Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. L Num. 1321 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1321 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2024
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso n. 19396/2018 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’ Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso di lui in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE, in persona del Ministro p.t. , rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliato presso di questa in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Roma, n. 1441/2018, pubblicata il 23 aprile 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME con ricorso depositato presso il Tribunale di Roma, ha esposto che era stato convenuto dalla Procura Regionale della Corte dei conti della Campania innanzi alla sezione giurisdizionale della stessa Corte dei conti per rispondere dell’erogazione, quale Commissario ad acta , di contributi previsti dalla legge n. 267 del 1998 (c.d. Legge Sarno) e che era stato assolto da ogni accusa.
Egli ha domandato, quindi, il rimborso delle spese sostenute in tale giudizio.
Il Tribunale di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 2355/2015, ha accolto il ricorso.
Il Ministero delle Politiche agricole ha proposto appello che la Corte d’appello di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1441/2018, ha accolto.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.
Il Ministero delle Politiche agricole ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) La controversia.
Nel presente procedimento risulta che NOME COGNOME era stato sottoposto ad un giudizio contabile, in una vicenda concernente atti da lui compiuti nella qualità di Commissario ad acta per l’erogazione dei contributi previsti dalla legge n. 267 del 1998, davanti alla Corte dei conti della Regione Campania, la cui prima sezione giurisdizionale, con sentenza n. 600 del 29 aprile 2013,
lo aveva assolto da responsabilità per danno erariale, disponendo la compensazione delle spese di lite in quanto la condotta del dipendente era stata ritenuta ‘non immune da censure’ .
In ragione di tale compensazione NOME COGNOME aveva chiesto alla P.A. interessata il rimborso delle spese sostenute per la sua difesa, ricevendo, però, un rifiuto, contro il quale aveva proposto ricorso davanti al Tribunale di Roma, che aveva accolto la sua domanda volta ad ottenere tale rimborso.
NOME COGNOME dopo che la Corte d’appello di Roma ha riformato la decisione di primo grado negando il suo diritto al pagamento delle somme pretese, ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo.
Con questo egli ha contestato la sentenza impugnata perché la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere non più sussistente il diritto del dipendente statale di ottenere il rimborso degli esborsi sostenuti in un giudizio presso la Corte dei conti, all’esito del quale era stato completamente assolto, direttamente dalla P.A. di appartenenza in via extragiudiziale.
Il ricorrente ha criticato, in particolare, il riferimento fatto dalla Corte d’appello di Roma alla sentenza della IV Sezione della Corte di cassazione n. 19195 del 19 agosto 2013.
Inoltre, il giudice di appello non avrebbe valutato il costante riconoscimento, ad opera delle Sezioni Unite della S.C., della giurisdizione ordinaria in tema di controversie fra pubblico dipendente e P.A. in ordine al menzionato rimborso. Siffatto riconoscimento si ricollegherebbe alla necessaria distinzione esistente fra il rapporto di immedesimazione organica esistente fra il citato dipendente e la P.A., che giustificherebbe tale rimborso, e la vicenda processuale, le spese della quale dovrebbero essere liquidate dalla Corte dei conti ex art. 91 c.p.c. Proprio detta distinzione spiegherebbe la previsione del parere obbligatorio dell’Avvocatura dello Stato.
2) L’oggetto del contendere.
Il punto focale oggetto di lite attiene all’esistenza o meno di un diritto del dipendente pubblico, che sia stato prosciolto all’esito di un giudizio contabile, ad ottenere il rimborso, da parte della P.A. di appartenenza, di tutte le spese legali da lui sostenute per la difesa, eventualmente anche in eccesso rispetto a quelle liquidate a carico della stessa P.A. dalla Corte dei conti e pure in presenza di una formale e motivata pronuncia di compensazione delle spese di lite.
A rendere degna di rilievo la questione è la successione in materia di interventi normativi difficile da interpretare e coordinare fra loro nonché la presenza di un contrasto giurisprudenziale fra due Sezioni di questa Suprema Corte.
2.1) La normativa rilevante in materia.
