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Rimedio preventivo: non serve nel rito del lavoro

Un cittadino ha richiesto un indennizzo per l’eccessiva durata di una causa soggetta al rito del lavoro. I giudici di merito avevano respinto la domanda per il mancato utilizzo del rimedio preventivo. La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione, stabilendo che per i processi con rito accelerato, come quello del lavoro, il rimedio preventivo non è necessario, poiché la procedura stessa è concepita per essere rapida.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rimedio Preventivo e Legge Pinto: Quando Non è Necessario

La Legge Pinto prevede un indennizzo per chi subisce un processo dalla durata irragionevole. Tuttavia, per ottenerlo, la legge impone di solito di aver prima tentato di accelerare il giudizio tramite un apposito rimedio preventivo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha però chiarito un’importante eccezione a questa regola, stabilendo che tale onere non sussiste per i processi che seguono il rito del lavoro, intrinsecamente concepiti per essere rapidi. Analizziamo insieme questa fondamentale decisione.

I Fatti di Causa

Un cittadino, dopo aver affrontato un processo in materia di comodato, riteneva che la durata del giudizio fosse stata eccessiva. Decideva quindi di avvalersi della Legge n. 89/2001 (nota come “Legge Pinto”) per chiedere un’equa riparazione per il danno subito.

Sia il Consigliere delegato che, in seguito, la Corte d’Appello di Messina rigettavano la sua richiesta. La motivazione era netta: il cittadino non aveva attivato alcun rimedio preventivo per sollecitare la conclusione del processo, un requisito ritenuto indispensabile per poter accedere all’indennizzo. La domanda veniva quindi dichiarata inammissibile.

La Questione del Rimedio Preventivo nel Rito del Lavoro

Il ricorrente ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo un punto cruciale: la causa originaria in materia di comodato era stata celebrata secondo le norme del rito del lavoro (art. 447 bis c.p.c.). Questo rito speciale è per sua natura accelerato e non contempla la necessità di un’ulteriore istanza per velocizzare i tempi. Imporre un rimedio preventivo in un contesto già strutturato per la celerità sarebbe, secondo la difesa, una duplicazione inutile e contraria allo spirito della legge.

La Posizione del Ministero della Giustizia

Il Ministero della Giustizia, costituitosi in giudizio, aveva a sua volta sollevato una questione di tardività, sostenendo che il ricorso per l’equa riparazione fosse stato depositato oltre il termine di sei mesi dalla definitività della sentenza. La Cassazione ha rapidamente respinto questa obiezione, chiarendo che, tenuto conto della sospensione dei termini processuali per l’emergenza Covid-19, il ricorso era stato presentato tempestivamente.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del cittadino, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno ribadito un principio già affermato in precedenti pronunce (in particolare, Cass. n. 16741/2022): l’obbligo di esperire un rimedio preventivo, previsto dall’art. 1 ter della Legge n. 89/2001, deve essere interpretato in modo conforme alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

In quest’ottica, non rientrano nell’ambito di applicazione di tale norma i processi che si svolgono con il rito del lavoro. La ragione è strutturale: l’articolo 429 del codice di procedura civile prevede già che, in questo rito, il giudice debba decidere la causa immediatamente all’udienza di discussione, dando lettura del dispositivo e delle motivazioni.

Questa caratteristica intrinseca del rito del lavoro lo rende già di per sé un meccanismo accelerato. Pertanto, richiedere alla parte di presentare un’ulteriore istanza per accelerare un procedimento già progettato per essere veloce sarebbe un onere sproporzionato e illogico. La domanda di indennizzo non poteva, quindi, essere dichiarata inammissibile per questo motivo.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione consolida un principio di notevole importanza pratica: per tutte le controversie soggette al rito del lavoro (incluse quelle in materia di locazione, comodato e altre materie assimilate), il cittadino che lamenta un’eccessiva durata del processo non è tenuto a presentare un’istanza di accelerazione per poter successivamente richiedere l’equa riparazione ai sensi della Legge Pinto.

La decisione semplifica l’accesso alla giustizia per i cittadini coinvolti in queste tipologie di procedimenti, eliminando un adempimento che, in tali contesti, risulterebbe superfluo. La Corte d’Appello dovrà ora riesaminare il caso, entrando nel merito della richiesta di indennizzo senza poter più opporre la mancata attivazione del rimedio preventivo.

È sempre necessario attivare un “rimedio preventivo” per chiedere l’indennizzo per la durata irragionevole di un processo?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che tale obbligo non sussiste per i processi che si svolgono con il rito del lavoro o riti ad esso assimilati, come quello per le cause di comodato.

Perché il rito del lavoro è escluso dall’obbligo del rimedio preventivo?
Perché il rito del lavoro è già strutturato per essere accelerato. La legge (art. 429 c.p.c.) prevede che il giudice decida la causa subito dopo la discussione, rendendo superflua un’ulteriore istanza per sollecitare una decisione.

Cosa succede se un cittadino chiede l’indennizzo per un processo con rito del lavoro senza aver esperito il rimedio preventivo?
La sua domanda è pienamente ammissibile. La Corte d’appello dovrà esaminare nel merito la richiesta di indennizzo per la durata irragionevole, senza poterla dichiarare inammissibile per il solo fatto che non sia stata presentata un’istanza acceleratoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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