Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7122 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7122 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10041/2024 R.G. proposto da:
AVV. NOME COGNOME domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la cancelleria della SUPREMA CORTE di CASSAZIONE rappresentata e difesa da sé medesima e dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore domiciliato ex lege presso l’Avvocatura Generale dello Stato, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso il decreto n. 1106/2023 della Corte d’Appello di Messina depositato il 15 novembre 2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
La Corte d’appello di Messina, in composizione monocratica, dichiarò inammissibile la domanda d’equa riparazione per la non
ragionevole durata di un giudizio civile avanzata da NOME COGNOME per non essere stato esperito il rimedio preventivo di cui all’art. 1 ter l. n. 89/2001, condannando l’istante al pagamento della somma di € 1.000,00 in favore della casa delle ammende.
In sede collegiale la medesima Corte rigettò il reclamo in opposizione proposto dalla COGNOME che condannò al rimborso delle spese legali in favore del Ministero della Giustizia.
NOME COGNOME spendendo la qualità di avvocato, avanza ricorso sulla base di quattro motivi, ulteriormente illustrato da memoria. Il Ministero della giustizia resiste con controricorso.
Con il primo e il secondo motivo, tra loro correlati, viene denunciata violazione degli artt. 112 e 161 cod. proc. civ., nonché dell’art. 6, § 1 e 13 carta EDU, degli artt. 111, co. 2 e 117, co. 1, Cost., in relazione agli artt. 6, § 1 e 13 carta EDU.
Questo l’argomento coltivato con la doglianza: il Giudice del merito ha errato a reputare che il rito semplificato di cognizione possa costituire effettivo rimedio preventivo ed <> ; pertanto, la mancata richiesta d’un tal rito non avrebbe potuto condurre alla declaratoria d’inammissibilità; lo stesso, infatti, prima che si fosse consumato il triennio di ragionevole durata, non avrebbe potuto concretamente contrarre la durata del processo, atteso che la natura della vertenza, che avrebbe imposto al giudice l’esperimento di c.t.u., non si confaceva all’anzidetto rito e, in caso di richiesta in tal senso, il giudice avrebbe dovuto verificarne la compatibilità con le esigenze istruttorie; infine, si sarebbe dovuto tenere conto dei <>.
7.1. Il complesso censorio è infondato.
L’art. 2, co. 1, l. n. 89/2001 dispone: <> . A sua volta, quest’ultima norma individua tra i rimedi preventivi la <>.
Assodato che la ricorrente non tentò siffatto rimedio preventivo, posto dalla legge a condizione d’inammissibilità, sono irrilevant i gli asserti secondo i quali la complessità dell’istruttoria non avrebbe consentito la conversione del rito.
La dedotta inefficacia sollecitatoria del rito semplificato costituisce, infine, mero apodittico asserto in contrasto con la legge, che trova specifica smentita, al contrario di quel che sostiene la ricorrente, nelle pronunce della Corte costituzionale.
Questa, infatti, nel giudicare in contrasto con la Costituzione l’art. 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89, nella parte in cui prevede l’inammissibilità della domanda di equa riparazione nel caso di mancato esperimento del rimedio preventivo di cui all’art. 1ter , comma 6, della medesima legge (pregiudiziale istanza di accelerazione nei giudizi pendenti davanti alla Corte di cassazione), stante che lo strumento sarebbe privo di effettiva attitudine acceleratoria, ha espressamente contrapposto ad esso <> , fra i quali evidentemente l’istanza di mutamento del rito ordinario in quello semplificato.
In dichiarata sintonia <> (così, Corte cost. n. 142/23).
Il punto, però, è che non spetta alla parte apprezzare i margini di accoglibilità della mozione sollecitatoria (legittimamente) prevista dalla legge, per poi concludere, sostituendo la propria valutazione a quella del giudice, che il rimedio preventivo non avrebbe sortito esito, e che, dunque, non valeva neppure esperirlo. Al contrario, esso costituisce oggetto di un onere che grava sulla parte in virtù di legge e non di prognosi concreta. Infatti, nulla vieta che il giudice, nell’ottica della leale collaborazione con le parti e consentendolo il ruolo istruttorio, riesca ad organizzare il calendario del processo ex art. 81-bis disp. att. c.p.c. in maniera da rispettare il termine di durata ragionevole.
8. Con il terzo motivo viene denunciata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., addebitandosi all’impugnato decreto di non essersi pronunciato sulla richiesta di annullare o revocare la condanna al pagamento della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
8.1. Il motivo è inammissibile.
L’impugnato decreto non riferisce di critica censoria afferente alla condanna al pagamento in favore della cassa delle ammende; e la ricorrente, in difetto del requisito di specificità del ricorso, non riporta il contenuto di quel che asserisce aver sostenuto con l’asserito <>.
Con il quarto motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., avendo la Corte di Messina condannato l’esponente a rimborsare le spese in favore del Ministero della Giustizia rimasto contumace.
9.1. La doglianza è fondata.
Non è controverso che il Ministero della Giustizia non ebbe a svolgere difese davanti alla Corte locale (cfr. sul punto lo stesso controricorso). Da ciò consegue che la disposta condanna risulta illegittima per l ‘ evidente ragione che la controparte, proprio perché rimasta intimata, non ebbe a sopportare il costo della difesa.
In ragione di quanto esposto il decreto deve essere cassato a riguardo di quest’ultimo motivo.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito eliminando la condanna alle spese disposta dalla Corte d’appello di Messina in favore del Ministero della Giustizia, ai sensi dell’art. 384, co. 2, cod. proc. civ.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo.
P.Q.M.
accoglie il quarto motivo del ricorso e respinge gli altri, cassa il decreto impugnato in relazione all’accolto motivo e, decidendo nel merito, elimina la condanna alle spese disposta dalla Corte d’appello di Messina in favore del Ministero della Giustizia; condanna il controricorrente al pagamento in favore della ricorrente
delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma il giorno 22 gennaio 2025.