Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 28512 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 28512 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12037/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE CORPO RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’RAGIONE_SOCIALE DELLO RAGIONE_SOCIALE -controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 171/2023, depositata il 20.1.2023, NUMERO_DOCUMENTO; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/10/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, sottufficiale in servizio presso l’U.C.M. di Terracina, ha agito nei confronti del RAGIONE_SOCIALE chiedendo il rimborso RAGIONE_SOCIALE spese legali, ai sensi dell’art. 18 del d.l. n. 67 del 1997 come convertito nella legge n. 135 del 2007, sostenute per difendersi in un processo penale in cui egli era stato coinvolto sulla base di denuncia del suo comandante alla Procura Militare, riguardante la disobbedienza ad un ordine, l’offesa ad un superiore e l’allontanamento dal servizio senza autorizzazione, accuse dalle quali era stato assolto, con sentenza della Corte d’Appello Militare di Roma passata in giudicato, in parte perché il fatto non sussiste in parte perché il fatto non costituisce reato.
La domanda di rimborso del ricorrente, dapprima accolta dal Tribunale di Latina, è stata poi rigettata dalla Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado.
La Corte territoriale ha argomentato evidenziando che presupposto della copertura, oltre all’assenza di responsabilità, era che il dipendente avesse agito nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE, in immedesimazione organica con essa e che egli fosse stato infondatamente sottoposto a processo per l’esercizio della funzione pubblica, dovendo ricorrere un nesso di strumentalità tra il compimento dell’atto o del fatto e l’adempimento del dovere.
Ciò in quanto lo scopo della norma era quello di sollevare i funzionari pubblici dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie correlate all’espletamento del servizio, mentre il caso di specie non aveva un collegamento con i compiti d’ufficio e postulava una situazione di conflitto di interessi.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, resistiti da controricorso del RAGIONE_SOCIALE.
È stata quindi formulata proposta di definizione accelerata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., con cui è stata evidenziata l’improcedibilità del ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c., per mancato deposito della sentenza impugnata.
Ne è seguita istanza di decisione formulata dal ricorrente e la causa è stata quindi avviata a trattazione camerale.
È in atti memoria del ricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La proposta di definizione accelerata è stata formulata sul presupposto che il ricorso sarebbe improcedibile per mancato deposito della sentenza di appello impugnata, secondo quanto previsto dall’art. 369, co. 2, n. 2, c.p.c.
Il collegio rileva tuttavia che tale sentenza è presente, in forma telematica, nel fascicolo, parimenti telematico, acquisito presso la Corte d’Appello ed è come tale visibile sull’applicativo (c.d. Desk) in uso ai magistrati della Suprema Corte.
Deve dunque verificarsi quale rilievo abbia tale ultima circostanza.
L’art. 369, co. 2, n. 2 c.p.c. ha sempre previsto che « insieme col ricorso -e quindi nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione – debbono essere depositati, sempre a pena di improcedibilità … 2) copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione ».
2.1 Il tema è stato ripetutamente affrontato da questa S.C., presso la quale, nel passato meno recente, hanno convissuto due orientamenti tra loro non del tutto coincidenti.
2.1.1 Un primo indirizzo, sicuramente maggioritario e maturato anche in relazione ai casi di produzione di copie della sentenza impugnata carenti di parti essenziali alla sua comprensione, riteneva che, per il rispetto della condizione di procedibilità, fosse necessario il deposito della sentenza, senza che assumesse alcun
rilievo l’avvenuto deposito di essa da parte del controricorrente o l’esistenza della stessa nel fascicolo d’ufficio.
Ciò sul presupposto che lo scopo della norma fosse quello di consentire la verifica della tempestività dell’atto d’impugnazione e la fondatezza dei suoi motivi e che la tesi favorevole all’ammissibilità di equipollenti della produzione dell’atto (copia depositata dal controricorrente o esistente nel fascicolo d’ufficio) si sarebbe posta in contrasto con la lettera dell’art. 369 c.p.c., in quanto la norma stabilisce, senza alcuna eccezione, l’improcedibilità del ricorso nel caso in cui l’atto in esame non sia stato depositato, ammettendosi solo la possibilità di una produzione ai sensi dell’art. 372 c.p.c., ma solo entro il medesimo termine (per tutte, v. Cass. 25 novembre 1998, 11932; Cass., S.U. 20 giugno 2006, n. 14110).
