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Rimborso spese mezzo proprio: quando spetta?

Una società di trasporti ha richiesto a un suo autista di iniziare il lavoro da una sede diversa e più lontana da quella pattuita, imponendogli di fatto l’uso del proprio veicolo. La Corte di Cassazione ha confermato il diritto del lavoratore al rimborso spese mezzo proprio, stabilendo che un accordo aziendale forfettario, inteso a compensare il tempo di viaggio extra, non esclude il rimborso previsto dal Contratto Collettivo Nazionale (CCNL) per l’utilizzo del veicolo privato nell’interesse aziendale.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rimborso Spese Mezzo Proprio: Quando il Datore di Lavoro Deve Pagare?

L’uso del proprio veicolo per esigenze lavorative è una situazione comune per molti dipendenti. Ma cosa succede quando il datore di lavoro cambia la sede di lavoro e il tragitto si allunga notevolmente? Si ha diritto a un indennizzo? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6469/2024, ha fornito chiarimenti cruciali sulla questione del rimborso spese mezzo proprio, stabilendo un importante principio a tutela del lavoratore.

I Fatti del Caso: Trasferta Imposta e Accordo Sindacale

Un autista di un’azienda di trasporti, la cui sede contrattuale era stabilita in una città, si è visto richiedere dall’azienda di iniziare i propri turni da un nuovo piazzale operativo situato in un’altra località, a circa 70 km di distanza. Per coprire questo tragitto, il lavoratore utilizzava la propria automobile.

Per gestire questa nuova organizzazione, l’azienda aveva stipulato un accordo sindacale che prevedeva un compenso forfettario giornaliero per i lavoratori costretti a questo spostamento. Tuttavia, il dipendente ha ritenuto che tale compenso non costituisse un rimborso per le spese di viaggio, ma una retribuzione per il tempo aggiuntivo impiegato, e ha quindi agito in giudizio per ottenere il rimborso chilometrico basato sulle tabelle ACI, come previsto dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) di settore.

La Decisione della Corte d’Appello: Applicazione del CCNL

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, ha dato ragione al lavoratore. I giudici hanno stabilito che lo spostamento era eseguito su direttiva e nell’interesse dell’azienda, costituendo di fatto una prestazione lavorativa. L’emolumento previsto dall’accordo aziendale è stato interpretato come retribuzione per lavoro straordinario, anche perché soggetto a contributi e tasse, e non come un rimborso spese.

Di conseguenza, la Corte territoriale ha applicato l’art. 28 del CCNL Logistica, Trasporto merci e Spedizioni, che prevede un’indennità per l’uso del mezzo proprio, e ha condannato l’azienda al pagamento di oltre 6.000 euro a titolo di rimborso.

Il Giudizio della Cassazione sul rimborso spese mezzo proprio

L’azienda ha impugnato la sentenza di secondo grado, portando il caso davanti alla Corte di Cassazione. La Suprema Corte ha però rigettato il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello.

Le Motivazioni

La Cassazione ha chiarito che il punto centrale della controversia non era tanto la qualificazione del tempo di viaggio come orario di lavoro, quanto l’applicabilità dell’art. 28 del CCNL. Questa norma riconosce un’indennità “al lavoratore che usa un mezzo di trasporto”. La Corte ha ritenuto che questa previsione si applichi perfettamente al caso di un dipendente che, per direttiva aziendale, è costretto a usare il proprio veicolo per raggiungere un luogo di lavoro diverso da quello originario.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che l’interpretazione degli accordi sindacali è di competenza dei giudici di merito. La lettura data dalla Corte d’Appello – secondo cui il compenso forfettario era una retribuzione e non un rimborso – è stata ritenuta plausibile e ben motivata. Pertanto, l’accordo aziendale non poteva escludere o assorbire il diverso diritto al rimborso spese previsto dal CCNL.

Le Conclusioni

L’ordinanza stabilisce un principio fondamentale: quando uno spostamento verso una sede diversa da quella contrattuale è imposto dal datore di lavoro e avviene nel suo interesse, il lavoratore ha diritto a un rimborso spese mezzo proprio se previsto dal CCNL. Un accordo aziendale che prevede un compenso forfettario non esclude automaticamente tale diritto, specialmente se tale compenso è configurato come retribuzione per il maggior tempo impiegato e non come un vero e proprio rimborso delle spese sostenute.

Se un’azienda mi chiede di recarmi in una sede di lavoro diversa da quella contrattuale usando la mia auto, ho diritto a un rimborso?
Sì, secondo questa ordinanza, se lo spostamento avviene su direttiva aziendale e nell’interesse dell’azienda, il lavoratore ha diritto al rimborso delle spese per l’uso del mezzo proprio, in applicazione del contratto collettivo nazionale.

Un accordo aziendale che prevede un compenso forfettario può escludere il diritto al rimborso spese previsto dal CCNL?
Non necessariamente. La Corte ha stabilito che se l’accordo aziendale è interpretato come una retribuzione per il tempo di lavoro straordinario impiegato per lo spostamento, e non come un rimborso spese, non esclude il diritto al rimborso previsto da una fonte contrattuale diversa come il CCNL.

Il tempo impiegato per lo spostamento tra la sede contrattuale e quella di effettiva prestazione è considerato orario di lavoro?
Sebbene la Corte d’Appello lo avesse considerato orario di lavoro, la Corte di Cassazione ha chiarito che la questione cruciale per il diritto al rimborso non era la qualificazione del tempo, ma l’obbligo di usare il mezzo proprio per uno spostamento funzionale all’attività lavorativa e disposto dall’azienda.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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