Innanzitutto, per ciò che qui interessa, occorre menzionare l’art. 3, comma 2 bis , del d.l. n. 543 del 1996 conv., con modif., dalla legge n. 639 del 1996, il quale ha previsto che:
‹‹ In caso di definitivo proscioglimento ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell’art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificato dal comma 1 del presente articolo, le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei Conti sono rimborsate dall’amministrazione di appartenenza ››.
In seguito, l’art. 18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997, conv., con modif ., dalla legge n. 135 del 1997, ha disposto che:
‹‹ Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l’Avvoca tura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso,
salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità ››.
Pertanto, le spese legali in questione devono essere rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura di Stato. L’Avvocatura dello Stato deve essere sentita pure quando le dette amministrazioni vogliano concedere anticipazioni al rimborso, salvo la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità.
È intervenuto, poi, l’art. 10 bis , comma 10, del d.l. n. 203 del 2005, conv. dalla legge n. 248 del 2005, d’interpretazione autentica, che così recita:
‹‹ Le disposizioni dell’art. 3, comma 2 -bis, del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639 e dell’art. 18, comma 1, del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 del codice di procedura civile, liquida l’ammontare degli onor ari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza ›› .
La norma è stata integrata dall’art. 17, comma 30 quinquies, del d.l. n. 78 del 2009, conv. dalla legge n. 102 del 2009, il quale ha prescritto che :
All’art. 10 -bis, comma 10, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, dopo le parole: ‘procedura civile’, sono inserite le seguenti: ‘non può disporre la compensazione delle spese del gi udizio’ ›› .
Potrebbe non trovare applicazione, invece, nella specie, l’art. 31, comma 2, d.lgs. n. 174 del 2016, c.d. codice di giustizia contabile, intitolato regolazione delle spese processuali.
Tale disposizione, infatti, è entrata in vigore il 7 ottobre 2016; il giudizio contabile che ha visto coinvolto NOME COGNOME si è concluso, invece, con
sentenza della Corte dei conti della Regione Campania, prima sezione giurisdizionale, n. 600 del 29 aprile 2013.
In ogni caso, l’art. 31, comma 2, citato recita che:
‹‹ Con la sentenza che esclude definitivamente la responsabilità amministrativa per accertata insussistenza del danno, ovvero, della violazione di obblighi di servizio, del nesso di causalità, del dolo o della colpa grave, il giudice non può disporre la compensazione delle spese del giudizio e liquida, a carico dell’amministrazione di appartenenza, l’ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa ››.
Con il c.d. codice di giustizia contabile, quindi, è prescritto espressamente che le spese legali in questione (per l’esattezza, ‘ l’ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa ‘) sono liquidate dal giudice contabile a carico dell’amministrazione di appartenenza, mentre è eliminato ogni riferimento al parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato.
Ovviamente, il citato art. 31, comma 2, potrebbe divenire rilevante ove fosse considerato meramente esplicativo di principi già presenti nell’ordinamento .
2.2) La giurisprudenza in materia.
In tema di rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente pubblico sottoposto a giudizio davanti alla Corte dei conti che sia stato prosciolto sussiste un contrasto fra la Sezione II e la Sezione IV della S.C.
Il precedente più recente in materia è rappresentato dalla sentenza della II Sezione civile n. 18046 del 6 giugno 2022, la quale ha espresso il principio così massimato:
‹‹ La domanda di rimborso delle spese legali sostenute dai soggetti sottoposti a giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti e risultati prosciolti nel merito, non è riservata alla giurisdizione contabile e non si esaurisce con la liquidazione delle spese adottata dalla Corte dei conti, avendo la parte diritto all’intero esborso sostenuto; ne consegue che al sindaco, sottoposto al giudizio contabile e definitivamente prosciolto, spetta
il rimborso, da parte dell’amministrazione di appartenenza, delle somme versate al difensore in eccedenza rispetto a quanto liquidato nel giudizio contabile, ai sensi dell’art. 3, comma 2 bis del d.l. n. 543 del 1996, come convertito nella l. n. 639 del 1996, il quale opera a vantaggio di tutti i soggetti sottoposti a controllo contabile, inclusi gli amministratori e i sindaci degli enti locali ›› .