2.1.2 Per un secondo e minoritario indirizzo, il ricorso non poteva considerarsi improcedibile allorché, pur non avendo il ricorrente prodotto copia autentica del provvedimento impugnato, quest’ultimo fosse inserito in originale nel fascicolo di ufficio debitamente trasmesso dall’ufficio del giudice a quo su richiesta, ai sensi dell’ultimo comma del citato art. 369, del ricorrente (tra le altre, v. Cass. 18 settembre 2003, n. 13741; Cass. 9 novembre 1968, n. 3711) o perché esso prodotto dal resistente (tra le altre, Cass. 3711/1968 cit.).
2.2 I due indirizzi hanno trovato un primo componimento in esito a Cass., S.U., 13 dicembre 2016 n. 25513 ed alla successiva e strettamente connessa Cass., S.U., 2 maggio 2017, n. 10648.
Quest’ultima, pur se riguardante in via diretta il diverso tema del deposito della relata di notifica della sentenza impugnata, ha in effetti esteso il proprio argomentare anche al deposito in sé della sentenza impugnata.
In tale arresto le S.U. hanno richiamato le pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo secondo cui le restrizioni rispetto alla
ricevibilità di un ricorso, pur possibili nella regolazione dei singoli Stati, « non possono limitare l’accesso della parte in causa in maniera o a un punto tali che il suo diritto a un tribunale venga leso nella sua stessa sostanza. Ogni limitazione si concilia con l’articolo 6 § 1 soltanto se tende ad uno scopo legittimo e se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito (cfr Corte eur. DU 16. 6. 2015 ric. Mazzoni N. 20485/06) ».
Su tale premessa, le S.U. hanno quindi ritenuto che « non sia possibile applicare la sanzione dell’improcedibilità allorquando il documento mancante sia nella disponibilità del giudice per opera della controparte o perché la documentazione sia stata acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio. In tal caso le ragioni della tempestiva conoscenza, che avevano sorretto la lettura rigorista, cedono alla verifica di ragionevolezza RAGIONE_SOCIALE regole del procedimento e di proporzionalità della sanzione, che è costituita dal divieto di accesso al giudice ».
Senza dubbio -si legge ancora nel precedente da ultimo citato -« consentire il recupero della omissione mediante la produzione a tempo indeterminato con lo strumento di cui all’art. 372 c.p.c. vanificherebbe il senso del duplice adempimento nel meccanismo processuale» e del resto «l’improcedibilità …. a differenza di quanto previsto in altre “situazioni procedurali” trova la sua ragione nel presidiare, con efficacia sanzionatoria, un comportamento omissivo che ostacola la sequenza di avvio di un determinato processo ».
Peraltro, con riferimento alla sproporzione della misura « questa sarebbe la percezione della sanzione se fosse mantenuta anche quando l’adempimento omesso da una parte risulti subito espletato dall’altra, nell’ambito della medesima fase iniziale dell’impugnazione. Lo scopo di attivare la sequenza procedimentale non potrebbe dirsi impedito, né apprezzabilmente ritardato
(l’esame del fascicolo non può aver luogo se non si è atteso il tempo utile per il deposito del controricorso). Il documento proverrebbe dalla stessa parte interessata a far constare la violazione processuale. La sanzione massima sarebbe incongrua, irragionevole e sproporzionata secondo i parametri normativi di cui si è discusso sopra. Non diversamente dovrebbe dirsi per le ipotesi – qui il richiamo ai due precedenti più ravvicinati (Cass. 25513/16 e 22726/11) è d’obbligo – in cui il documento sia già in possesso dell’ufficio perché presente nel fascicolo trasmesso dal giudice di appello. Se si considera che tale trasmissione deve essere chiesta dalla parte ricorrente sempre ex art. 369 cpc, è facile desumere che quest’ultima deve beneficiare della eventualità che il documento non autonomamente prodotto sia comunque in possesso del giudice grazie anche alla sua iniziativa. Ancora una volta non avrebbe senso, alla luce RAGIONE_SOCIALE normative della Carte europee, rifiutare l’accesso al giudice dell’impugnazione perché l’atto da valutare è presente nel fascicolo dell’Ufficio – grazie a un’istanza della parte – ma non può essere esaminato per il ritardo nel produrne la copia. Si tratterebbe di un inutile formalismo, contrastante con le esigenze di efficienza e semplificazione, le quali impongono di privilegiare interpretazioni coerenti con la finalità di rendere giustizia ».
