Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9056 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9056 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20054/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO RAGIONE_SOCIALE n. 343/2020 depositata il 12/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti e ragioni della decisione
La Corte di appello di Palermo, con sentenza n.343/2020, pubblicata il 27.2.2020, rigettava l’appello proposto da COGNOME NOME nei confronti del Comune di Palermo, confermando la sentenza resa dal Tribunale di Palermo che aveva rigettato la domanda di rimborso delle spese legali sostenute nell’ambito di un procedimento penale per condotte riferibili alla sua carica di Assessore al comune di Palermo, con delega all’Edilizia Privata , dalle quali era stato definitivamente assolto.
Il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, al quale ha resistito il comune di Palermo con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.
La causa è stata posta in decisione all’udienza del 17 gennaio 2024.
Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt.342 c.p.c., 39 l.r. Siciliana n.145/1980, 34 l.r. siciliana n.30/2000, 67 D.P.R.n.268/1987 e 4 dpr n.68/1986.
La Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto inammissibile il primo motivo di appello proposto dal COGNOME, nel quale sarebbero stati indicati le questioni ed i punti contestati della sentenza impugnata.
Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art.14, c.1 lett.o) del R.D.L. n.455/1946, convertito nella legge costituzionale n.2/1948 nonché degli artt. 342 c.p.c., 39 l.r. Siciliana n.145/1980, 34 l.r. siciliana n.30/2000, 67 D.P.R.n.268/1987 e 4 dpr n.68/1986. La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere inammissibile la censura relativa all’inapplicabilità nella regione Siciliana dell’art.67 dpr n.268/1987 poiché la Regione siciliana, nell’ambito delle prerogative ad essa riservate dalla legge costituzionale n.2/1948 avrebbe legiferato nella materia dei rimborsi per spese sostenute in procedimenti, anche penali, da dipendenti ed amministratori locali in modo autonomo rispetto alla legislazione regionale non prevedendo come presupposto del diritto
al rimborso l’insussistenza di un conflitto di interessi del dipendente o amministratore e l’ente di appartenenza, né potendosi qualificare il dpr n.268/1987 come legge cornice essendo peraltro attuativo di accordi di comparto degli enti locali per le regioni a statuto ordinario, non applicabili alla regione Siciliana. In definitiva, la Corte di appello non avrebbe fatto corretta applicazione della L.R. siciliana n. 145/1980, come modificata da L.R. sic.30/2000.
Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 342 c.p.c., 39 l.r. Siciliana n.145/1980, 34 l.r. siciliana n.30/2000, 67 D.P.R.n.268/1987 e 4 dpr n.68/1986, 1720 c.c. La Corte di appello avrebbe erroneamente escluso la connessione fra i fatti contestati nei procedimenti penali ed i compiti e poteri attribuiti al COGNOME in virtù della carica ricoperta, risultando la disciplina sui rimborsi delle spese pro procedimenti subiti dal dipendente o amministratore applicabile quando l’azione commessa fosse direttamente riferibile alla p.a., come risultava nel caso concreto essendo le condotte contestate al COGNOME relative alle mansioni svolte e connesse all’espletamento del servizio. Avrebbe poi errato la Corte di appello nel ritenere che la sussunzione del rapporto fra amministratore ed ente locale nell’ambito del rapporto di mandato impedisse il riconoscimento del rimborso delle spese processuali, richiedendo la normativa regionale unicamente l’apertura di un procedimento giudiziario per fatti direttamente connessi all’espletamento del servizio dell’adempimento dei com piti d’ufficio e la piena assoluzione dalle responsabilità ipotizzate. Circostanze pienamente ricorrenti nel caso di specie, essendo stato il ricorrente assolto perché il fatto non sussiste e perché il fatto non costituisce reato dai due procedimenti penali promossi nei suoi confronti, avendo il predetto agito nell’interesse esclusivo del comune di Palermo e non in posizione di contrasto. Anzi, secondo il ricorrente, nel procedimento penale relativo al rilascio della concessione edilizia in tempi brevi in favore di tale COGNOME, definita con pronunzia assolutoria resa dal G.U.P. perché il fatto non sussiste, il giudice di appello avrebbe omesso di rilevare che la condotta del ricorrente era stata improntata al canone della buona amministrazione (art.97 Cost.), emettendo un provvedimento in tempi ragionevolmente brevi senza alcuna discriminazione, essendo stata esclusa la dazione di denaro. Quanto al procedimento penale relativo al reato di cui all’art.323 c.p. , relativo alla vicenda RAGIONE_SOCIALE, gli atti compiuti dal ricorrente, essendo stata esclusa la responsabilità penale, non potrebbero, secondo il ricorrente medesimo, che considerarsi legittimi. Né, secondo l’istante, sarebbe stato applicabile all’ipotesi dii rimborso delle spese processuali, sostenute nel procedimento penale, il presupposto dell’assenza di conflitto di interessi che l’art.67 dpr n.268/1987 avrebbe previsto solo per le ipotesi di previo riconoscimento del patrocinio e non per quelle di rimborso,
dovendosi la valutazione del conflitto operarsi solo per la prima ipotesi, in base ad un accordo preventivo fra dipendente amministratore e amministrazione circa la scelta del difensore. Quanto all’avvenuta costituzione di parte civile del comune di Palermo solo in un procedimento (vicenda RAGIONE_SOCIALE), la stessa non costituirebbe elemento ostativo al riconoscimento del rimborso per le medesime ragioni sopra esposte e per il fatto che la stessa costituzione di parte civile non aveva avuto valida consistenza difensiva e quindi giuridica.
