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Rimborso spese: quando spetta per uso auto propria?

La Corte di Cassazione ha confermato il diritto di un autista a ricevere il rimborso spese per l’uso della propria auto per raggiungere una sede di lavoro diversa da quella pattuita. La Corte ha stabilito che un accordo aziendale che prevede un compenso forfettario, trattato fiscalmente come straordinario, non può sostituire il diritto al rimborso chilometrico previsto dal Contratto Collettivo Nazionale (CCNL), poiché tale compenso non ha natura risarcitoria delle spese sostenute.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rimborso spese per l’auto: quando è un diritto del lavoratore?

Il tema del rimborso spese per gli spostamenti casa-lavoro è spesso fonte di contenzioso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un caso specifico: quello del lavoratore a cui viene chiesto di iniziare la propria attività da una sede diversa e più lontana rispetto a quella prevista dal contratto. Vediamo come la Suprema Corte ha bilanciato le previsioni del Contratto Collettivo Nazionale (CCNL) con quelle di un accordo aziendale che prevedeva un compenso forfettario.

I fatti del caso: spostamento della sede di lavoro e accordo aziendale

Un autista di una società di trasporti, la cui sede di lavoro contrattuale era stabilita in una città, si è visto chiedere dall’azienda di iniziare le proprie giornate lavorative da un’altra località, situata a circa 70 km di distanza. Per coprire questo tragitto, il lavoratore utilizzava la propria automobile.

Per compensare questo disagio, un accordo sindacale aziendale del 2014 aveva previsto l’erogazione di una somma forfettaria di 11,50 euro per determinate giornate di lavoro svolte presso la nuova sede. Tuttavia, il lavoratore ha ritenuto tale importo insufficiente a coprire le reali spese sostenute e ha citato in giudizio l’azienda per ottenere un rimborso spese completo, basato sui costi chilometrici.

La Corte d’Appello aveva dato ragione al dipendente, condannando la società al pagamento di oltre 14.000 euro. Secondo i giudici di secondo grado, la somma prevista dall’accordo aziendale non era un vero rimborso, ma una forma di retribuzione per il maggior tempo di lavoro, come dimostrato dal suo trattamento fiscale e previdenziale (era tassato come straordinario).

La decisione della Cassazione sul rimborso spese

L’azienda ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo, tra i vari motivi, che l’accordo aziendale dovesse prevalere e che la norma del CCNL sul rimborso spese non fosse applicabile, in quanto prevista solo per l’uso del mezzo proprio durante la prestazione lavorativa e non per raggiungere il luogo di lavoro.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, confermando integralmente la sentenza d’appello. I giudici hanno chiarito che il punto cruciale non è la qualificazione del tempo di spostamento come orario di lavoro, ma la corretta interpretazione delle fonti contrattuali. L’accordo aziendale e il CCNL disciplinavano due istituti diversi e non sovrapponibili.

Le motivazioni: perché il CCNL prevale sull’accordo aziendale

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su un’attenta analisi della natura dei due pagamenti. Le motivazioni principali possono essere così sintetizzate:

1. Natura diversa delle erogazioni: L’emolumento previsto dall’accordo aziendale del 2014 era stato interpretato correttamente dalla Corte d’Appello come un compenso per la prestazione di lavoro (straordinario), non come un ristoro per le spese di viaggio. Questa interpretazione era supportata dal fatto che tale somma veniva trattata in busta paga come retribuzione a tutti gli effetti, soggetta a tassazione e contribuzione.
2. Applicabilità dell’art. 28 CCNL Logistica: Di contro, l’art. 28 del CCNL di settore prevede specificamente una “indennità di uso di mezzo di trasporto” per “il lavoratore che usa un mezzo di trasporto”. La Corte ha ritenuto che questa norma si applichi perfettamente al caso in esame. Il dipendente era costretto a usare il proprio veicolo non per un normale tragitto casa-lavoro, ma per raggiungere, su direttiva aziendale e nell’interesse dell’azienda stessa, un luogo di lavoro diverso da quello originariamente pattuito. Questo spostamento, imposto dal datore, genera un costo che deve essere rimborsato.
3. Non sovrapponibilità delle fonti: Dato che le due erogazioni avevano finalità e nature diverse (una retributiva, l’altra risarcitoria), l’accordo aziendale non poteva assorbire o sostituire il diritto al rimborso spese previsto dal CCNL. La Corte territoriale ha quindi agito correttamente liquidando il rimborso sulla base delle tabelle chilometriche ACI, come previsto in assenza di un accordo specifico sul punto tra le parti.

Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza offre importanti spunti sia per i datori di lavoro che per i lavoratori. Per le aziende, emerge la necessità di distinguere chiaramente la natura delle somme erogate ai dipendenti. Un compenso forfettario per il disagio o il maggior tempo impiegato per uno spostamento non può essere confuso con il rimborso delle spese vive sostenute dal lavoratore per effettuarlo, soprattutto se tale spostamento è imposto nell’interesse aziendale. Per i lavoratori, la sentenza rafforza il diritto a vedere coperte le spese sostenute quando viene richiesto di prestare servizio in una sede diversa da quella contrattuale, facendo valere le tutele previste dalla contrattazione collettiva nazionale, che non possono essere derogate da accordi aziendali con finalità differenti.

Il tempo impiegato per raggiungere una sede di lavoro diversa da quella contrattuale è considerato orario di lavoro?
Nella decisione esaminata, la Corte ha specificato che la qualificazione del tempo di spostamento come orario di lavoro non era l’elemento decisivo per riconoscere il diritto al rimborso spese. Il diritto scaturisce dal fatto che lo spostamento è imposto dal datore nel suo interesse, costringendo il lavoratore a sostenere costi aggiuntivi con il proprio mezzo.

Un accordo sindacale aziendale può derogare a quanto previsto dal CCNL in materia di rimborso spese?
Un accordo aziendale può disciplinare il rimborso spese, ma non può sostituire il diritto previsto dal CCNL con un’erogazione di natura diversa. Nel caso specifico, l’accordo aziendale prevedeva un compenso di natura retributiva (trattato come straordinario) e non risarcitoria, quindi non poteva assolvere alla funzione di rimborso delle spese di viaggio.

Quando sorge il diritto al rimborso spese per l’uso dell’auto propria per recarsi al lavoro?
Secondo la Corte, il diritto al rimborso sorge quando il lavoratore è obbligato, per direttiva aziendale e nell’interesse dell’azienda, a utilizzare il proprio veicolo per raggiungere un luogo di lavoro diverso da quello pattuito nel contratto individuale. Questo spostamento non è un semplice tragitto casa-lavoro, ma una prestazione funzionalmente connessa all’attività lavorativa che genera costi a carico del dipendente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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