2.3 La pronuncia RAGIONE_SOCIALE S.U. appena esaminata è stata oggetto di ulteriore affinamento ad opera di Cass. 15 settembre 2017, n. 21386, con riferimento alla relata di notifica, precisandosi che essa di regola non è destinata a far parte del fascicolo d’ufficio, sicché il principio sancito dalle S.U. è da riferire -si dice nella pronuncia -« alle sole limitate ipotesi in cui la decorrenza del termine breve per ricorrere in cassazione sia ricollegata dalla legge alla comunicazione del provvedimento (come appunto nel caso di cui all’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., della quale ha avuto modo di occuparsi proprio Cass. S.U. n. 25513/2016), ovvero nelle altre ipotesi in cui la legge
preveda che sia la stessa cancelleria a notificare la sentenza e che tale notificazione sia idonea a far decorrere il termine di cui all’art. 325 c.p.c. (cfr. in via meramente esemplificativa di tali ipotesi, si veda Cass. n. 10525/2016, in tema di notificazione della sentenza di rigetto del reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento di cui all’art. 18 co. 13 della legge fallimentare, Cass. n. 21193/2016, in relazione alla disciplina di cui agli artt. 15, ultimo comma, e 17, comma 2, della l. n. 184 del 1983 i quali postulano un regime giuridico speciale per le impugnazioni RAGIONE_SOCIALE pronunce di adottabilità, prevedendo, a tal fine, un unico termine, di trenta giorni, decorrente dalla loro notificazione “ex officio”, o ancora Cass. S.U. n. 21193/2009, in tema di notificazione a cura della cancelleria, ai sensi dell’art. 8 della legge 10 luglio 1930 n. 1078, della sentenza della corte d’appello, emessa sul reclamo avverso le decisioni dei commissari regionali per la liquidazione degli usi civici) ».
Analoghe conclusioni valgono per la produzione in sé della sentenza, dovendosi considerare che anch’essa, in regime di processo in forma cartacea, non è destinata ad essere parte del fascicolo d’ufficio, al cui interno è previsto sia collocato solo il « dispositivo RAGIONE_SOCIALE sentenze » (art. 168, co. 2, e 359 c.p.c.), mentre il testo integrale era destinato a confluire nei volumi di cui all’art. 35 disp. att. c.p.c. (in specifico sul tema, v. Cass. 4 gennaio 1995, n. 122).
Ciò posto, va quindi dato atto dell’evoluzione di sistema che derivano dall’introduzione del processo telematico.
Come sottolineato da Cass. 13 maggio 2024, n. 12971, « il provvedimento emesso come documento informatico e sottoscritto con firma digitale è depositato nel fascicolo tramite l’applicativo l’informatico, ai sensi dell’art. 15 del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44. La pubblicazione avviene, dunque, non più attraverso la materiale apposizione del deposito e della relativa certificazione da parte del
cancelliere, bensì attraverso l’accettazione del deposito telematico del provvedimento e l’attribuzione mediante il sistema informatico del numero identificativo e della data dell’adempimento, con inserimento nel fascicolo informatico e conseguente ostensibilità agli interessati (si veda anche Cass. n. 2829/2023) ».
La sentenza, dunque, entra a pieno titolo a far parte del fascicolo telematico dei gradi di merito.
A ciò va aggiunto che, per effetto RAGIONE_SOCIALE modifiche apportate al codice di rito dal d. lgs. n. 149 del 2022, il fascicolo d’ufficio del giudizio nel quale è stato pronunciato il provvedimento impugnato va acquisito d’ufficio (art. 137 -bis c.p.c.), sviluppo cui si è accompagnata l’abrogazione dell’art. 369, u.c., c.p.c., sicché non è più prevista l’istanza in tal senso della parte ricorrente per cassazione.
