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Rimesse solutorie: la Cassazione e il fido di fatto

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un istituto di credito contro una società correntista. La controversia riguardava la rideterminazione del saldo di un conto corrente, epurato da addebiti illegittimi come la commissione di massimo scoperto e la capitalizzazione trimestrale. La Corte ha confermato che il calcolo delle rimesse solutorie ai fini della prescrizione deve basarsi sul saldo ricalcolato e depurato, non sul saldo originario indicato dalla banca. L’inammissibilità è derivata dal fatto che i motivi del ricorso vertevano su riesami di fatto, non consentiti in sede di legittimità, e non contestavano la ratio decidendi della sentenza d’appello relativa alla natura protettiva del fido di fatto.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rimesse Solutorie: Come si Calcola la Prescrizione in Presenza di Fido di Fatto?

La recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 13738/2025, offre chiarimenti fondamentali sul contenzioso bancario, in particolare sul calcolo della prescrizione per le rimesse solutorie in un conto corrente. La Suprema Corte ha ribadito un principio cruciale: la verifica della natura solutoria o ripristinatoria di un versamento va fatta sul saldo reale del conto, depurato da tutti gli addebiti illegittimi, e non sul saldo apparente esposto dalla banca.

I Fatti di Causa

Una società, insieme ai suoi fideiussori, avviava una causa contro un istituto di credito per ottenere la rideterminazione del saldo del proprio conto corrente, sostenendo l’illegittimità di diverse voci di addebito, tra cui la capitalizzazione trimestrale degli interessi e la commissione di massimo scoperto.

Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda, accertando un credito a favore della società e condannando la banca al pagamento. La banca proponeva appello, ma la Corte territoriale rigettava il gravame, confermando la decisione di primo grado.

Insoddisfatta, la banca ricorreva per Cassazione, basando le proprie doglianze su tre motivi principali: la violazione delle norme sulla prescrizione delle rimesse solutorie, l’errata valutazione delle prove documentali (in particolare la mancanza di alcuni estratti conto) e l’ingiusta condanna al pagamento delle spese processuali.

La Decisione della Corte d’Appello e le Rimesse Solutorie

La Corte d’Appello aveva rigettato le censure della banca con argomentazioni solide. In primo luogo, aveva stabilito che la commissione di massimo scoperto era nulla per indeterminatezza, poiché il contratto non ne specificava la base di calcolo. Di conseguenza, il ricalcolo del saldo senza tale commissione era corretto.

In secondo luogo, e questo è il punto centrale, la Corte aveva osservato che, una volta epurato il saldo da tutti gli addebiti illegittimi, non sussistevano più rimesse solutorie prescritte nell’arco temporale considerato. Il calcolo della prescrizione, infatti, non poteva basarsi sul saldo ‘falsato’ dalla banca, ma doveva fondarsi sul saldo rideterminato dal consulente tecnico d’ufficio (CTU). L’assenza di un appello incidentale da parte della società correntista, inoltre, impediva di modificare in peggio per la banca il risultato del primo grado, anche se alcuni motivi d’appello della banca fossero stati astrattamente fondati.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili tutti i motivi del ricorso, consolidando principi giurisprudenziali di grande importanza pratica.

Il primo motivo, relativo alla prescrizione delle rimesse solutorie, è stato giudicato inammissibile per due ragioni. Anzitutto, la banca non aveva impugnato la ratio decidendi della sentenza d’appello, la quale si fondava sulla permanenza di un ‘fido di fatto’ che rendeva i versamenti meramente ripristinatori della provvista e non solutori. In secondo luogo, la censura tendeva a un riesame del merito, poiché contestava l’accertamento del CTU, confermato dai giudici, secondo cui sul saldo ricalcolato non emergevano versamenti con natura solutoria. Si trattava di una valutazione di fatto, non sindacabile in sede di legittimità.

Anche il secondo motivo, riguardante la presunta inattendibilità dei calcoli a causa di incompletezze documentali, è stato ritenuto inammissibile. La Corte ha ricordato il principio consolidato secondo cui, nelle azioni di ripetizione di indebito, la prova dei movimenti può essere desunta anche ‘aliunde’, ovvero da altre fonti, non necessariamente dalla produzione di tutti gli estratti conto periodici. La valutazione di tali prove rientra nella discrezionalità del giudice di merito.

Infine, il terzo motivo sulle spese processuali è stato dichiarato inammissibile in quanto consequenziale al rigetto dei primi due.

Le Conclusioni

L’ordinanza conferma e rafforza alcuni punti fermi nel diritto bancario:
1. Calcolo sul Saldo Rettificato: La verifica della prescrizione delle rimesse solutorie deve essere effettuata sul saldo del conto corrente come rideterminato dal giudice, una volta eliminati tutti gli addebiti illegittimi (interessi anatocistici, commissioni non dovute, ecc.).
2. Rilevanza del Fido di Fatto: La concessione, anche non scritta, di un affidamento da parte della banca è cruciale. I versamenti effettuati entro i limiti di tale fido sono considerati ‘ripristinatori’ e non ‘solutori’, posticipando l’inizio del decorso della prescrizione alla chiusura del conto.
3. Onere della Prova: L’assenza di alcuni estratti conto non è di per sé ostativa all’azione del correntista, potendo la prova essere raggiunta anche attraverso altri mezzi, inclusa una consulenza tecnica che ricostruisca i saldi mancanti.

Come si calcola la prescrizione delle rimesse in un conto corrente con affidamento?
La prescrizione decennale per la richiesta di restituzione delle rimesse inizia a decorrere solo per quelle ‘solutorie’, cioè i versamenti fatti su un conto il cui saldo passivo ha superato il limite dell’affidamento (anche se concesso ‘di fatto’). Il calcolo va effettuato sul saldo rideterminato dal giudice, dopo aver eliminato tutti gli addebiti illegittimi contestati dal cliente.

La mancanza di alcuni estratti conto impedisce al correntista di agire per la restituzione delle somme indebitamente pagate?
No. Secondo la Corte, il correntista non è tenuto a documentare la sua richiesta solo con la produzione di tutti gli estratti conto. La prova dei movimenti può essere desunta anche da altri mezzi di prova (‘aliunde’), che forniscano indicazioni certe e complete, anche con l’ausilio di una consulenza tecnica d’ufficio.

Perché il ricorso della banca è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché i motivi sollevati dalla banca tendevano a un riesame dei fatti già valutati dai giudici di merito, operazione non consentita in sede di Cassazione. Inoltre, la banca non ha contestato la ‘ratio decidendi’ (la ragione giuridica fondamentale) della sentenza d’appello, in particolare quella relativa alla permanenza del fido di fatto, rendendo le sue censure prive di decisività.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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