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Rimedi preventivi: obbligo per l’equa riparazione

Un cittadino ha richiesto un’indennizzo per l’eccessiva durata di una causa civile. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando che la domanda di equa riparazione è inammissibile se la parte non ha prima utilizzato i rimedi preventivi a sua disposizione, come la richiesta di decisione immediata dopo la discussione orale. Questo obbligo sussiste anche se il tribunale ha un elevato carico di lavoro.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rimedi preventivi: la Cassazione conferma l’obbligo per l’equa riparazione

L’eccessiva durata dei processi è una problematica ben nota del sistema giudiziario italiano. La Legge Pinto (n. 89/2001) offre uno strumento di tutela, l’equa riparazione, per chi subisce danni a causa di lungaggini processuali. Tuttavia, l’accesso a tale indennizzo non è automatico. Un’ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: per avere diritto all’equa riparazione, è necessario attivarsi durante il processo utilizzando i rimedi preventivi messi a disposizione dalla legge. Vediamo nel dettaglio il caso e le motivazioni della Corte.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da una causa civile relativa all’impugnazione di una delibera condominiale, iniziata nel 2014 e conclusasi solo nel 2021, dopo oltre sette anni. Il cittadino coinvolto, ritenendo la durata del processo irragionevole, ha successivamente promosso un ricorso ai sensi della Legge Pinto per ottenere un’equa riparazione.

Sia il Consigliere delegato che la Corte d’Appello di Napoli in composizione collegiale hanno però dichiarato la domanda inammissibile. La ragione? Il ricorrente non aveva esperito, durante il processo originario, alcun rimedio preventivo per sollecitarne la conclusione. Nello specifico, non aveva presentato un’istanza di decisione a seguito di trattazione orale, come previsto dall’art. 281-sexies del codice di procedura civile, almeno sei mesi prima che maturasse il termine di durata ragionevole del processo.

L’obbligo dei rimedi preventivi secondo la Cassazione

Il cittadino ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo che i rimedi preventivi fossero inefficaci, soprattutto considerando che il giudice del tribunale aveva dichiarato di non poter decidere la causa a causa del carico di lavoro e della necessità di rispettare l’ordine cronologico di iscrizione dei fascicoli.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, fornendo chiarimenti cruciali. I giudici hanno affermato che la legge richiede alla parte un “comportamento collaborativo” con il giudice. Questo comportamento si manifesta proprio attraverso l’uso di strumenti come l’istanza ex art. 281-sexies c.p.c. Tale istanza non è un mero invito al giudice, ma un suggerimento concreto per adottare un modello decisorio più rapido e concentrato. Presentandola, la parte manifesta la propria disponibilità a rinunciare ai termini ordinari per le comparse conclusionali in favore di una decisione immediata post-udienza.

L’efficacia del rimedio e il carico di ruolo del giudice

Uno dei punti più interessanti della pronuncia riguarda l’argomento del ricorrente sull’inutilità del rimedio a fronte del carico di ruolo del giudice. La Cassazione ha stabilito che questa circostanza è irrilevante. L’obbligo di attivare i rimedi preventivi è un onere processuale che grava sulla parte, a prescindere dalla probabilità di accoglimento da parte del giudice.

L’effettività del rimedio non risiede nella garanzia di un’accelerazione, ma nel fatto che la parte compia il proprio dovere di collaborazione. La decisione finale sull’opportunità di adottare un rito accelerato resta nella piena discrezionalità del giudice, ma la parte interessata deve comunque fare la sua parte, attivando lo strumento previsto. In assenza di tale attivazione, la successiva domanda di equa riparazione è preclusa.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha motivato la sua decisione distinguendo il caso di specie da altre pronunce della Corte Costituzionale invocate dal ricorrente. Quelle decisioni riguardavano contesti processuali diversi (come il giudizio di cassazione o quello penale) in cui i rimedi erano stati giudicati effettivamente inefficaci. Nel giudizio civile di primo grado, invece, l’istanza di decisione accelerata è uno strumento concreto e utilizzabile. L’essenza della normativa è quella di subordinare il diritto all’indennizzo a una condotta processuale proattiva. La legge non chiede di ottenere un risultato, ma di porre in essere un’azione, ossia la richiesta formale di accelerazione. Il mancato adempimento di questo onere procedurale comporta, come conseguenza, l’inammissibilità della domanda di equa riparazione.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento ormai chiaro: chi desidera tutelarsi contro l’eccessiva durata di un processo non può rimanere passivo. È indispensabile utilizzare attivamente tutti i rimedi preventivi che l’ordinamento processuale mette a disposizione per sollecitare una definizione più celere della controversia. Ignorare questo onere significa perdere il diritto a richiedere l’indennizzo previsto dalla Legge Pinto. Per cittadini e avvocati, la lezione è chiara: la collaborazione attiva per la ragionevole durata del processo è un dovere, prima ancora che un diritto.

È possibile ottenere un’equa riparazione per un processo troppo lungo se non si è tentato di accelerarlo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la richiesta di equa riparazione è inammissibile se la parte non ha prima utilizzato i “rimedi preventivi” previsti dalla legge, come l’istanza di decisione con trattazione orale (ex art. 281-sexies c.p.c.), per cercare di ridurre i tempi del giudizio.

L’istanza per accelerare il processo è obbligatoria anche se il giudice ha un elevato carico di lavoro e ha già indicato di seguire l’ordine cronologico dei casi?
Sì. La Corte ha chiarito che il dovere della parte di manifestare un “comportamento collaborativo” attraverso i rimedi preventivi sussiste a prescindere dal carico di ruolo del giudice o dalle sue dichiarazioni. L’adempimento di questo onere è un requisito formale per poter poi chiedere l’indennizzo.

Che cosa si intende per “comportamento collaborativo” della parte nel processo?
Nel contesto della Legge Pinto, si intende l’utilizzo attivo degli strumenti processuali a disposizione per sollecitare una decisione più rapida. Presentare un’istanza per passare a un modello decisorio più concentrato, come quello previsto dall’art. 281-sexies c.p.c., è considerato un adempimento di tale dovere collaborativo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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