Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34188 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34188 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9957/2023 R.G. proposto da:
CAPITALE NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME domiciliato presso il loro recapito digitale con indirizzo pec: info@pec.studiolegaleliguori.com;
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELLA COGNOME, in persona del ministro pro tempore ; -intimato- per la cassazione del decreto della Corte di appello di Napoli n. 3139/2022, depositato il 22 novembre 2022.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 luglio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Con ricorso ex art. 3 l. 24 marzo 2001 n. 89, depositato con modalità telematiche il 17 giugno 2022 innanzi alla Corte di appello di Napoli, NOME COGNOME ha lamentato la violazione, in
proprio danno, del diritto riconosciuto dagli artt. 111 Cost., 6, paragrafo 1, Convenzione EDU, 47, comma 2, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e 2, comma 2 bis, l. 24 marzo 2001 n. 89 a un processo celebrato in tempi ragionevoli. Il ricorrente, in particolare, ha lamentato l’eccessiva durata del giudizio presupposto che, svoltosi in un solo grado di giudizio innanzi al Tribunale di Napoli, è iniziato il 14 marzo 2016, data della notifica dell’atto di citazione ed è terminato il 7 giugno 2022, data di deposito dell’ordinanza di cancellazione dell a causa dal ruolo e, quindi, è durato 6 anni, 2 mesi e 24 giorni che è una durata irragionevole e superiore a quella massima prevista dalla Legge che è di 3 anni in primo grado; l’esasperante lentezza del giudizio presupposto che gli ha cagionato, con esclusiva efficienza causale, sofferenze morali e psicofisiche, un turbamento del suo stato d’animo, la lesione della sua dignità, un perdurante stato di angoscia, ansia, paura, forte stress, patema d’animo, disagio psichico ed un repentino cambiamento in peius delle sue abitudini di vita privata, familiare e sociale, con conseguente lesione della sua personalità. Il ricorrente, pertanto, ha chiesto la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento in suo favore del danno non patrimoniale per la violazione del termine ragionevole del giudizio presupposto nella misura base annua pari al valore minimo o, quantomeno, molto prossimo a quello minimo previsto dalla Corte EDU già da circa tre lustri o, in via gradata, nella misura base annua pari al valore massimo legislativo o, quantomeno, molto prossimo al massimo legislativo o, in via ulteriormente gradata, nella diversa misura da determinarsi secondo giustizia; degli interessi al tasso legale dalla data di deposito del ricorso al soddisfo; delle spese e compensi del procedimento con distrazione, ex art. 93 cod. proc. civ.
La Corte di appello di Napoli, con decreto monocratico 21 giugno 2022 n. 1709/2022, ha rigettato il ricorso.
-Con ricorso in opposizione ex art. 5 ter l. 24 marzo 2001 n. 89, il ricorrente ha proposto impugnazione avverso il decreto monocratico affidato a un solo motivo. Il ricorrente, in particolare, ha impugnato il decreto monocratico nella parte in cui il primo giudice ha ritenuto che non fosse stata superata la presunzione iuris tantum di insussistenza del danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo, rigettando la domanda.
Radicatasi la lite in sede di opposizione, si è costituito il Ministero della Giustizia che ha chiesto il rigetto dell’opposizione.
La Corte di appello di Napoli, con decreto collegiale 22/11/2022 n. 3139/2022, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese di lite.
–NOME COGNOME ha proposto ricorso per Cassazione affidato a un unico motivo.
Il Ministero della Giustizia non ha svolto attività difensiva.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con l’unico motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione delle norme ex artt. 1 bis, commi 1 e 2, 1 ter, comma 1, 2, commi 1 e 2 bis, l. 24 marzo 2001 n. 89, 183 bis cod. proc. civ., 12, 14 disp. sulla legge in generale, 3, 10, 24, 111, commi 1 e 2, Cost., 6, paragrafo 1, Convenzione EDU, 47, commi 1 e 2, Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e 6, comma 3, Trattato sull’Unione Europea (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.). Il ricorrente deduce di avere ritualmente e tempestivamente esperito nel giudizio presupposto il secondo dei rimedi preventivi previsti dalla normativa vigente. Come rilevato dal giudice dell’opposizione, il ricorrente, infatti, nel giudizio presupposto, ha notificato il 14 marzo 2016 l’atto di citazione; ha depositato il 26 gennaio 2017 istanza con cui ha chiesto il passaggio dal rito ordinario a quello sommario di cognizione ai sensi dell’art. 183 bis cod. proc.
