Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1608 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1608 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10838/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in COSENZA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO n. 1145/2022, depositato il 21/12/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE adìva la Corte d’Appello di Catanzaro al fine di vedersi riconoscere il diritto all’equa riparazione del danno subìto per l’irragionevole durata del processo civile presupposto, promosso dalla ricorrente innanzi al Tribunale di Cosenza con atto di citazione notificato l’11. 04.2014 e definito in grado d’appello con sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro del 30.03.2022, vertente sulla domanda di declaratoria di nullità di contratto bancario e di condanna della banca convenuta alla restituzione di una somma vantata a credito del correntista.
1.1. Il giudice monocratico dichiarava inammissibile la domanda di equa riparazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE non avendo la ricorrente esperito i rimedi preventivi di cui all’art. 1ter legge n. 89 del 2001, richiamati dall’art. 2, comma 1, della medesima legge.
Il suddetto decreto veniva opposto, ex art. 5ter , dalla RAGIONE_SOCIALE innanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro, che rigettava l’opposizione ritenendo inequivocabile il dato normativo correttamente richiamato dal primo giudice e interpretato dal giudice delle leggi (sentenza n. 121 del 23.06.2020). Affermava il giudice dell’opposizione che, nel giudizio presupposto, nessun ostacolo giuridico sussisteva alla proposizione di uno dei rimedi preventivi di cui al citato art. 1ter legge n. 89 del 2001, rimasti invece inesperiti.
Il decreto camerale è stato impugnato per la cassazione dalla RAGIONE_SOCIALE e il ricorso affidato ad un unico motivo.
Resiste il Ministero della Giustizia. …
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione di norma di legge ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Violazione dell’art. 1ter legge n. 89/2001. In tesi: innanzitutto non sussisterebbero i
presupposti per l’esperimento dei predetti rimedi preventivi nella fattispecie concreta, sia perché l’istanza a mutare il rito ordinario in quello sommario di cognizione, ovvero a decidere secondo il modulo della sentenza cosiddetta a verbale ex art. 281sexies cod. proc. civ. rappresenterebbe un adempimento meramente formale, non essendovi alcun obbligo del giudice né di accogliere né di pronunciarsi su dette richieste. In ogni caso, nella fattispecie oggetto del giudizio presupposto, la domanda attorea non poteva né essere introdotta con rito sommario di cognizione, avuto riguardo alla natura della controversia che rendeva necessario l’espletamento di un’istruttoria complessa, tipica del procedimento ordinario; né poteva essere sollecitata la decisione a séguito di trattazione orale di una vicenda caratterizzata da una serie di questioni eterogenee, e non di mero diritto. A ciò si aggiunga che la sentenza a verbale avrebbe comportato una riduzione della durata complessiva del giudizio di appena tre mesi per ogni grado. Ancora, osserva la ricorrente che il giudice dell’opposizione ha sminuito la richiesta di anticipazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, inutilmente presentata dalla RAGIONE_SOCIALE nel corso del procedimento di primo grado allorquando nell’udienza del 21.03.2016 di precisazione delle conclusioni veniva rinviata al 16.07.2018. Infine, la ricorrente sostiene che la condotta della società RAGIONE_SOCIALE sia sempre stata in linea con i principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza citata dal giudice dell’opposizione, che richiede solo un comportamento collaborativo della parte con il giudicante.
1.1. Il motivo è infondato.
La Corte Costituzionale, nella menzionata sentenza n. 121/2020, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1bis , comma 2, 1ter , comma 1, e 2, comma 1 della legge
n. 89/01, ha stabilito che ciò che la normativa censurata richiede alla parte del processo in corso è «un comportamento collaborativo con il giudicante, al quale manifestare la propria disponibilità al passaggio al rito semplificato o al modello decisorio concentrato, in tempo potenzialmente utile ad evitare il superamento del termine di ragionevole durata del processo stesso», restando, per l’effetto, ammissibile il successivo esperimento dell’azione indennitaria per l’eccessiva durata del processo, che, n onostante la richiesta di attivazione del rimedio acceleratorio, si fosse poi comunque verificata.
Come chiarito dalla Corte Costituzionale, la richiesta di adozione di questo diverso modello di decisione non sarebbe stata, per la parte richiedente, una implicita rinuncia alla fase istruttoria, perché l’effettività del mutamento dello schema decisorio non dipende direttamente dall ‘ istanza della parte, ma piuttosto dalla valutazione, nel caso concreto, da parte del g iudice di merito, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, della opportunità o meno di accoglierla, proprio dopo aver considerato la c ompletezza dell’istruttoria svolta.
Nella successiva sentenza n. 107/2023, la stessa Corte Costituzionale -in riferimento al rimedio preventivo nel giudizio amministrativo – ha poi chiarito che non contrasta con l’effettività del rimedio la circostanza che il suo utilizzo risulti mediato dalla decisione del giudice, chiamato a stabilire, in relazione alle ragioni di urgenza prospettate dall’istante, se ricorrano i presupposti relativi alla completezza del contraddittorio e dell’istruttoria: al contrario, proprio la valutazione discrezionale da parte del Giudice dell’opportunità di adottare il procedimento di decisione concentrata consente di ritenere compatibile la previsione di una necessaria manifestazione del sollecito ad una trattazione rapida con le garanzie di un giusto
processo (cfr. Cass. Sez. 2, n. 16059 del 10.06.2024; Cass. Sez. 2, n. 21874 del 21/07/2023).
1.2. Ciò che conta, quindi, ai dell’inammissibilità della domanda di equa riparazione è che la parte istante non abbia suggerito un modello alternativo, teleologicamente funzionale al raggiungimento dello scopo di accelerare lo svolgimento del processo, e non che l’istanza qualora presentata -avrebbe o meno avuto effettiva valenza sollecitatoria, non rientrando tale evento nella sfera di controllo dell’onerato.
In questo senso deve, dunque, essere inteso il riferimento del giudice delle leggi al «comportamento collaborativo» della parte, di certo non soddisfatto, nel caso che ci occupa, dalla richiesta – a suo tempo elevata dalla ricorrente – di anticipazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni che, invece, alla luce dei principi enunciati dalla Consulta, rappresenta un mero invito volto a sollecitare lo svolgimento del processo con funzione puramente dichiarativa, non tale da aprire ad un rimedio in grado di proporsi come modello sub procedimentale alternativo.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.
Non ricorrono ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002 – i presupposti processuali per il raddoppio del contributo, trattandosi di ricorso per equa riparazione.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €. 750,00, oltre le spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda