stato astrattamente fondat o ma non accoglibile, perché avrebbe condotto ad un risultato sfavorevole alla stessa banca in assenza di appello incidentale della società correntista. In particolare, la ricorrente assume che: la relazione contabile eseguita in primo grado non ha ricalcolato il saldo dal primo estratto conto fino all’ultimo in atti, o come asserisce la Corte , << fino al momento in cui il rapporto di c/c è stato operativo , poiché controparte ha prodotto in giudizio in maniera discontinua gli estratti conto dal 1995 al 2013, quindi il saldo accertato alla data del 31/12/2011 era un mero saldo intermedio; tra l'altro, diversamente da quanto sostenuto dalla Corte di Appello, la discontinuità degli estratti conto era anche successiva al 2000, quindi è stata accertata la discontinuità degli estratti oltre l'anno 2000; l'incompletezza e l'assenza d ella necessaria continuità degli estratti conto, palesata anche dal ctu, non consentiva una corretta ricostruzione del rapporto di conto corrente; la sentenza impugnata si basava sull'interpretazione (errata) dei dati contabili contenuti non nei documenti prodotti dalle parti, bensì negli allegati alla perizia .
La ricorrente assume altresì che la Corte di Appello di Palermo aveva l'obbligo di pronunciarsi sulle ulterior i domande degli appellati e di disporre il richiamo del ctu.
Il terzo motivo deduce errata interpretazione e/o violazione e/o falsa applicazione degli artt.91 e 92 ex art.360 c.p.c. n.3 in relazione alla erronea condanna della banca al pagamento delle spese processuali. Il primo motivo è inammissibile sotto due profili.
In primo luogo, va osservato che la ratio decidendi della sentenza impugnata è nel senso che, non avendo la società correntista impugnato il fido di fatto per la nullità protettiva (impugnabile pertanto solo dal correntista, secondo il giudice del merito), le rimesse non avrebbero potuto essere considerate solutorie, in presenza del detto fido; tale ratio , e cioè la permanenza del fido di fatto caducabile solo con impugnativa del cliente, che rendeva ripristinatorie le rimesse, non risulta impugnata, per cui la censura è priva di decisività. Trattasi di profilo assorbente.
Inoltre, il motivo tende comunque al riesame dei fatti. Invero, il ctu non ha escluso dal saldo ricalcolato le rimesse solutorie presenti, ma ha ritenuto che non vi fossero pagamenti prescritti da parte della correntista poiché ha ritenuto prescritti solo gli interessi e le competenze maturate oltre l'affidamento concesso dalla Banca.
Al riguardo, la Corte territoriale ha rilevato che dalla ctu si evince che non sussistono rimesse solutorie in tutto l'arco temporale co nsiderato, rilevando altresì che in assenza di appello incidentale della società correntista non si sarebbe potuto procedere ad espungere dal calcolo effettuato dal giudice di primo grado la somma di euro 4.500,00 corrispondente a rimesse solutorie e, quindi, prescritte.
Ora, il motivo in esame è diretto a sollecitare una diversa interpretazione dei fatti rispetto a quella adottata dalla Corte d'appello e, pertanto, inammissibile in questa sede.
Il secondo motivo è parimenti inammissibile per inerenza al giudizio di fatto.
La ricorrente formula due submotivi: A) inattendibilità del calcolo alla luce delle incompletezze documentali; B) omesso espletamento di una nuova ctu.
Va osservato che nei rapporti di conto corrente bancario, il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione di quanto indebitamente trattenuto dalla banca, non è tenuto a documentare le singole rimesse suscettibili di restituzione soltanto mediante la produzione di tutti gli estratti conto periodici, ben potendo la prova dei movimenti desumersi "aliunde", vale a dire attraverso le risultanze di altri mezzi di prova, che forniscano indicazioni certe e complete, anche con l'ausilio di una consulenza d'ufficio, da valutarsi con un accertamento in fatto insindacabile innanzi al giudice di legittimità (Cass 20621/21). Nella specie, la censura attinge l'accertamento di fatto riguardante la determinazione delle rimesse solutorie.
Invero, la Corte d'appello ha rideterminato il saldo del conto corrente applicando i suesposti principi affermati dalla Corte di Cassazione.
Le doglianze espresse tendono al riesame dei fatti inerenti al suddetto ricalcolo, tanto che la stessa ricorrente non discute i principi di diritto richiamati nella sentenza impugnata, ma le concrete modalità fattuali del ricalcolo, ma senza allegare specifici errori di diritto nell'operato del c.t.u.
Infine, il terzo motivo è inammissibile, essendo in realtà subordinato all'accoglimento dei primi due motivi e costituendo in definitiva un nonmotivo.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 6.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 6 maggio 2025.