Questa sentenza valorizza il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa S.C., per il quale la domanda di rimborso delle spese che eccedono quelle liquidate dalla Corte dei conti è devoluta al giudice ordinario: il rapporto sostanziale che si instaura tra l’incolpato e l’ amministrazione di appartenenza è distinto da quello che ha per oggetto le spese regolate nel giudizio di responsabilità contabile, poiché il primo corre tra soggetti diversi da quelli del giudizio contabile (da una parte, gli inc olpati; dall’altra la loro amministrazione di appartenenza) e siccome la decisione resa su di esso non investe il giudizio di responsabilità attribuito alla giurisdizione della Corte dei conti. Al riguardo, cita le sentenze delle Sezioni Unite della S.C. n. 17014 del 12 novembre 2003, n. 6996 del 24 marzo 2010, n. 5918 del 14 marzo 2011 e n. 3887 del 24 marzo 2010 e della Corte costituzionale n. 189 del 31 luglio 2020. Mentre nel giudizio contabile la pronuncia sulle spese avrebbe carattere processuale e si fonderebbe sul principio per cui è il giudice della causa a dovere regolare le spese in base all’esito della lite (con la particolarità che dette spese sono poste a carico dell’amministrazione cui appartiene l’incolpato anche quando il danno riguardi un i nteresse facente capo ad una diversa amministrazione), la norma riconoscerebbe un diritto di natura sostanziale rispetto al quale la sentenza di assoluzione opererebbe come mero presupposto di fatto.
L’importo sarebbe -in tal caso -liquidato con atto dalla stessa amministrazione, sentita l’Avvocatura dello Stato, che ne valuterebbe la congruità. Avverso tale liquidazione sarebbe ammesso ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria.
Pertanto, la domanda di rimborso non sarebbe riservata alla giurisdizione contabile e non si esaurirebbe con la liquidazione delle spese adottata dalla Corte dei conti, avendo la parte diritto all’intero esborso sostenuto, con azione esperibile per l’ecc edenza – dinanzi al giudice ordinario, come affermato pure dalla sentenza della Sezione III del Consiglio di Stato n. 3779 del 28 luglio 2017, che motiva la sua conclusione sulla base della considerazione per la quale ‘ Diversamente opinando, si ammetterebbe, infatti, che il diritto al rimborso delle spese sopportate che, come già detto, trova la sua origine nell’autonomo rapporto di natura sostanziale intercorrente tra Amministrazione e dipendente, possa essere irrimediabilmente e, eventualmente, anche ingiustificatamente condizionato e compromesso dalle statuizioni del giudice contabile, come per esempio attraverso la liquidazione di un importo meramente simbolico e comunque inferiore rispetto all’effettivo esborso congruamente determinato (…) o addirittura l’eventuale compensazione delle spese (…), il che sarebbe senz’altro incompatibile con il principio della necessaria effettività del rimborso sopra affermato, considerato altresì il dovere dell’assistito al pagamento delle spese legali in favore del proprio difensore in base alla tariffa forense’ .
L’art. 3, comma 2 bis , del d.l. n. 543 del 1996 esprimerebbe, allora, un principio coerente con la più ampia scelta normativa indirizzata a limitare la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica e a predisporre, nei confronti degli amministratori e dei dipendenti pubblici, un assetto normativo in cui il timore delle responsabilità non esponga all’eventualità di rallentamenti ed inerzie nello svolgimento dell’attività amministrativa, sta bilendo quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo e non di disincentivo.
b) Un precedente più risalente di questa stessa IV sezione civile della S.C. è orientato, invece, in senso opposto.
Si tratta della sentenza n. 19195 del 19 agosto 2013, così massimata:
‹‹Dopo l’entrata in vigore dell’art. 10 bis , comma decimo, del d.l. 30 settembre 2005 n. 203, conv. in legge 2 dicembre 2005, n. 248, in caso di proscioglimento nel merito del convenuto in giudizio per responsabilità amministrativo-contabile innanzi alla Corte dei conti, spetta esclusivamente a detto giudice, con la sentenza che definisce il giudizio, liquidare – ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 cod. proc. civ. ed a carico dell’amministrazione di appartenenza -l’ammontare delle spese di difesa del prosciolto, senza successiva possibilità per quest’ultimo di chiedere in separata sede, all’a mministrazione medesima, la liquidazione di dette spese, neppure in via integrativa della liquidazione operata dal giudice contabile. Tale principio si applica anche in ipotesi di compensazione delle spese disposta dal giudice contabile nel vigore del testo del cit. art. 10 bis , comma decimo, d.l. n. 203 del 2005, anteriormente alla novella di cui all’art. 17, comma 30 quinquies, del d.l. 1° luglio 2009, n. 78, conv. in legge 3 agosto 2009, n. 102 ›› .
Quest’ultima sentenza, innanzitutto, non riguarda le ipotesi di omessa pronuncia sulle spese della Corte dei conti pur in presenza di un proscioglimento nel merito né quelle di traslazione convenzionale, tramite contrattazione collettiva, a carico della P. A. di appartenenza dell’onere economico delle spese del dipendente prosciolto nel merito e non liquidate o liquidate in maniera incongrua dal giudice contabile (situazione nella specie non dedotta).
La decisione in commento parte dal presupposto che l’art. 10 bis , comma 10, d.l. n. 203 del 2005, prevede una condanna alle spese della P.A. di appartenenza e non una semplice liquidazione insuscettibile di formare titolo esecutivo, come si ricaverebbe dal richiamo all’art. 91 c.p.c. Tale condanna, però, non potrebbe non essere emessa nei confronti di una parte del processo, con l’effetto che questa dovrebbe essere la qualifica della P.A. di
appartenenza. Per suffragare quest’affermazione, la sentenza n. 19195 del 19 agosto 2013 ipotizza che la detta P.A. sia rappresentata ex lege da un sostituto processuale ex art. 81 c.p.c., ossia dal Procuratore contabile
Questa giurisprudenza mette in luce che la scelta del legislatore di rimettere al giudice contabile il governo delle spese è finalizzata proprio ad un maggior controllo della spesa pubblica per evitare abusi causati da rimborsi eccessivi concessi dalle amministrazioni interessate ed il proliferare di giudizi civili ove detti rimborsi siano negati, che porterebbero ad un contrasto fra giudicato contabile e civile sul regime delle spese.
In senso contrario all’esistenza di un sistema di rimborso sia giudiziale sia extragiudiziale militerebbe anche la tecnica legislativa utilizzata, consistita nell’interpretare, tramite l’art. 10 bis , comma 10, del d.l. n. 203 del 2005, conv. dalla legge n. 248 del 2005, proprio le due disposizioni sul rimborso extragiudiziale, ossia l’art. 3, comma 2 bis , del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, conv., con modif., dalla legge n. 639 del 1996 e l’art. 18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997, conv., con modif., dalla legge n. 135 del 1997.
In quest’ottica andrebbe intesa anche la previsione del divieto di compensazione delle spese di lite nel giudizio contabile.
Una conclusione differente, invece, contrasterebbe con la costante giurisprudenza di legittimità, secondo la quale il giudice competente per il merito della causa è funzionalmente competente a decidere sull’ an e sul quantum delle relative spese (e sulla correlata responsabilità ex art. 96 c.p.c.: Cass., Sez. 1, n. 5734 del 23 marzo 2004).
La sentenza del 2013 prende posizione pure sulla giurisprudenza delle Sezioni Unite in tema di giurisdizione del giudice civile sulle domande di liquidazione delle spese avanzate dai prosciolti nel merito contro la P.A. di appartenenza (menzionando Cass., SU, n. 17014 del 12 novembre 2003, n. 6996 del 24 marzo 2010, e n. 5918 del 14 marzo 2011) e ne esclude la rilevanza perché, appunto, si sarebbe pronunciata solo sulla giurisdizione.
3) Le questioni problematiche.
La sentenza della IV sezione della Corte di cassazione n. 19195 del 19 agosto 2013 e la sentenza della II Sezione civile n. 18046 del 6 giugno 2022 esprimono due orientamenti del tutto agli antipodi.
Cass., Sez. II, n. 18046 del 6 giugno 2022 ha il pregio di tenere conto della sentenza della Corte costituzionale n. 189 del 31 luglio 2020. Peraltro, non co nsidera che quest’ultima sentenza ha riguardato il rimborso di ‘oneri economici affrontati in fasi procedimentali distinte dal giudizio, ovvero in giudizi definiti per questioni preliminari o pregiudiziali’, concernendo ‘il rimborso delle spese sostenute d ai dipendenti provinciali’ per la difesa ‘nelle fasi preliminari di giudizi civili, penali e contab ili’, nonché ‘nei casi in cui è stata disposta l’archiviazione’.