civ. Detta istanza, pertanto, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice dell’opposizione, è tempestiva in quanto è stata depositata a distanza di 10 mesi e 12 giorni dalla notifica dell’atto di citazione e, quindi, ben oltre 6 mesi prima che fossero trascorsi i termini di cui all’art. 2, comma 2 bis, l. 24 marzo 2001 n. 89 (3 anni dalla notifica dell’atto di citazione) e, cioè, entro 2 anni e 6 mesi dall’introduzione del giudizio. Né, di contro, potrebbe ritenersi corretta l’interpretazione restrittiva fornita dal giudice dell’opposizione dell’art. 1 ter l. 24 marzo 2001 n. 89 secondo cui l’istanza di mutamento del rito andava presentata entro l’udienza di trattazione tenutasi, nel caso in esame, l’8 luglio 2016.
A tal fine si deducono plurime ragioni.
In primis , in quanto l’art. 183 bis cod. proc. civ. dispone: ‘il giudice nell’udienza di trattazione… può disporre . . . che si proceda a norma dell’articolo 702 ter’. Tale norma, pertanto, non vieta espressamente al giudice il mutamento del rito dopo l’udienza di trattazione.
In secondo luogo, si evidenzia che se da un lato l’art. 183 bis cod. proc. civ. non vieta espressamente al giudice il mutamento del rito dopo l’udienza di trattazione, dall’altro lato, analogamente, deve ritenersi che la parte possa legittimamente chiedere (come ha chiesto il ricorrente nel caso in esame) il mutamento del rito anche dopo tale udienza. L’art. 1 ter, comma 1, l. 24 marzo 2001 n. 89, inoltre, nel prevedere il secondo rimedio preventivo (richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione a norma dell’articolo 183 bis cod. proc. civ.), pone due limiti temporali (non presenti nell’art. 183 bis cod. proc. civ. ) collegati dalla locuzione ‘e comunque’: il primo legato a una specifica attività processuale e, cioè, ‘entro l’udienza di trattazione’; il secondo meramente temporale ‘almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo 2, comma 2 -bis”.
La locuzione ‘e comunque’ utilizzata dal legislatore tra i due limiti temporali ha valore aggiuntivo (‘e’) e di chiusura (‘comunque’) che va interpretata con valore disgiuntivo e alternativo (come sinonimo di ‘oppure’, ‘e/o’). Questo comporta che la richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione comunque può essere validamente proposta almeno 6 mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo 2, comma 2 bis, l. 24 marzo 2001 n. 89 e, cioè, se il giudizio si è svolto in un solo grado di giudizio (come quello presupposto nel caso in esame), entro 2 anni e 6 mesi dall’introduzione del giudizio stesso.
Parte ricorrente evidenzia altresì che le norme giuridiche vanno sempre: ‘interpretate alla luce del loro scopo’ (Cass. 9/11/22 n. 32919); ‘interpretate in modo coerente col loro scopo’ (Cass. 2/2/18 n. 2647; conf. Cass. 31 ottobre 17 n. 25837).
L’art. 1 bis, comma 1, l. 24 marzo 2001 n. 89 inserito dall’art. 1, comma 777, lett. a), l. 28 dicembre 2015 n. 208 dispone: ‘La parte di un processo ha diritto a esperire rimedi preventivi alla violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione stessa’. Tale norma, pertanto, definisce diritto quello della parte a esperire i rimedi preventivi il cui scopo – in linea con il principio costituzionale ed eurounitario del giusto processo che deve avere una durata ragionevole (artt. 111, commi 1 e 2, Cost., 6, paragrafo 1, Convenzione EDU e 47, comma 2, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) – è pacificamente quello di accelerare il processo.
Se questo è lo scopo dei rimedi preventivi pare senz’altro: da un lato, irragionevole limitare il diritto della parte a chiedere in corsa il mutamento del rito da ordinario a sommario di cognizione soltanto entro l’udienza di trattazione e, cioè, in un momento iniziale della
causa in cui non si possa fondatamente prevedere quale sia la durata effettiva del processo e se lo stesso rischi o meno di superare la soglia di durata ragionevole; dall’altro lato, ragionevole estendere il diritto della parte a chiedere in corsa il mutamento del rito da ordinario a sommario di cognizione fino a 6 mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo 2, comma 2 bis, l. 24 marzo 2001 n. 89 e, cioè, se il giudizio si è svolto in un solo grado di giudizio (come quello presupposto nel caso in esame), entro 2 anni e 6 mesi dall’introduzione del giudizio stesso e, cioè, in un momento in cui si possa fondatamente prevedere se il processo possa o non possa superare la soglia di durata ragionevole.
Si evidenzia altresì che essendo l’art. 1 ter, comma 1, l. 24 marzo 2001 n. 89 una norma speciale, in quanto disciplina l’istituto dei rimedi preventivi nel giudizio civile al fine del diritto a richiedere e ottenere un’equa riparazione per il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito per l’irragionevole durata del processo , essa va certamente letta e interpretata nel quadro del testo normativo in cui è inserita, in virtù del tradizionale canone ermeneutico costituito dal principio romanistico già consolidato a opera del ius onorarium : ‘ incivile est, nisi tota lege perspecta, una aliqua particula eiusproposita, iudicare vel respondere ‘ (Celso, Digesto, 1, 3, 24) (Sez. Un. 12 giugno 06 n. 13523; conf. Cass. 27/11/15 n. 24214; Cass. 25/2/14 n. 4443; Cass. 27 giugno 03 n. 10227; Cass. 8 gennaio 93 n. 113, che dovrebbe rappresentare il leading case ).
L’interpretazione letterale, logica (secondo il criterio storico e sistematico), adeguatrice, coerente con il suo scopo e con quello del testo organico in cui è inserita (L. 24 marzo 2001 n. 89 che, come innanzi esposto, disciplina la durata ragionevole dei processi), costituzionalmente ed eurounitariamente orientata di tale norma porta a ritenere, come innanzi esposto, che la richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione a norma dell’art. 183 bis cod. proc. civ. possa essere ritualmente e tempestivamente
proposta entro l’udienza di trattazione o, alternativamente (in quanto la locuzione ‘e comunque’ utilizzata dal legislatore, come innanzi esposto, ha valore aggiuntivo e di chiusura), almeno 6 mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo 2, comma 2 bis l. 24 marzo 2001 n. 89 e, cioè, se il giudizio si è svolto in un solo grado di giudizio (come quello presupposto nel caso in esame), entro 2 anni e 6 mesi dall’introduzione del giudizio stesso.
Si censura, inoltre, l’interpretazione restrittiva dell’art. 1 ter, comma 1, l. 24 marzo 2001 n. 89 fornita dal giudice dell’opposizione – in un ordinamento giuridico, come quello italiano, ove il rispetto del fondamentale diritto a una durata ragionevole del processo è sancito da norme di rango superiore (artt. 111, comma 2, ultima parte, Cost., 6, paragrafo 1, Convenzione EDU e 47, comma 2, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) e il giudizio civile di primo grado deve avere una durata massima di 3 anni (art. 2 bis, primo alinea, prima previsione, l. 24 marzo 2001 n. 89) – porta come corollario la sostanziale inapplicabilità del secondo limite temporale previsto in quanto nei processi civili ordinari l’udienza di trattazione -che, in virtù dell’art. 2, comma 3, lett. c ter), d.l. 14 marzo 2005 n. 35, convertito, con modificazioni, in l. 14 maggio 2005 n. 80 che ha abrogato gli effetti della controriforma del processo civile attuata con l. 20 dicembre 1995 n. 534, che aveva imposto la diluizione della fase introduttiva, mediante previsione di un’udienza cronologicamente precedente di almeno 20 giorni, definita dal previgente art. 180 cod. proc. civ. ‘di prima comparizione’, coincide con la prima udienza di comparizione del processo – non è mai trattata dopo oltre 2 anni e 6 mesi dalla notifica dell’atto di citazione.
A nulla rileverebbe, inoltre, che il giudice dell’opposizione abbia rilevato che il ricorrente, con l’istanza di mutamento del rito, abbia subordinato la richiesta ‘all’ammissione ed espletamento di tutti i mezzi di prova da lui richiesti’. il ricorrente, nel giudizio presupposto – che aveva ad oggetto il risarcimento del danno a persona derivante
dalla circolazione dei veicoli a motore – aveva tutto il diritto di provare processualmente il suo assunto e, quindi, di aver diritto al risarcimento del danno.
Il Tribunale di Napoli, quale giudice del giudizio presupposto, ha ammesso, su istanza del ricorrente, la prova orale e gli interrogatori formali delle parti convenute; la C.T.U. medico legale.
Nel corso del giudizio presupposto è stata espletata la prova orale per testi; gli interrogatori formali delle parti convenute non sono stati resi; è stata espletata la Consulenza Medico Legale che è stata depositata il 29 giugno 2021.
Le parti in data 27 ottobre 2021 e, cioè, dopo l’espletata attività istruttoria e, in particolare, subito dopo il deposito della Consulenza Medico Legale – hanno transatto la lite e nello specifico la RAGIONE_SOCIALE (impresa di assicurazione del veicolo danneggiante) ha pagato al ricorrente, a integrazione dell’importo di euro 10.000,00 già corrisposto nel corso del giudizio presupposto a titolo di acconto, l’importo di euro 62.000,00 omnia.
Il ricorrente, pertanto, senza l’espletamento dell’attività istruttoria, certamente o, quantomeno, molto probabilmente, non avrebbe ottenuto alcun risarcimento da parte dell’impresa di assicurazione del veicolo danneggiante.
La transazione, nel caso in esame, è stata perfezionata a distanza di 5 anni, 7 mesi e 13 giorni dall’inizio del processo e, cioè, allorché lo stesso aveva già abbondantemente superato il limite di durata ragionevole di 3 anni; grazie alle risultanze istruttorie e, in particolare, alla prova orale per testi (per quanto concerne l’ an debeatur ) e alla C.T.U. medico legale (per quanto concerne il quantum debeatur ). La cancellazione della causa dal ruolo per inattività delle parti (che è stata perfezionata all’ udienza del 7 giugno 2022 e, cioè, soltanto dopo la perfezionata transazione) -contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice e come compiutamente esposto dal ricorrente nel ricorso in opposizione ex
art. 5 ter l. 24 marzo 2001 n. 89 – non può ritenersi sintomatica di un disinteresse del ricorrente alla sorte del giudizio presupposto, quantomeno fino a detta transazione.
1.1. – Il motivo è infondato.
I rimedi preventivi, introdotti nella L. n. 89 del 2001 dalle modifiche apportatevi dalla l. n. 208 del 2015, art. 1, comma 777, lett. a) con decorrenza dal 1.1.2016, hanno superato indenni (eccetto nell’ambito penale: v. Corte Cost. n. 175/21) il vaglio di legittimità costituzionale, anche con riguardo ai parametri interposti degli artt. 6 e 13 CEDU. Infatti, la sentenza della Corte Cost. n. 121/20, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale della l. n. 89 del 2001, art. 1-bis, comma 2, art. 1-ter, comma 1, e art. 2, comma 1, ha osservato che “(c)iò che la normativa censurata richiede alla parte del processo in corso è solo (…) un comportamento collaborativo con il giudicante, al quale manifestare la propria disponibilità al passaggio al rito semplificato o al modello decisorio concentrato, in tempo potenzialmente utile ad evitare il superamento del termine di ragionevole durata del processo stesso: restando, per l’effetto, ammissibile il successivo esperimento dell’azione indennitaria per l’eccessiva durata del processo, che, nonostante la richiesta di attivazione del rimedio acceleratorio, si fosse poi comunque verificata”. E che “(l)’eventuale limitato margine di compressione della tutela giurisdizionale, peraltro con riguardo alle sole modalità del suo esercizio e non alla qualità del relativo approfondimento, che possa derivare alla parte dal passaggio al rito semplificato, riflette una legittima opzione del legislatore nel quadro di un bilanciamento di valori di pari rilievo costituzionale: quali, da un lato, il diritto di difesa (art. 24 Cost.) e, dall’altro, il valore del giusto processo (art. 111 Cost.), per il profilo della ragionevole durata delle liti, che trova ostacolo nella già abnorme mole del contenzioso (sentenza n. 157 del 2014), innegabilmente aggravata dal flusso indiscriminato dei procedimenti
per equo indennizzo ex lege n. 89 del 2001 (sentenza n. 135 del 2018)”. Per poi concludere nel senso che tali rimedi preventivi “la giurisprudenza Europea ritiene non solo ammissibili, ma “addirittura preferibili (…) eventualmente in combinazione con quelli indennitari” (Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’uomo, sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia). Secondo, infatti, la Corte di Strasburgo, quando un sistema giudiziario si rivela lacunoso rispetto all’esigenza derivante dall’art. 6 della CEDU, per quanto riguarda il termine ragionevole del processo, un rimedio che permetta di accelerarlo, allo scopo di impedirne una durata eccessiva, costituisce la soluzione più efficace. Tale rimedio presenta infatti un vantaggio innegabile rispetto ad un rimedio unicamente risarcitorio, in quanto permette di accelerare la decisione del giudice interessato, evita altresì di dover accertare l’avvicendarsi di violazioni dello stesso procedimento e non si limita ad agire a posteriori come nel caso del rimedio risarcitorio (Corte EDU, sentenza 25 febbraio 2016, COGNOME e altri contro Italia )”.