Con il quarto motivo si deduce, infine, la violazione dell’art.91 c.p.c., poiché l’erroneità della sentenza impugnata avrebbe imposto che le spese processuali fossero poste a carico del comune di Palermo.
Il primo motivo è inammissibile nella parte in cui assume l’erroneità della decisione impugnata che aveva ritenuto inammissibile il primo motivo di appello, perché non si confrontava con le «congruenti e articolate motivazioni della sentenza di primo grado».
In realtà la censura proposta non si confronta affatto con la ratio decidendi resa dalla Corte di merito, secondo cui il COGNOME si era limitato, in appello, a ribadire la sussistenza di un nesso tra le imputazioni penali e le funzioni svolte come assessore, «ignorando del tutto gli esaustivi argomenti che hanno condotto il Tribunale alla conclusione opposta».
Il secondo ed il terzo motivo, che meritano un esame congiunto, sono infondati.
Ed invero, le censure ivi proposte sono direttamente orientate a contestare la decisione della Corte di appello di Palermo, nella parte in cui ha ritenuto insussistenti i presupposti per l’accoglimento della domanda di rimborso delle spese sostenute nell’ambito di due procedimenti penali promossi nei confronti del COGNOME, già assessore all’edilizia del comune di Palermo, relativi a due distinte vicende processuali che lo videro come imputato. La prima (proc.pen. n.1023/93) relativa al rilascio, nella qualità di assessore all’edilizia del comune di Palermo, di un parere favorevole alla variazione di destinazione d’uso di un immobile della RAGIONE_SOCIALE e della successiva concessione edilizia contenente la variazione di destinazione d’uso dello stesso immobile, da casa RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE a sede di uffici di interesse pubblico a carattere assistenziale. L’altra, relativa all’ipotesi di abuso di ufficio per avere contributo al rilascio, nella medesima qualità di assessore all’edilizia privata del comune di Palermo, di una concessione edilizia a COGNOME NOME in tempi
più brevi rispetto all’iter procedurale , e dietro sollecitazione di un terzo e corresponsione di una somma di lire 5.000.000.
Orbene, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza resa dal Tribunale di Palermo con la quale era stato escluso il diritto al rimborso delle spese processuali sostenute dal COGNOME, ritenendo che la tipologia di imputazioni allo stesso rivolte non consentiva in alcun modo l’operatività della disciplina regionale siciliana, che regola il diritto al rimborso delle spese sostenute dal dipendente o amministratore pubblico.
Orbene, la sentenza impugnata non presenta i profili di illegittimità prospettati nei due motivi di ricorso.
Ed invero, giova ricordare che la L.R. Sicilia 29 dicembre 1980, n. 145, art. 39 (Norme sull’organizzazione amministrativa e sul riassetto dello stato giuridico ed economico del personale dell’amministrazione regionale) dispone che “Ai dipendenti che, in conseguenza di fatti ed atti connessi all’espletamento del servizio e dei compiti d’ufficio, siano soggetti a procedimenti di responsabilità civile, penale o amministrativa, è assicurata l’RAGIONE_SOCIALE legale, in ogni stato e grado del giudizio, mediante rimborso, secondo le tariffe ufficiali, di tutte le spese sostenute, sempre che gli interessati siano stati dichiarati esenti da responsabilità”.
La norma, applicabile, nel testo originario, esclusivamente al personale dell’amministrazione regionale (Cass. 26 marzo 2004 n. 6059) è stata modificata dalla L.R. Sicilia 23 dicembre 2000, n. 30, art. 24 (norme sull’ordinamento degli enti locali) a tenore del quale “La L.R. 29 dicembre 1980, n. 145, art. 39, si interpreta nel senso che la norma si applica a tutti i soggetti, ivi inclusi i pubblici amministratori, che in conseguenza di fatti ed atti connessi all’espletamento del servizio e dei compiti d’ufficio siano stati sottoposti a procedimenti di responsabilità civile, penale ed amministrativa e siano stati dichiarati esenti da responsabilità”.
Ora, la Corte di appello, nel condividere la decisione del Tribunale, ha ritenuto che ostasse all’accoglimento della domanda del COGNOME l’esistenza di un conflitto di interessi fra lo stesso e l’amministrazione comunale. A tale conclusione il giudice di prime cure era pervenuto ritenendo che tale condizione fosse implicita nella normativa regionale, per il richiamo espresso alla connessione tra atto ed espletamento del servizio, essendo comunque qualificabile come principio generale applicabile analogicamente alla fattispecie e, dunque, evidentemente impeditivo del riconoscimento del rimborso in relazione alla mera lettura dei capi di imputazione contestati. Dagli stessi, infatti, era desumibile l’obiettiva sussistenza, alla stregua di una valutazione ex ante, di
un conflitto di interessi tra l’operato dell’imputato COGNOME e le ragioni della p.a., essendo stata ascritta la violazione di atti normativi (PRG).
Tale assunto è corretto.
Va osservato che la previsione di rimborso delle spese legali ai dipendenti regionali sottoposti a giudizio di responsabilità per atti e comportamenti connessi all’espletamento del servizio e dei compiti di uffici che successivamente siano stati dichiarati esenti da responsabilità, affermata nell’art. 39 della legge reg. Sicilia n. 145 del 1980, è stata estesa dall’art. 24 della legge reg. Sicilia n. 30 del 2000 “a tutti i soggetti, ivi compresi gli amministratori pubblici” e cioè sia ai dipendenti degli enti locali sia ai pubblici amministratori (Cass. 20729/2018).
Ora, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che il contributo da parte della P.A. alle spese per la difesa del proprio dipendente, imputato in un procedimento penale, presuppone l’esistenza di uno specifico interesse, ravvisabile ove l’attività sia imputabile alla P.A. – e, dunque, si ponga in diretta connessione con il fine pubblico – e sussista un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere ed il compimento dell’atto, atteso che il diritto al rimborso costituisce manifestazione di un principio generale di difesa volto, da un lato, a tutelare l’interesse personale del dipendente coinvolto nel giudizio nonché l’immagine della P.A. per cui lo stesso abbia agito, e, dall’altro, a riferire al titolare dell’interesse sostanziale le conseguenze dell’operato di chi agisce per suo conto. (Nella specie, è stata esclusa la sussistenza delle condizioni per il rimborso in relazione ad un procedimento penale per timbratura del cartellino marcatempo di altro dipendente, a nulla rilevando l’intervenuta assoluzione) -cfr.Cass.n.20561/2018, Cass.n.28597/2018-.
Sempre rispetto alla medesima tematica affrontata con riguardo al pubblico dipendente, estensibile a quella relativa all’amministratore pubblico rispetto alla legislazione regionale siciliana, proprio in forza del quadro normativo di riferimento sopra richiamato, si è aggiunto che l’assenza di conflitto di interessi, che costituisce il presupposto per l’assunzione dell’onere di pagamento da parte datoriale, va valutata “ex ante” nel momento in cui è stata posta in essere la condotta generatrice di responsabilità, né è automaticamente esclusa in caso di assoluzione del dipendente, occorrendo accertare, sulla base di una autonoma ricostruzione fattuale della vicenda da parte del giudice di merito, che il dipendente abbia agito unicamente per finalità di espletamento del servizio, in esecuzione dei compiti di ufficio e, quindi, non in conflitto con il suo datore di lavoro, fermo restando che ai fini
ricostruttivi della esistenza o meno di una situazione antagonista possono, comunque, assumere rilievo elementi acquisiti successivamente, anche tratti dal provvedimento che ha definito il giudizio nel quale era coinvolto il lavoratorecfr.Cass.n.34457/2019-.
Inoltre, con specifico riferimento alla legislazione regionale siciliana che qui viene in rilievo questa Corte, esaminando l’ipotesi del rimborso delle spese sostenute per fatti di concussione poi esclusi da sentenza assolutoria a carico di un dipendente pubblico, ha confermato la decisione della Corte di appello di Messina che aveva escluso il rimborso in ragione del ‘comportamento assunto approfittando delle sue funzioni che aveva quindi, secondo la imputazione tutte le caratteristiche di un atto che esulava dai doveri di ufficio e dall’adempimento dei compiti dell’ufficio sul presupposto’ -cfr.Cass.n.6349/2019-.
In tale occasione è stato ricordato che ‘questa Corte nel pronunciarsi in merito agli oneri di RAGIONE_SOCIALE legale della pubblica amministrazione nei confronti del proprio dipendente imputato in un procedimento penale, ha affermato che essi presuppongono uno specifico interesse dell’amministrazione erogante, che sussiste soltanto ove l’attività sia ad essa imputabile e, dunque, si ponga in diretta connessione con il fine pubblico (per una ricostruzione generale della materia cfr. Cass. n. 25976 del 2017), dovendosi quindi escludersi un diritto assoluto al rimborso per le spese legali.
Orbene, la Corte di appello ha fatto piena e convincente applicazione dei principi sopra riportati, di per sé idonei a superare in radice la questione della mancata esplicita configurazione, all’interno del quadro normativo di riferimento regionale, della condizione ostativa del conflitto di interessi prevista dasll’art.67 DPR n.268/1987 ai fini del riconoscimento del diritto al rimborso. Condizione ritenuta dal giudice di appello desumibile sia dalla formulazione della norma regionale, laddove richiedeva la connessione tra l’atto compiuto e l’espletamento del servizio, sia la stessa integrando un principio di ordine generale dal quale non è dato prescindere ai fini dell’applicazione della disciplina del rimborso delle spese processuali per procedimento concluso con esito favorevole al dipendente (o amministratore).
Sulla base di tali coordinate la Corte di appello ha quindi desunto la mancata connessione degli atti contestati al COGNOME con i fini dell’amministrazione locale. Infatti, dalla lettura dei capi di imputazione contestati al COGNOME emergeva che gli atti ai quali lo stesso aveva contribuitoparere favorevole alla variazione d’uso dell’immobile della RAGIONE_SOCIALE, omessa rideterminazione di quanto dovuto per oneri di urbanizzazione e contributo di costruzione,
rilascio della concessione edilizia in tempi più brevi rispetto all’iter procedurale dietro corresponsione di denaro -riguardavano condotte, nella stessa ipotesi accusatoria, svolte in danno dell’amministrazione. Ciò impediva di ritenere il comportamento compiuto per conto, nel nome e nell’interesse dell’amministrazione e dunque che lo stesso fosse funzionale e strumentale rispetto alle funzioni svolte. La Corte di appello ha ancora puntualmente evidenziato che tutte le imputazioni contestate al COGNOME si ponevano già nella loro formulazione a livello di contestazioni come antitetiche rispetto ai fini dell’amministrazione nella quale era incardinato il COGNOME, per ciò stesso impedendo l’operatività del sistema di rimborso delle spese che, altrimenti, avrebbe finito con il soddisfare interessi personali del predetto che, al contrario, in tanto erano presi in considerazione dal quadro normativo di riferimento, in quanto coincidenti con quelli della p.a. Condotte che, dunque, non potevano che escludere ‘i suddetti elementi dell’imputabilità dell’attività a ll’amministrazione e della diretta connessione dell’attività stessa con il fine pubblico’ proprio perché relativi al ‘compimento di un’attività illecita al fine di perseguire un utile privato ed indebito’, sussistendo ‘al contrario l’interesse dell’Amministrazione a vedere sanzionate le eventuali attività abusive compiute dal soggetto svolgente un servizio alle sue dipendenze’. Una condotta, ha proseguito la Corte di appello, ‘frutto, dunque, di iniziativa contraria ai dover funzionali ed in contrasto con la volontà dell’ente’.
Di alcun rilievo risulta, dunque, la asserita diversità di regime che il ricorrente assume fra riconoscimento al dipendente o amministratore del patrocinio per la difesa assunto dalla p.a. (non prevista nella legislazione regionale come ammette lo stesso ricorrente (pag.27 ricorso per cassazione) o del rimborso ex post delle spese sostenute nel procedimento giudiziario definito in modo allo stesso favorevole. È infatti necessario unicamente valutare ex ante , come correttamente ritenuto dalla Corte di appello, ‘la connessione tra l’attività del RAGIONE_SOCIALE e l’espletamento del suo servizio e, conseguentemente, la possibilità di ipotizzare il diritto al rimborso’. Connessione appunto esclusa dalla Corte di appello indipendentemente dell’esito assolutorio dei due giudizi penali (Cass. 17874/2018).
Sulla base di tali considerazioni, idonee a superare anche i rilievi difensivi esposti in memoria dal ricorrente, i motivi di ricorso qui esaminati appaiono infondati, assorbito il quarto e conseguentemente il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore del comune di Palermo in euro 8.000,00 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso il 17 gennaio 2024 in Roma nella camera di consiglio