Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25578 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25578 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12579/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME (EMAIL), elettivamente domiciliato presso il proprio studio in INDIRIZZO, rappresentato e difeso da sè medesimo ex art. 86 cod. proc. civ. -ricorrente – contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (EMAIL) che lo rappresenta e difende giusta
procura speciale
al presente
–
contro
ricorrente
–
avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 4868/2022 depositata il 29/03/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/06/2024 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. L’AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO conveniva in giudizio avanti al Giudice di Pace di Roma COGNOME NOME, affinché venisse accertato e dichiarato il suo inadempimento all’obbligo di cui all’art. 1199 cod. civ. di emettere, rilasciare e consegnare quietanza-fattura del pagamento eseguito in suo favore a titolo di spese processuali, con tutte le specifiche delle somme e, conseguentemente, il medesimo fosse condannato al risarcimento del danno quantificato in via equitativa in € 500,00, a causa della asserita impossibilità di portare in detrazione l’importo pagato ai fini dell’IVA e dell’IRPEF.
Si costituiva in giudizio COGNOME NOME, resistendo ed in particolare allegando : a) che l’AVV_NOTAIO COGNOME , condannato a pagare ad esso COGNOME le spese processuali di un precedente giudizio di cassazione inter partes , non poteva legittimamente vantare nessun diritto in ordine al rilascio di una fattura relativa a tale pagamento; b) che , secondo l’orientamento di legittimità (viene richiamata Cass., n. 809/2011), ‘tra il difensore della parte vittoriosa ed il soccombente non v’è alcun rapporto di diritto sostanziale’ ; c) che la Suprema Corte aveva inoltre già avuto modo di affermare: che la condanna della parte soccombente alle spese di lite, con espressa indicazione dell’ammontare, costituisce titolo esecutivo anche per il rimborso dell’IVA che la parte vittoriosa ha versato al proprio difensore; che l’IVA viene infatti considerata onere accessorio, diretta conseguenza del pagamento degli onorari al difensore, e quindi dovuta pur in assenza di una domanda della parte e di una pronuncia del giudicante; che l’importo rimborsato dalla parte soccombente alla parte vincitrice non contiene né l’esposizione dell’IVA, la quale è detratta dalla parte
vincitrice, né la ritenuta d’acconto; che la parte vittoriosa non deve emettere alcuna fattura in favore della soccombente per detto rimborso in quanto, nei loro rapporti, il titolo di pagamento è dato dal provvedimento giudiziale che ha comminato la condanna alle spese.
1.2. Con sentenza n. 27472/2019 del 17 ottobre 2019, il Giudice di Pace di Roma rigettava nel merito la domanda attorea.
Avverso detta decisione proponeva appello l’ AVV_NOTAIO COGNOME; si costituiva in giudizio, resistendo al gravame, COGNOME NOME.
Con sentenza n. 4868/2022 del 29 marzo 2022 il Tribunale di Roma dichiarava inammissibile l’appello ex art. 339, comma 3, cod. proc. civ.
Avverso tale sentenza l’ AVV_NOTAIO COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.
Resiste con controricorso il COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo il ricorrente denuncia ‘ Violazione o falsa applicazione degli artt. 10 e 14 cod. proc. civ . dell’art. 113 e dell’art. 339 c od. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3 , cod. proc. civ ., nonché dell’art. 112 cod. proc. civ . in relazione all’art. 360, 1° comma, n.4 , cod. proc. civ.; omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. ‘ .
Lamenta che il Tribunale di Roma ha errato nel dichiarare inammissibile l’appello perché ha errato nell’attribuire alla causa un valore inferiore a quello reale, ‘sul postulato tautologico che il valore della controversia imponeva il giudizio di equità’.
Il motivo è inammissibile , per violazione dell’art. 360 -bis cod. proc. civ. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, ‘Le sentenze rese dal giudice di pace in cause di valore non eccedente i millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi mediante moduli o
formulari di cui all’art. 1342 cod. civ., sono da considerare sempre pronunciate secondo equità, ai sensi dell’art. 113, comma 2, cod. proc. civ. Ne consegue che il tribunale, in sede di appello avverso sentenza del giudice di pace, pronunciata in controversia di valore inferiore al suddetto limite, è tenuto a verificare, in base all’art. 339, comma 3, cod. proc. civ., come sostituito dall’art. 1 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, soltanto l’inosservanza delle norme sul procedimento, di quelle costituzionali e comunitarie e dei principi regolatori della materia, che non possono essere violati nemmeno in un giudizio di equità’ (Cass., 19/01/2021, n. 769; Cass., 19 settembre 2022 n. 27384).
Orbene, l ‘impugnata sentenza ha così motivato: ‘La domanda di merito che ha dato corso al giudizio definito con la sentenza qui impugnata ha ad oggetto la richiesta -oltre che di rilascio di una fattura/quietanza- alla condanna al pagamento di una somma di € 500,00 , a titolo di risarcimento del danno’ (v. p. 2) , ha espressamente richiamato il suindicato principio di diritto ed ha considerato la sentenza del giudice di pace come pronunciata secondo equità, ai sensi e per gli effetti degli artt. 113, comma 2, cod. proc. civ. e 339, comma 3, cod. proc. civ.
Il ricorrente censura questa motivazione in maniera del tutto generica ed apodittica, e soprattutto non dice quale fosse il valore della domanda proposta, anche a voler considerare formulata una domanda di consegna o rilascio di una fattura/quietanza; il valore che emerge dagli atti risulta soltanto di ammontare pari ad euro 500,00.
L’impugnata sentenza ha dunque deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ex art. 360bis cod. proc. civ.
Le spese del giudizio di legittimità, che vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.200,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione