Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10516 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10516 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9437/2024 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in SPEZZANO DELLA SILA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME -PEC EMAIL– che li rappresenta e difende -ricorrente- contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso DECRETO di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 2142/2023 depositata il 24/10/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME e NOME COGNOME avevano richiesto il riconoscimento di indennizzo per equa riparazione per l’irragionevole durata di un processo civile che li aveva coinvolti, svoltosi avanti al Tribunale di Cosenza, introdotto il 2.11.2014 e definito con sentenza pubblicata il 6.5.2022 -di declaratoria di cessazione della materia del contendere a spese compensate-.
Pronunciata dal Giudice delegato l’inammissibilità del ricorso per mancato esperimento dei rimedi preventivi di cui all’art.1 ter l. n.89/2001, i signori COGNOME avevano proposto opposizione, all’esito della quale la Corte d’Appello di Catanzaro aveva confermato il decreto opposto, condannando i ricorrenti alle spese di lite a favore del costituito Ministero.
La Corte d’Appello di Catanzaro aveva ritenuto non praticabile il rimedio preventivo costituito dalla richiesta di passaggio dal rito ordinario a quello sommario, ex art.183 bis c.p.c., trattandosi di norma non applicabile ratione temporis , ma esperibile quello costituito dalla proposizione di istanza di decisione a seguito di trattazione orale a norma dell’art.281 sexies c.p.c.; detto rimedio preventivo, ritenuto legittimo dalla Corte Costituzionale, non dipendeva direttamente dalla richiesta della parte, comunque collaborativa per la celere definizione del giudizio, ma era rimesso alla valutazione di opportunità del Giudice di merito il quale avrebbe potuto aderirvi oppure no; proprio per questo non rilevava per esonerare le parti dalla proposizione dell’istanza ai fini della corretta applicazione della legge n.89/2001 la circostanza che, in prossimità della scadenza dei tre anni, il processo si trovasse ancora in fase istruttoria.
Avverso il decreto della Corte d’Appello di Catanzaro propongono ricorso per cassazione NOME e NOME COGNOME affidandolo a due motivi:
I) ex art.360 co. 1 n.3 c.p.c.- Violazione e/o falsa applicazione dell’art.1 ter comma 1 l. n.89/2001, anche in relazione all’art.24 Cost., art.111 cost. e art.6 CEDU.
La pronuncia impugnata avrebbe applicato estensivamente la portata del principio di ragionevole durata del processo, sacrificando altri principi di valore costituzionale quantomeno pari, quali il diritto di difesa e il diritto all’accesso alla tutela giurisdizionale, ex art.24 Cost., nonché il diritto al giusto processo, ex art.111 Cost. e 6 CEDU: nel caso concreto la proposizione dell’istanza di definizione del giudizio ex art.281 sexies c.p.c. avrebbe comportato un grave pregiudizio ai diritti di difesa della parte nel giudizio presupposto dato che, in prossimità della scadenza del termine ragionevole, era in corso la fase istruttoria; l’istanza avrebbe potuto essere
interpretata come una rinuncia al diritto di assunzione delle prove richieste e poi ammesse.
II) ex art.360 co 1 n.3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione delle norme di diritto per violazione dell’art.4 comma 1 e comma 5 lett. d) del DM n.55/2014 non modificato dal DM 13.8.2022 n.147.
Anche a non voler considerare che l’unica difesa svolta dall’Avvocatura nella fase introduttiva sarebbe stata la richiesta di rigetto dell’opposizione, senza argomentazioni sui passaggi logici rilevanti giuridicamente, il compenso per la fase decisionale non sarebbe stato da riconoscere, dato che la controparte non avrebbe depositato le memorie illustrative accessorie alla trattazione scritta. In ogni caso, vi sarebbero stati motivi giustificanti una compensazione delle spese, data la ritenuta inesistenza dei presupposti di applicabilità dell’art.183 bis c.p.c.
Il Ministero ha resistito con controricorso, chiedendo la declaratoria di inammissibilità o comunque il rigetto del ricorso proposto.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso proposto è infondato.
