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Rimedi preventivi: obbligatori per l’equo indennizzo

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha ribadito un principio fondamentale in materia di equa riparazione per irragionevole durata del processo: l’utilizzo dei rimedi preventivi è un onere imprescindibile per la parte che lamenta il ritardo. Una struttura sanitaria si era vista negare l’indennizzo proprio per non aver richiesto l’adozione di un rito acceleratorio nel giudizio presupposto. La Suprema Corte ha confermato la decisione, chiarendo che l’omissione di tali strumenti processuali, volti a prevenire i ritardi, determina l’inammissibilità della successiva domanda di indennizzo, in quanto la parte ha il dovere di collaborare attivamente per la celere definizione della causa.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rimedi Preventivi: Non Solo un Diritto, ma un Dovere per l’Equo Indennizzo

L’eccessiva durata dei processi è una delle problematiche più sentite del sistema giudiziario italiano. La Legge Pinto (L. 89/2001) offre uno strumento di tutela, l’equa riparazione, per chi subisce un danno da un processo ‘troppo lungo’. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda che per accedere a tale tutela non basta essere vittime del ritardo, ma occorre un ruolo attivo. L’uso dei rimedi preventivi non è una mera facoltà, ma un onere la cui omissione può costare caro, precludendo l’accesso all’indennizzo. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Una struttura sanitaria privata, dopo aver affrontato un lungo processo d’appello, aveva richiesto un’equa riparazione per i danni subiti a causa della durata irragionevole del giudizio. La sua domanda, però, era stata dichiarata inammissibile sia in primo grado sia dalla Corte d’Appello. Il motivo? La struttura non aveva utilizzato uno specifico strumento processuale, l’istanza di decisione secondo il rito semplificato (ex art. 281-sexies c.p.c.), uno dei rimedi preventivi previsti dalla legge per accelerare la definizione delle cause.

Convinta delle proprie ragioni, la società ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che l’inammissibilità fosse un automatismo ingiusto e che la sua condotta processuale fosse sempre stata collaborativa. Inoltre, citava una pronuncia della Corte Costituzionale a sostegno della propria tesi.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’Importanza dei Rimedi Preventivi

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei giudici di merito. Il Collegio ha stabilito con chiarezza che il mancato esperimento dei rimedi preventivi efficaci comporta, come previsto dalla legge, l’inammissibilità della domanda di equa riparazione. La Corte ha sottolineato che la normativa non impone un onere sproporzionato, ma richiede semplicemente alla parte un “comportamento collaborativo con il giudicante”. Questo comportamento si manifesta proprio attraverso l’attivazione di quegli strumenti che la legge mette a disposizione per segnalare l’urgenza e sollecitare una decisione più rapida.

Le Motivazioni della Corte

Il cuore della motivazione risiede nella distinzione tra i diversi tipi di rimedi preventivi. La Corte ha chiarito che il riferimento del ricorrente a una sentenza della Corte Costituzionale (n. 142/2023) non era pertinente. Quella pronuncia riguardava un rimedio diverso (l’istanza di accelerazione in Cassazione), ritenuto poco efficace nel concreto. Al contrario, strumenti come quello previsto dall’art. 281-sexies c.p.c. sono considerati “modelli procedimentali alternativi” idonei a incidere realmente sulla durata del processo.

Secondo la Cassazione, la richiesta di attivare un rito acceleratorio non è una rinuncia alle proprie difese, ma una manifestazione di disponibilità a concentrare la decisione, specialmente quando la fase di raccolta delle prove (istruttoria) è già completa. La scelta finale spetta sempre al giudice, che valuterà discrezionalmente se accogliere l’istanza. Tuttavia, è dovere della parte farla. L’inammissibilità della domanda di indennizzo, quindi, non è un automatismo cieco, ma una “reazione ragionevole e proporzionata del legislatore” per spingere le parti a un ruolo più proattivo, in un’ottica di responsabilità condivisa per l’efficienza della giustizia.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale: chi desidera ottenere un indennizzo per la lungaggine di un processo deve prima dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitarla. I rimedi preventivi non sono un’opzione, ma un onere di diligenza. La parte non può rimanere passiva di fronte ai ritardi per poi chiederne il conto allo Stato. Deve, invece, utilizzare gli strumenti che l’ordinamento le fornisce per collaborare con il giudice alla celere definizione della controversia. Un monito importante per tutti gli operatori del diritto e i cittadini: la giustizia rapida è un obiettivo comune che richiede l’impegno attivo di tutti i protagonisti del processo.

È possibile ottenere un’equa riparazione per la durata irragionevole di un processo se non si sono utilizzati i rimedi preventivi?
No. La Corte di Cassazione ha confermato che il mancato esperimento dei rimedi preventivi previsti dalla legge, volti ad accelerare il giudizio, causa l’inammissibilità della successiva domanda di equa riparazione.

Cosa si intende per “comportamento collaborativo” della parte nel processo?
Si intende l’utilizzo attivo degli strumenti processuali che la legge mette a disposizione, come l’istanza di decisione con rito semplificato, per manifestare al giudice la propria disponibilità ad accelerare i tempi del giudizio e prevenire ritardi, contribuendo così a una rapida definizione della causa.

Tutti i rimedi preventivi hanno la stessa efficacia e il loro mancato uso porta sempre all’inammissibilità?
No. La Corte distingue tra rimedi che offrono una reale possibilità di accelerare il processo (definiti “modelli procedimentali alternativi”) e altri meno incisivi. L’ordinanza chiarisce che l’omissione dei primi, come l’istanza ex art. 281-sexies c.p.c., legittima la declaratoria di inammissibilità della domanda di indennizzo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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