Inoltre, tale rimborso, ulteriore, almeno così sembra, secondo la Corte costituzionale, rispetto a quello oggetto del contendere, era riconosciuto da una fonte idonea, ossia la legge della Provincia autonoma di Trento n. 3 del 1999.
Peraltro, la sentenza della IV sezione della Corte di cassazione n. 19195 del 19 agosto 2013 già ammetteva che l’onere in questione potesse essere traslato a carico della P.A. di appartenenza dalla contrattazione collettiva.
Cass., Sez. II, n. 18046 del 6 giugno 2022, inoltre, non ha tenuto conto della sopravvenienza dell ‘art. 31, comma 2, d.lgs. n. 174 del 2016, c.d. codice di giustizia contabile, intitolato regolazione delle spese processuali.
Tale disposizione, infatti, è entrata in vigore il 7 ottobre 2016 e, quindi, potrebbe non regolare la fattispecie, ma potrebbe avere una valenza sistematica che trascende i suoi effetti temporali, dovendosi pure tenere conto che, di solito, dopo l’approvazione dell’art. 10 bis , comma 10, del d.l. n. 203 del 2005, conv. dalla legge n. 248 del 2005, la Corte dei conti ha comunque iniziato a condannare alle spese la P.A. di appartenenza. In effetti, significativamente l’art. 10 bis , comma 10, del d.l. n. 203 del 2005, conv. dalla legge n. 248 del 2005 non contiene riferimenti al parere dell’Avvocatura dello Stato, circostanza che ha portato a domandarsi se detto parere sia ancora previsto per la procedura di rimborso e se la sua eventuale
soppressione non rafforzi la ricostruzione per la quale l’importo delle spese del giudizio contabile liquidato definitivamente dalla Corte dei conti sarebbe non più contestabile.
Cass., Sez. II, n. 18046 del 6 giugno 2022, poi, non ha dato risposta in ordine alle considerazioni di Cass., Sez. IV, n. 19195 del 19 agosto 2013 relative alla qualifica di parte della P.A. condannata alle spese e all’esistenza di un principio per il quale vi è una competenza funzionale del giudice del merito quanto alle spese di lite.
In aggiunta a ciò, si sottolinea che non è del tutto chiara la portata della citazione della sentenza della Sezione III del Consiglio di Stato n. 3779 del 28 luglio 2017, in quanto quest’ultima pronuncia sembra subordinare nella sostanza ad un provvedimento amministrativo, pur se assistito da un parere forense, l’efficacia di una sentenza. D’altronde, seguendo il ragionamento del Consiglio di Stato, per il quale, ‘diversamente opinando, si ammetterebbe che il diritto al rimborso delle spese sopportate possa essere irrimediabilmente e, eventualmente, anche ingiustificatamente condizionato e compromesso dalle statuizioni del giudice contabile’, la P.A. dovrebbe essere sempre libera di discostarsi dalla determinazioni giudiziarie in tema di spese, se ritenute ingiuste, e non solo in seguito ai giudizi contabili e, comunque, anche in relazione a questi ultimi, ben potrebbe pretendere di pagare importi inferiori a quelli liquidati dalla Corte dei conti. Queste considerazioni, poi, potrebbero avere spazio se la liquidazione della Corte dei conti non rispettasse i minimi tabellari o se il giudice contabile compensasse le spese di lite nel caso di proscioglimento nel merito nonostante l’espresso divieto di legge (il che, nella specie, è avvenuto), ma potrebbero suscitare meno interesse nelle altre eventualità.
D’altronde, occorre considerare, come correttamente fa Cass., Sez. II, n. 18046 del 6 giugno 2022 che le disposizioni le quali, nei diversi ambiti, riconoscono ai funzionari o ai dipendenti il diritto al rimborso delle spese processuali, comportando dirette ricadute sugli equilibri di finanzia pubblica, sono di stretta interpretazione ed insuscettibili di applicazione analogica in
favore di beneficiari diversi da quelli esplicitamente contemplati: le conclusioni cui giunge la sentenza della II Sezione civile del 2022, però, accolgono una lettura della normativa vigente che amplifica la portata del diritto al rimborso in esame.
La sentenza della IV sezione della Corte di cassazione n. 19195 del 19 agosto 2013, a sua volta, sconta una lettura del ruolo del Procuratore contabile come sostituto processuale ex art. 81 c.p.c.
Indubbiamente, ha buon gioco nell’osservare che le sentenze delle Sezioni Unite sopra menzionate (ossia Cass., SU, n. 17014 del 12 novembre 2003, la quale è, poi, antecedente alle modifiche al sistema in esame avvenute nel 2005, n. 6996 del 24 marzo 2010 e n. 5918 del 14 marzo 2011, che non menziona la riforma della materia del 2005) non hanno incidenza sulla quantificazione del rimborso, in quanto si limitano a stabilire, in maniera ineccepibile, che la giurisdizione in materia di contestazioni concernenti tale rimborso spetta al giudice ordinario nel pubblico impiego contrattualizzato: d’altronde, la citata sentenza della IV sezione della Corte di cassazione n. 19195 del 19 agosto 2013 non esclude sempre a priori che possano essere domandate somme di denaro alla P.A. di appartenenza in conseguenza del proscioglimento avvenuto nel merito del giudizio contabile, quantomeno ove la Corte dei conti ometta ogni pronuncia oppure qualora la traslazione dell’onere sia prevista dalla contrattazione collettiva, il che giustifica il riconoscimento di due rapporti, uno processuale davanti al giudice contabile e uno fra dipendente e P.A.
Inoltre, la sentenza della IV sezione della Corte di cassazione n. 19195 del 19 agosto 2013 potrebbe forse essere letta alla luce delle più recenti pronunce della Corte costituzionale, che potrebbero consentire di dare più peso alle spese sostenute dopo il giudizio contabile o quando questo non arriva al merito.
Così potrebbe, in ipotesi, valorizzarsi il fatto che l’art. 3, comma 2 bis , del d.l. n. 543 del 1996 conv., con modif., dalla legge n. 639 del 1996, e l’art. 18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997, conv., con modif., dalla legge n. 135
del 1997, parlano genericamente di spese legali, mentre l’art. 10 bis , comma 10, del d.l. n. 203 del 2005, conv. dalla legge n. 248 del 2005, d’interpretazione autentica, e l’art. 31, comma 2, d.lgs. n. 174 del 2016, c.d. codice di giustizia contabile, (sopravvenuto alla sentenza del 2013) usano l’espressione onorari e diritti.
Alla luce delle considerazioni che precedono, in particolare dell’esistenza di un totale contrasto fra gli orientamenti giurisprudenziali seguiti dalle Sezioni II e IV della Corte di cassazione, il Collegio ritiene opportuno rimettere all’attenzione delle Sezioni Unite i seguent i quesiti:
‘ se il dipendente pubblico, che sia stato prosciolto all’esito di un giudizio contabile, abbia diritto, ai sensi degli artt. 3, comma 2 bis, del d.l. n. 543 del 1996 conv., con modif., dalla legge n. 639 del 1996, 18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997, conv., con modif., dalla legge n. 135 del 1997 e 10 bis, comma 10, del d.l. n. 203 del 2005, conv. dalla legge n. 248 del 2005, ad ottenere, dalla P.A. di appartenenza, il rimborso di tutte le spese legali da lui sostenute per la difesa, eventualmente anche in eccesso rispetto a quelle liquidate a carico della stessa P.A. dalla Corte dei conti o qualora dette spese siano state integralmente o in parte compensate, e, in caso affermativo, se vi siano dei limiti a tale diritto e se questo sussista ancora dopo l’entrata in vigore del l’art. 31, comma 2, d.lgs. n. 174 del 2016 ‘.
Trattandosi di questione di diritto ‘già decisa in senso difforme dalle sezioni semplici’, ai sensi dell’art. 374 , comma 2, c.p.c., sussistono, ad avviso del Collegio, le condizioni per la rimessione degli atti al Primo Presidente, affinché valuti l’opportunità di assegnare la trattazione e la decisione del ricorso alle Sezioni Unite.
P.Q.M.
La Corte,
dispone la trasmissione del procedimento al Primo Presidente, per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 6