Questa Corte ha avuto modo ancora di recente di evidenziare, tenendo conto sia della normativa interna, sia delle disposizioni della CEDU e delle indicazioni interpretative contenute nelle pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sia delle indicazioni emergenti dalle pronunce della Corte Costituzionale, quanto segue: ‘… È noto che la Corte europea dei diritti dell’uomo afferma costantemente che, ai fini della «effettività» (articolo 13 della Convenzione) dei ricorsi relativi a cause concernenti l’eccessiva durata dei procedimenti, la migliore soluzione in termini assoluti sia indiscutibilmente la prevenzione. L’articolo 6 § 1 impone, invero, agli Stati contraenti l’obbligo di organizzare i loro sistemi giudiziari in modo da permettere ai rispettivi tribunali di poter soddisfare ciascuno dei suoi requisiti, compreso l’obbligo di esaminare le cause entro un termine ragionevole. Se il sistema giudiziario è carente a tale riguardo, un ricorso finalizzato ad accelerare i procedimenti al fine di impedire che la loro durata diventi eccessiva è la soluzione più efficace. Tale ricorso offre un innegabile vantaggio rispetto a un ricorso che concede soltanto il risarcimento, in quanto impedisce anche la constatazione di successive violazioni in relazione al medesimo procedimento e non si limita a riparare la violazione a posteriori, come fa un ricorso risarcitorio. Il rimedio preventivo, tuttavia, è ‘effettivo’ nella misura in cui accelera la decisione da parte
del tribunale interessato. Allo stesso tempo, un ricorso finalizzato ad accelerare il procedimento non può essere adeguato al fine di riparare una situazione in cui la durata del procedimento è già stata chiaramente eccessiva. In tali situazioni, differenti tipi di ricorso possono appropriatamente porre rimedio alla violazione, compreso un ricorso risarcitorio, essendo consentita agli Stati la scelta di combinare due tipi di ricorso, uno finalizzato ad accelerare il procedimento e l’altro a offrire un risarcimento (tra le molte, COGNOME e altri 3, 25 febbraio 2016; COGNOME ed altri contro Italia, n. 15566/13, 28 aprile 2022). 4. La Corte Costituzionale, a sua volta, con le sentenze n. 107 del 2023, n. 175 del 2021, n. 121 del 2020, n. 34 e n. 169 del 2019 e n. 88 del 2018, ha affrontato questioni inerenti al sistema dei rimedi preventivi introdotti nella legge n. 89 del 2001 dall’art. 1, comma 777, della legge n. 208 del 2015, il cui mancato esperimento, come visto, rende inammissibile la domanda di equa riparazione. 4.1. La giurisprudenza costituzionale ha sostanzialmente sempre affermato che il ricorso ai rimedi preventivi è «effettivo» nella misura in cui esso velocizza la decisione da parte del giudice competente. Le sentenze hanno così ritenuto illegittimi i rimedi preventivi carenti di «concreta efficacia acceleratoria», quali quelli che svolgono un effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera «prenotazione della decisione», risolvendosi in adempimenti formali, rispetto alla cui inosservanza la sanzione di inammissibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia né con l’obiettivo del contenimento della durata del processo né con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata. Diversamente, sono legittimi quei rimedi preventivi, elevati a condizione di ammissibilità della domanda di equo indennizzo, consistenti non già in adempimenti puramente formali, quanto nella «proposizione di possibili, e concreti, ‘modelli procedimentali alternativi’, volti ad accelerare il corso del processo, prima che il termine di durata massima sia maturato». 4.2. Ai fini della questione oggetto del rinvio pregiudiziale, assume particolare rilevanza la sentenza della Corte costituzionale n. 121 del 2020, giacché specificamente inerente ai rimedi preventivi introdotti per i processi civili dalla legge n. 208 del 2015. Questa sentenza prese in esame proprio l’istanza di decisione a seguito di trattazione orale a norma dell’art. 281-sexies c.p.c., evidenziando l’effettività mutamento dello schema decisorio e il ‘comportamento collaborativo con il giudicante’ che rivela la parte, la quale manifesti la propria disponibilità al passaggio al modello decisorio concentrato in tempo potenzialmente utile ad evitare
il superamento del termine di ragionevole durata del processo stesso. Secondo la Corte costituzionale, l’adesione prestata al modello decisionale della sentenza semplificata consente, infatti, ‘di decidere la causa all’esito della discussione orale, con lettura a verbale della pronuncia, evitando così la concessione dei termini per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, rispettivamente nei termini di giorni 60 e 20 decorrenti dalla precisazione delle conclusioni, con deposito della sentenza nei 30 giorni successivi’. La sentenza n. 121 del 2020, peraltro, considerava che l’effettività di tale mutamento dello schema decisorio non dipende direttamente (dalla) richiesta della parte, ma dalla valutazione della opportunità o meno di aderirvi, nel caso concreto, che rientra nell’ambito della discrezionalità del giudice del merito. …’ -così, in motivazione, la sentenza della Corte di Cassazione n.21874/2023; cfr. anche Cass. n.16039/2024-.
6.1. Riassumendo, consegue alle considerazioni sopra svolte, pienamente condivisibili, che: -è pienamente legittima, sia alla luce dell’art.6 CEDU, sia alla luce della Carta Costituzionale, la previsione di rimedi preventivi con efficacia acceleratoria rispetto alla durata del processo; -tra questi rientra l’istanza di decisione a seguito di trattazione orale a norma dell’art. 281-sexies c.p.c. al fine di evitare il superamento della ragionevole durata del processo, espressione di un comportamento collaborativo della parte che rimette comunque alla valutazione del Giudice l’opportunità di aderirvi; -dall’utilizzo del rimedio preventivo in esame non può derivare alla parte alcuna limitazione o violazione di diritti costituzionalmente garantiti, né in linea generale, per quanto sopra evidenziato, né con riferimento al caso specifico, a nulla rilevando che il processo presupposto si trovasse, in prossimità del termine di durata ragionevole, ancora in fase di valutazione delle istanze istruttorie; la scelta sull’opportunità dell’accoglimento dell’istanza acceleratoria in relazione alla concreta possibilità di decidere la controversia sulla base delle acquisizioni probatorie già effettuate è ed era infatti comunque rimessa alla valutazione del Giudice, niente affatto vincolato all’accoglimento dell’istanza ex art.281 sexies c.p.c.; -non si vede come la scelta di presentare o no istanza ex art.281 sexies c.p.c. nel giudizio presupposto potesse in concreto determinare un nocumento al diritto di difesa della parte e al diritto al giusto processo, non esistendo un diritto incomprimibile all’indennizzo da ritardo irragionevole; non proponendo istanza per rimedio preventivo (che non pregiudica l’esito del giudizio presupposto, non essendo essa, si ripete, vincolante per il Giudice, ma comporta solo il ‘rischio’ del suo
accoglimento ove il Giudice valuti positivamente la sussistenza dei presupposti per la sua definizione) la parte opera una scelta nel senso di rinunciare a far valere ipotetici ritardi oltre la previsione di ragionevolezza dei tempi del processo ai sensi della legge n.89/2001 -considerando implicitamente giustificata la protrazione dei tempi del giudizio per le peculiarità di quella specifica controversia-.
Il secondo motivo di ricorso è fondato.
Con esso i ricorrenti prospettano una violazione di legge, consistita nell’errata applicazione delle disposizioni normative in materia di riconoscimento dei presupposti per la liquidazione delle spese processuali in relazione alle diverse fasi del processo.
Effettivamente risulta già dal decreto della Corte d’Appello di Catanzaro che il Ministero non depositò le note scritte sostitutive della partecipazione all’udienza di decisione, tenendo un comportamento corrispondente alla mancata presentazione alla stessa (rileva la Corte che, sostituita l’udienza del 11.10.2023 dal deposito di note scritte ex art.127 ter c.p.c., gli opponenti avevano depositato note scritte mentre il Ministero no): quindi il compenso per detta fase non gli era dovuto (si richiama, per il valore di partecipazione all’udienza del deposito di note scritte, Cass. n.23565/2024).
Deve essere detratto dall’importo delle spese, liquidate nel provvedimento impugnato a favore del Ministero della Giustizia, il compenso riconosciuto per la fase decisionale pari a € 1.735,00 -la liquidazione delle spese è stata effettuata dalla Corte d’Appello di Catanzaro tenendo conto dei valori minimi dettati dallo scaglione relativo alle cause di valore indeterminato di bassa complessità senza la fase istruttoria-.
Per le considerazioni esposte il ricorso è parzialmente fondato, in relazione al solo secondo motivo proposto.
In conclusione, la Corte respinge il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa senza rinvio il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, non riconosce nella liquidazione delle spese processuali del grado di merito quelle relative alla fase decisionale, pari a € 1.735,00, detraendo l’importo corrispondente da quello di € 3.473,00 -oltre accessori- riconosciuto a favore del Ministero della Giustizia dalla Corte d’Appello di Catanzaro; l’entità delle spese processuali riconosciute a favore del Ministero all’esito del giudizio di merito si riduce pertanto ad € 1.738,00.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, si pongono a carico del Ministero controricorrente.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa il provvedimento della Corte d’Appello di Catanzaro in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito: condanna NOME COGNOME e NOME COGNOME a pagare al Ministero della Giustizia, per le spese processuali relative al giudizio svoltosi avanti alla Corte d’Appello di Catanzaro, la somma di € 1.735,00, oltre oneri di legge;
-condanna il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità a favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME e le liquida in complessivi € 940,00, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge;
Così deciso in Roma, nell’adunanza in camera di consiglio della Seconda Sezione