Da quanto sopra deriva quindi che l’acquisizione officiosa del fascicolo del precedente grado di giudizio comporta l’ingresso nel fascicolo telematico presso la RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE. anche del provvedimento impugnato.
Ed è questo il regime applicabile nel caso di specie, essendo stato il ricorso notificato nel maggio 2023 (art. 35, co. 5, del d. lgs. n. 149 del 2022).
La fattispecie va dunque valutata sulla base dei dati normativi e giurisprudenziali sopra riepilogati.
In proposito, vanno ribaditi i principi afferenti al giusto processo quale espressione di un diritto dell’uomo, già richiamati nella riportata motivazione RAGIONE_SOCIALE S.U., cui vanno aggiunte le conclusioni cui è recentemente pervenuta Corte Europea dei Diritti dell’Uomo 23 maggio 2024, COGNOME e altri c. Italia .
Quest’ultimo arresto, riguardante proprio il tema dell’art. 369 c.p.c, per quanto sul versante del deposito della relata di notifica della sentenza impugnata, apporta elementi significativi per dirimere anche il tema del deposito del provvedimento impugnato.
In particolare, si è ivi ritenuto che:
-« dato il carattere particolare del ruolo della Corte di cassazione che si limita a verificare la corretta applicazione della legge, essa può ammettere che le procedure seguite dalla suprema corte siano più formali » (punto 83);
« l’accettazione di depositi tardivi avrebbe vanificato l’obiettivo di assicurare il rapido svolgimento del procedimento e avrebbe impedito alla Corte di cassazione di pronunciarsi sulla procedibilità del ricorso senza ulteriori passaggi e senza ritardi » (punto 82);
-è significativo, al fine di apprezzare giustificatezza e proporzionalità della sanzione il rilievo di « quando la Corte di cassazione aveva potuto adottare una decisione (ovvero dopo la scadenza del termine fissato dall’articolo 370 del codice di procedura civile …. » (punto 101).
4.1 Su tali basi, si deve ritenere, in una lettura evolutiva dell’art. 369 c.p.c., che la possibilità di accedere al provvedimento impugnato in via immediata attraverso la consultazione del fascicolo telematico in essere presso la S.C. impedisca la pronuncia di improcedibilità.
4.2 Non vi è dubbio che al fondo della regola procedurale stia l’esigenza di consentire una preliminare verifica della tempestività dell’atto d’impugnazione e la fondatezza dei suoi motivi.
Tuttavia, una tale esigenza si manifesta non immediatamente, ma solo quando, dopo il deposito del ricorso e la scadenza dei termini per il deposito del controricorso, il fascicolo è pronto per la trattazione in concreto da parte della S.C. (v. ancora Corte EDU, COGNOME vs. Italia , punto 101, cit.).
Prima di allora, l’assenza in atti del provvedimento impugnato è priva di rilievo e, dunque, il riconnettere la sanzione dell’improcedibilità al solo fatto che sia superato il termine di venti giorni di cui all’art. 369, co. 1 c.p.c., sarebbe conseguenza
palesemente sproporzionata ed ingiustificata, stante l’assenza di pregiudizio alla funzionalità del processo di cassazione.
La fase introduttiva del processo di cassazione, anche per effetto RAGIONE_SOCIALE recenti riforme, va in realtà apprezzata nella sua interezza che comporta i depositi a cura del ricorrente, l’acquisizione officiosa del fascicolo del grado precedente a cura della cancelleria e le difese dell’altra parte attraverso il controricorso ed eventuale ricorso incidentale.
In questa logica, va ribadita -adeguandone gli effetti alle novità normative ed alle precisazioni di principio provenienti dalla Corte EDU – la regola di fondo di cui a Cass., S.U., 10648/2017 cit.
Non si tratta del resto di ragionare nel senso di una sanatoria di un vizio già radicatosi nel processo, ma dell’impossibilità di ravvisare una causa di improcedibilità se, a fronte del normale svolgersi secondo il rito degli incombenti di parte ed officiosi, il materiale documentale acquisito al fascicolo presso la S.C. sia nel suo insieme tale da integrare i dati conoscitivi necessari e concernenti il provvedimento impugnato.
L’adeguamento interpretativo è in ultima analisi effetto di quello cui dette corso già Cass., S.U., n. 25513/2016 cit. -alla quale risale il primo moto evolutivo poi ripreso da Cass., S.U., 10648/2017, cit. -nel momento in cui in quel primo arresto si pose l’accento sulla « differenza fisiologica » destinata a determinarsi nel momento in cui il contesto si caratterizzi per ritrovarsi quanto necessario alla procedibilità del giudizio di cassazione già all’interno del fascicolo d’ufficio la cui acquisizione, ora, ha corso parimenti d’ufficio.
Il principio di cui a Cass., S.U. 10648/2017 cit., è dunque da riproporre, soltanto adeguandone la formulazione, in ragione del fatto che in ambiente telematico l’acquisizione del provvedimento avviene d’ufficio, quale conseguenza dell’acquisizione del fascicolo informatico.
4.3 Va del resto rilevato che, pur se con le recenti riforme, l’art. 369 c.p.c. non è stato in questa parte espressamente abrogato.
Vi è allora da chiedersi se si debba ritenere che in sostanza vi sia stata abrogazione implicita dell’art. 369, co. 1 e co. 2 n. 2, c.p.c., con riferimento al deposito del provvedimento impugnato, per incompatibilità rispetto al sistema complessivamente sopravvenuto.
In realtà, deve ritenersi che, almeno fino a quando la norma resti nella sua attuale formulazione testuale, essa mantenga uno spazio applicativo.
Infatti, tenuto conto dei menzionati principi e degli interessi in gioco, deve ritenersi che l’improcedibilità sancita dalla norma per quanto attiene al deposito della sentenza impugnata continui ad operare anche nell’ambito del processo telematico, ma nel solo caso in cui, per qualsiasi ragione, il provvedimento non sia stato ancora acquisito, per produzione della controparte o presenza nel fascicolo d’ufficio quale pervenuto con i mezzi telematici, nel momento in cui si ultima la fase introduttiva del giudizio di cassazione.
In tal caso, infatti, si determina il vulnus alla regolare conduzione del processo di cassazione che può giustificare, anche secondo le valutazioni della Corte EDU sopra riportate, la sanzione processuale.
Ciò tra l’altro oltre ad assicurare un significato alla persistente sussistenza della previsione -comporta il mantenimento di un potenziale rischio per la parte ricorrente che non ottemperi al disposto normativo, il che evita la altrimenti possibile conseguenza di un disinteresse rispetto alla richiesta produzione della sentenza impugnata -che è invece in sé pienamente logica, in un contesto impugnatorio, trattandosi del provvedimento di cui si deve andare a discutere.
In sostanza la conclusione è da aversi nel senso che l’improcedibilità ai sensi dell’art. 369, co. 1 e co. 2 n. 2, c.p.c. può
essere dichiarata solo se, in esito all’ultimazione della fase introduttiva del giudizio di cassazione e quindi dopo lo spirare dei termini per il deposito del controricorso sia in concreto mancante, nonostante l’acquisizione officiosa del fascicolo d’ufficio o i depositi degli atti a cura RAGIONE_SOCIALE parti, la copia della sentenza o del provvedimento impugnato.
Nel caso di specie l’originale telematico della sentenza impugnata è stato trasmesso in una con il fascicolo d’ufficio ed è visibile nell’applicativo Desk in uso presso questa S.C.
Neppure risulta, anche tenuto conto che fisiologicamente il cancelliere deve provvedere con immediatezza alla richiesta di invio telematico, che il provvedimento impugnato non sia entrato nel fascicolo d’ufficio presso la S.C. in tempi postumi.
La relata di notifica della medesima sentenza è invece stata depositata ab origine dal ricorrente.
Tutto ciò comporta che il ricorso non può essere dichiarato improcedibile.
Deve quindi darsi corso alla disamina del merito.
Il primo motivo del ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.) consistente nella mancata formalizzazione del diniego al rimborso da parte del RAGIONE_SOCIALE e nella mancata espressione del parere dell’Avvocatura Generale dello Stato di cui all’art. 18 del d.l. n. 67 del 1997, come conv. in legge n. 135 del 1997.
Il motivo rimarca come nella memoria di costituzione in appello fosse stato rilevato che, in esito alla richiesta della parte, né la RAGIONE_SOCIALEARAGIONE_SOCIALE, né l’Avvocatura Generale dello Stato avevano eccepito e o contestato alcunché, sia sull’ an sia sul quantum .
La Corte territoriale non aveva tuttavia esaminato e scrutinato tale profilo preliminare, con il quale si era sostenuto che la PRAGIONE_SOCIALE. era decaduta da qualsiasi generica, strumentale e postuma contestazione espressa solo in limine litis .
8.1 Il motivo va disatteso.
Sia a voler inquadrare l’ipotesi come omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.), sia a volerla più propriamente valutare, previa riqualificazione, come denuncia di omessa pronuncia su eccezione o su un profilo di domanda (art. 112 c.p.c.), l’accoglimento della censura presupporrebbe il ricorrere di una fondatezza giuridica dell’assunto propugnato, nell’un caso (art. 360 n. 5 c.p.c.) per delineare la decisività del fatto di cui si assume l’omesso esame, nell’altro caso (art. 112 c.p.c.) per ragioni di economia processuale, che escludono l’accoglibilità della censura in ordine alla mancanza di motivazione su questione di diritto, ai fini della cassazione della sentenza (Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663; Cass., S.U., 2 febbraio 2017, n. 2731), tutto riducendosi semmai ad un’integrazione o correzione della motivazione.
In effetti, la mancata risposta in sede stragiudiziale alle richieste del ricorrente non ha alcun rilievo sostanziale.
Il silenzio infatti non comporta, se non sia espressamente previsto, il sorgere di una fattispecie negoziale o provvedimentale ed il ricorrente neanche adombra su quale presupposto giuridico -tenuto anche conto che si tratta di questione puramente patrimoniale, munita della caratura piena del diritto soggettivo (diritto di credito, come si indica nella memoria) e non certo di una richiesta di intervento provvedimentale amministrativo -dal mancato riscontro alla richiesta si sarebbe dovuto ritenere il sorgere del suo diritto, perché nell’art. 18 di cui è menzione nel motivo nulla è previsto in tal senso.
9. Il secondo motivo adduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, co. 1, del d.l. n. 67 del 1997, come conv. in legge n. 135 del 1997 ed error in iudicando sui presupposti sostanziali del diritto al rimborso.
Secondo il ricorrente, la norma richiederebbe solo due presupposti per il riconoscimento del diritto, ovverosia l’assoluzione del
dipendente con formula piena e la sussistenza di un nesso tra i fatti addebitati e l’espletamento del servizio e o l’assolvimento degli obblighi istituzionali.
La censura evidenza come parte offesa nel procedimento penale fosse il superiore gerarchico del ricorrente e non la P.A. e con essa si sostiene che vi era connessione rispetto all’attività di servizio, perché i reati limitari infondatamente ascritti erano « posti a tutela, funzionalità ed efficienza di servizi militari determinati » ed il ricorrente era stato oggetto di un ordine di servizio « contrario ed illegittimo ».
La norma andava poi intesa come riguardante la protezione non solo della PRAGIONE_SOCIALE, ma anche dei dipendenti da arbitrari, prevaricatori ed illegittimi comportamenti di altri dipendenti e dunque una lettura costituzionalmente orientata avrebbe imposto di riconoscere il diritto rivendicato.
In via subordinata, sul tema, il ricorrente ha sollecitato la proposizione di questione di legittimità costituzionale della norma, se intesa nel senso di cui alla sentenza impugnata. Egli evidenza l’esborso economico che è determinato dall’ingiusta accusa penale, richiama la legge n. 178 del 2020 che ha introdotto nell’ordinamento processuale penale il principio del rimborso RAGIONE_SOCIALE spese da parte dello Stato a tutti gli imputati assolti, evidenzia come il diritto alla difesa sia inviolabile (art. 24 Cost. e 6 C.E.D.U.) e sostiene che il rimborso RAGIONE_SOCIALE spese legale sarebbe espressione del principio solidaristico (art. 2 Cost.), strettamente connesso alla centralità della dignità umana e dunque tale da imporre di rimuovere gli ostacoli di ordine eco0nomico e sociale che limitano di fatto l’uguaglianza RAGIONE_SOCIALE persone (art. 3 Cost.), senza contare la presunzione di non colpevolezza eo innocenza, di cui agli artt. 27, co. 2, Cost. e 6, co. e 2, C.E.D.U.
10. Il motivo è infondato.
11. La norma dell’art. 18 d.l. n. 67 del 1997 conv. con mod. in l. n. 135 del 1997, che regola la fattispecie prevede, nella parte di interesse, che « le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato ».
12. La connessione con il ‘servizio’ e gli ‘obblighi istituzionali’ è concetto diverso dal mero verificarsi dei fatti da cui le spese sono derivate in occasione del servizio.
Ciò stato già chiarito da questa S.C., con indirizzo cui va data continuità, secondo cui « il contributo da parte della P.A. alle spese per la difesa del proprio dipendente, imputato in un procedimento penale, presuppone l’esistenza di uno specifico interesse, ravvisabile ove l’attività sia imputabile alla P.A. – e, dunque, si ponga in diretta connessione con il fine pubblico – e sussista un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere ed il compimento dell’atto, atteso che il diritto al rimborso costituisce manifestazione di un principio generale di difesa volto, da un lato, a tutelare l’interesse personale del dipendente coinvolto nel giudizio nonché l’immagine della P.A. per cui lo stesso abbia agito, e, dall’altro, a riferire al titolare dell’interesse sostanziale le conseguenze dell’operato di chi agisce per suo conto » (Cass. 6 agosto 2018, n. 20561; Cass. 5 febbraio 2016, n. 20561).
Quanto così ritenuto è già idoneo a delineare la fattispecie, ma ad un ragionamento più approfondito può anche dirsi che sia corretto anche quanto dice la Corte territoriale nel richiamare l’assenza di conflitto di interessi.
Un tale requisito non è esplicitato dalla norma che rileva (a differenza di quanto accade in altri settori: si vedano ad esempio il CCNL Funzioni Locali, art. 24, comma 3, CCNL 16.07.2024 e il CCNL comparto Regioni-Enti Locali, art. 59, CCNL 16.11.2022), ma è implicito nel nesso di strumentalità che richiede, per ricorrere, la comunanza ultima dell’interesse che sta alla base dell’agire del dipendente e la P.A. e che è in radice esclusa, data l’autonomia RAGIONE_SOCIALE situazioni, se quello che viene in evidenza è un comportamento personale del dipendente tenuto in occasione del rapporto di lavoro.
Nel caso di specie la Corte d’Appello ha già accertato che « l’ipotesi accusatoria non aveva un collegamento con i compiti d’ufficio ».
Si tratta di accertamento in fatto che non può essere messo in discussione dal motivo in esame, formulato sul piano del diritto sostanziale, e peraltro in sé di evidenza, visto che le accuse riguardavano comportamenti del dipendente (omessa presentazione in servizio; allontanamento illecito aggravato; insubordinazione con ingiuria) nell’ambito della prestazione di servizio e non un agire all’esterno, o comunque verso terzi, nell’interesse della PRAGIONE_SOCIALE.
12.1 L’ipotesi dell’incostituzionalità è poi del tutto infondata.
La norma disciplina, come obbligo contrattuale o comunque derivante dal rapporto di servizio, l’essersi il dipendente esposto ad un rischio processuale per avere agito nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE.
Ciò non ha nulla a che vedere con il fatto che in occasione del rapporto di lavoro sorgano addebiti disciplinari o penali per i comportamenti tenuti dal dipendente all’interno dell’Amministrazione.
Il caso è dunque del tutto estraneo alla fattispecie e ciò esclude anche si possa ragionare in termini di principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), sotto il profilo della disparità di trattamento, perché appunto la fattispecie della norma è quella della tutela di chi si sia
dovuto difendere in giudizio per avere agito nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE e non riguarda il diverso caso dei comportamenti personali del dipendente, tenuti in occasione del servizio, da cui siano derivati addebiti e conseguenti costi legali di difesa, spettando in ipotesi al legislatore -ove mai lo ritenesse -di apprestare specifiche tutele anche per quest’ultimo caso, ove il lavoratore risulta infine esente da responsabilità.
D’altra parte -al di là dei casi in cui l’ipotetica infondata azione della P.A. trovi regolazione nella condanna alle spese interna allo specifico processo – in presenza di un danno ingiusto, non è poi mai esclusa la possibilità dell’interessato di reagire contro chi, collega, superiore o P.A., lo abbia cagionato, se si possa dimostrare un nesso causale certo tra tali comportamenti ed i costi indebitamente procurati.
Il diritto al rimborso non può del resto essere riportato al diritto di difesa, che è il diritto a contrapporre le proprie ragioni in giudizio a chi -in ambito penale, civile o amministrativo -evochi una responsabilità e che non è per nulla escluso dal fatto che si possa contare o meno su eventuali rimborsi ex post . Analogo ragionamento vale poi rispetto alla presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27, co. 2, Cost., che nulla ha a che vedere con il rimborso RAGIONE_SOCIALE spese sostenute dal dipendente per difendersi.
Né si può parlare di diritto afferente alla dignità umana (art. 2 Cost.), avendo esso caratura essenzialmente di ristoro economico.
Così come è fuori luogo il richiamo, nei riguardi del datore di lavoro, di principi recentemente introdotti (art. 1, co. 1015 della legge n. 178 del 2020) al fine di consentire recuperi -ma nei confronti dello Stato e non della P.A. che sia in qualche modo interessata all’accaduto come datore di lavoro per chi risulti assolto in sede penale: istituto completamente diverso e privo di rilievo nel caso di specie.
13. Il terzo motivo adduce infine la violazione dell’art. 91 e 417 -bis c.p.c. e dell’art. 152 disp. att. c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) ed errata riliquidazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di primo grado in favore della RAGIONE_SOCIALE. senza applicare la riduzione del 20 %.
Secondo il ricorrente, applicando il D.M. n. 55/2014 nel testo vigente nei valori tariffari medi diminuiti della metà attesa la non complessità della questione trattata e con esclusione della fase istruttoria, con successiva riduzione del 20 % ai sensi dell’art. 152 -bis cit., si sarebbe ottenuta la somma di euro 3.513,00, inferiore rispetto all’importo di euro 4.000,00 liquidato, per il primo grado, dalla Corte territoriale.
13.1 Il motivo è inammissibile.
13.2 Va premesso il principio per cui in tema di liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese processuali ai sensi del d.m. n. 55 del 2014, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo, non è soggetto a sindacato di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo necessario, in tal caso, che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di questo (Cass. 13 luglio 2021, n. 19989; ora anche, più ampiamente, Cass. 16 maggio 2025, n. 13057).
Il ricalcolo eseguito dal ricorrente sulla base degli importi medi e di una ritenuta non particolare complessità della causa attiene dunque al merito insindacabile della valutazione giudiziale ed il ricorrente neanche adduce che siano stati superati i massimi di tariffa, pur considerando la riduzione del 20 % e ciò già sarebbe sufficiente.
Ma in concreto, tenuto conto dei valori di causa (da 26 mila a 52 mila euro) è di assoluta evidenza che anche escludendo la fase istruttoria e applicando poi la riduzione del 20% non vi è alcun superamento dei massimi tariffari, che risultano di importo ampiamente superiore.
Il ricorso per cassazione va dunque rigettato e le spese seguono la soccombenza, cui va aggiunto il raddoppio ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, nei sensi di cui al dispositivo.
Non si dà invece luogo alle ulteriori condanne di cui all’art. 380 -bis , u.c., c.p.c., in quanto le ragioni del decidere divergono da quelle che furono poste a fondamento della proposta di definizione accelerata e dunque non è integrata la fattispecie normativa.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 -bis , se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15.10.2025.
La Presidente NOME COGNOME