Tali conclusioni non sono poste in discussione dalla successiva sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 28 aprile 2022 (ricorso n. 15566/13 e altri 5 – Causa COGNOME e altri c. Italia ), che ha ritenuto violati gli artt. 6 e 13 della Convenzione in relazione alla diversa ipotesi di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, come sostituito dal d.l. n. 83 del 2012, art. 55, comma 1, lett. d), convertito, con modificazioni, in l. n. 134 del 2012 – di cui successivamente, con sentenza n. 88/18, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto in rapporto a ricorsi presentati alla Corte EDU tra il 2013 e il 2015 (di talché detta Corte ha espressamente escluso di dover esaminare, sotto il profilo dell’effettività della tutela giurisdizionale, l’art. 4 legge cit. alla luce della sentenza della Corte costituzionale del 2018).
Come chiarito da questa S.C., in tema di irragionevole durata del processo, l’art. 1 ter, comma 1, l. n. 89 del 2001, nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 149 del 2022 e nella parte in cui prevede che costituisce rimedio preventivo la richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario a norma dell’art. 183 bis cod. proc. civ. entro l’udienza di trattazione e comunque almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’art. 2, comma 2 bis, va interpretato nel senso che tale richiesta deve essere formulata entro l’udienza di trattazione, ovvero entro i termini di cui sopra solo allorché detta udienza non sia stata ancora effettivamente e completamente espletata, giacché diversamente si finirebbe con il consentire la violazione delle decadenze e preclusioni prodotte all’esito della celebrazione di tale udienza (Cass., Sez. 2, 13 giugno 2023, n. 16801).
Il confronto tra l’art. 183-bis e l’art. 183 cod. proc. civ., il quale ultimo include, tra le attività previste nell’udienza di trattazione, anche la fissazione, ove richiestone, di termini perentori per il deposito delle memorie assertive ed istruttorie (v. comma 6), evidenzia come l’istanza di mutamento di rito, quale rimedio preventivo l. n. 89 del 2001, ex art. 1-ter, comma 1, debba essere necessariamente formulata entro l’udienza di trattazione. È in quest’ultima, infatti, che si scioglie l’alternativa tra l’immediata pronuncia sui mezzi di prova (v. comma 7) e la fissazione, invece, di termini perentori per integrare la trattazione orale con quella scritta. Ammettere che dopo l’una o l’altra possa ancora essere esperito il rimedio preventivo in esame, purché non sia trascorso l’ulteriore termine di due anni e sei mesi dall’inizio del giudizio, implicherebbe non solo e non tanto accettare la possibilità di un rallentamento o, peggio, di una regressione del processo (fatto, quest’ultimo, di segno esattamente opposto all’esigenza di salvaguardarne la ragionevole durata), ma anche e soprattutto sostenere la possibilità di violare la perentorietà di termini o in corso o già scaduti o non più concedibili.
Conseguenza, questa, inaccettabile non solo per astratte (seppur legittime) necessità d’ordine dogmatico, ma anche per evitare che il connesso potere processuale sia esercitato a danno della parte avente l’opposto interesse a mantenere gli effetti preclusivi già prodottisi.
Nel caso di specie, l’ istanza con cui è stato chiesto il passaggio dal rito ordinario a quello sommario di cognizione ai sensi dell’art, 183 bis cod. proc. civ. è stata depositata soltanto in data 26 gennaio 2017, oltre l’udienza di trattazione tenuta in data 8 luglio 2016, per cui non trova applicazione il termine residuale di cui all’art. 2, comma 2 bis. Stante la maturata decadenza, alcun rilievo assumono pertanto le considerazioni formulate in merito al rilievo dell’estinzione del processo per rinunzia o attività delle parti.
-Il ricorso va quindi respinto senza provvedere sulle spese, stante il mancato esercizio di attività difensiva da parte del Ministero convenuto.
-Non sussistono le condizioni per dichiarare la ricorrente tenuta al versamento di un importo di cui all’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 115 del 2002, per essere il presente giudizio esente.
P.Q.M.
La Corte rigetta ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione