Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8535 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8535 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10490/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME (CF: CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME NOME (CF:CODICE_FISCALE)
–
Ricorrente – contro
COMUNE GIUGLIANO IN CAMPANIA, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE)
-Controricorrente e Ricorrente incidentale –
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di NAPOLI n. 3342/2020 depositata il 24/09/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 16/04/2018, l ‘ Architetto NOME COGNOME convenne dinanzi al Tribunale di Napoli Nord il Comune di Giugliano in Campania (NA), per sentire accertare e dichiarare il
proprio diritto al rimborso delle spese legali sostenute al fine di difendersi nel procedimento penale n. 33319/07 R.G.N.R.- 750/2012 RGE Tribunale Procura di Napoli, instauratosi nei suoi confronti a causa della carica di Sindaco del Comune di Giugliano in Campania da egli rivestita tra la fine dell ‘ anno 2007 e gli inizi dell ‘ anno 2008, spese quantificate in euro 29.765,24 (salvo diversa somma maggiore o minore ritenuta di giustizia), oltre gli interessi e la rivalutazione monetaria.
A sostegno della domanda il COGNOME dedusse: (i) di aver ricoperto la carica di Sindaco del Comune dal mese di maggio del 2003 al mese di aprile del 2008; (ii) che, nel dicembre 2010, riceveva avviso di garanzia relativamente al procedimento penale sopra menzionato, in riferimento al quale gli venivano contestati, in ragione della carica di sindaco del Comune di Giugliano in Campania, il reato di cui agli artt. 30, 2° comma, 452, 1° comma, n. 2 in relazione all ‘ art. 438 c.p., nonché il delitto di cui all ‘ art. 328, 1° comma, c.p., per aver omesso nel periodo di riferimento, data l ‘ emergenza rifiuti, di adottare le ordinanze contingibili e urgenti in caso di emergenze sanitarie e di igiene pubblica, tese a evitare, elidere e contenere pericoli per la salute della cittadinanza; (iii) che, con nota protocollo n. 70517 del 09/12/2010, indirizzata al sindaco pro-tempore di detto Comune, nonché all ‘ Ufficio Legale dello stesso, rendeva prontamente loro edotti circa la notifica dell ‘ avviso di garanzia e della contestuale nomina dell ‘ AVV_NOTAIO del Foro di Napoli, quale proprio difensore di fiducia; (iv) che il Comune non diede mai riscontro a tale comunicazione, non fornendo né parere circa il gradimento del difensore nominato, né provvedendo a nominare un difensore a favore dello stesso, che si era ritrovato a dover affrontare a proprie spese di procedimento penale sopra menzionato; (v) che il procedimento penale in questione, che aveva visto coinvolti 20 imputati per la fase dell ‘ udienza preliminare e 13 imputati per la fase dibattimentale,
aveva avuto una durata complessiva di 8 anni e 6 mesi, all ‘ esito del quale esso ricorrente era stato assolto con formula piena ex art. 530, 1° comma, c.p.p. con sentenza n. 15494/2015 divenuta irrevocabile dal 12/03/2016; (vi) che, al fine di difendersi nel richiamato procedimento penale, aveva corrisposto in favore dell ‘ AVV_NOTAIO la somma di euro 29.765,24 a titolo di compensi professionali, dallo stesso calcolati applicando i parametri medi indicati dal D.M. 55/2014; (viii) che, con nota protocollo Comune di Giugliano n. NUMERO_DOCUMENTO dell ‘ 11/07/2016, richiedeva formalmente al Comune di Giugliano in Campania il rimborso delle predette spese legali; (ix) che il Comune respingeva la richiesta, ritenendo non sussistere il diritto al rimborso spese; (x) che vano era risultato l ‘ invito alla stipula di una convenzione di negoziazione assistita, inviato a mezzo pec in data 27/03/2017.
Il Comune di Giugliano in Campania si costituì eccependo in via preliminare il difetto di giurisdizione dell ‘ A.G.O. in favore del G.A. e deducendo nel merito l ‘ infondatezza della domanda.
Con ordinanza 13/12/2008, il Tribunale di Napoli Nord ha ritenuto insussistente il difetto di giurisdizione dell ‘ A.G.O. e ha rigettato il ricorso, motivando: (i) che, essendo fondata la domanda di rimborso esclusivamente sul rapporto di mandato, resta esclusa ogni indagine sull ‘ applicabilità dell ‘ art. 86, 5° comma, TUEL in ordine sia alla portata della clausola di ‘ invarianza finanziaria ‘ che alla sua applicabilità ai fatti anteriori alla novella di cui all ‘ art. 7 bis l. 125/2015; (ii) che il ricorrente non ha diritto al rimborso ai sensi dell ‘ art. 1720 cod. civ., in quanto tale rimborso riguarda solo le spese sostenute in stretta dipendenza dell ‘ adempimento dei propri obblighi, come confermato dalla formulazione della norma ( ‘ spese a causa dell ‘ incarico ‘ in luogo della precedente dizione ‘ spese in occasione del mandato ‘ ); (iii) che le spese rimborsabili sono solo quelle necessariamente collegate, per loro natura, all ‘ esecuzione dell ‘ incarico conferito.
Avverso tale pronuncia il COGNOME propose gravame dinanzi alla Corte d ‘ appello di Napoli.
Con sentenza n. 33422/2020, depositata in data 01/10/2020, oggetto di ricorso, la Corte d ‘ Appello di Napoli ha rigettato l ‘ appello, e, per l ‘ effetto, ha confermato l ‘ ordinanza del Tribunale di Napoli.
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME propone ricorso affidato a due motivi, cui il Comune di Giugliano in Campania resiste con controricorso contenente ricorso incidentale condizionato.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell ‘ art. 380bis 1 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Violazione e/o falsa applicazione di Legge per avere la Corte di Appello ritenuto non applicabile al caso di specie ed in via analogica la disciplina di cui all ‘ art. 1720 c.c., negando all ‘ odierno ricorrente il diritto al rimborso delle spese di difesa sostenute per difendersi da un ‘ accusa, rivelatasi successivamente infondata (art. 360 comma 1, n.3) ‘ . Il ricorrente si duole di una violazione di legge poiché la Corte territoriale, pur avendo dato atto della ingiustizia sostanziale derivante dalla lacuna normativa, non ha applicato l ‘ art. 1720 c.c. attraverso una interpretazione costituzionalmente orientata al fine di superare la predetta ingiustizia, ovvero in via analogica ai sensi dell ‘ art. 12 preleggi.
Motiva il ricorrente che escludere la rimborsabilità delle spese legali sostenute dagli amministratori dall ‘ ambito di applicazione dell ‘ art. 67 del D.P.R. n. 268/1987 nella sua interpretazione estensiva e, contestualmente, negare il richiamo all ‘ analogia legis per sostenere la rimborsabilità delle spese degli amministratori comunali, con conseguente inapplicabilità della disciplina del mandato, comporterebbe una palese limitazione e mortificazione del principio di sovranità popolare, laddove il cittadino investito del mandato popolare, percepirebbe l ‘ affidamento della funzione
pubblica come un gravoso onere, e non come un onore, nonché una palese violazione del principio di uguaglianza sancito dall ‘ art. 3 della Costituzione.
Sostiene il ricorrente che la difesa in giudizio dell ‘ amministratore di un ente locale (mandatario) non può considerarsi come un momento estraneo e avulso dal contesto nel quale la stessa si inserisce, atteso che il mandato dell ‘ amministratore trova la sua causa in concreto nell ‘ interesse pubblico che lo stesso ha il dovere di conseguire, mentre la pubblica accusa trae origine dalla contestazione che detto mandato è stato espletato non nell ‘ interesse pubblico, bensì per fini egoistici, di conseguenza, la spesa per affrontarla dovrà necessariamente essere indennizzabile, quando il rinvio a giudizio si sia rilevato -come nel caso di specie- infondato ed addirittura non collegato ad un facere , bensì ad uno status .
Pertanto alla luce delle superiori considerazioni, anche in virtù del metodo di auto integrazione previsto dall ‘ art. 12, 2° comma, delle preleggi -norma generale inclusiva, a tenore del quale se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe (c.d. analogia legis ), facendo altresì ricorso, ove il caso rimanga ancora dubbio, ai principi generali dell ‘ ordinamento giuridico dello Stato (c.d. analogia iuris )-, il ricorrente sostiene di avere diritto al rimborso delle spese legali sostenute al fine di difendersi nel procedimento penale n. 33319/07 R.G.N.R.- 750/2012 RGE Tribunale Procura di Napoli, instauratosi nei suoi confronti a causa della carica di Sindaco del summenzionato Ente dallo stesso rivestita tra la fine dell ‘ anno 2007 e gli inizi dell ‘ anno 2008, come documentalmente dimostrato nei precedenti gradi di giudizio (così a p. 10, 2° §, del ricorso).
Inoltre, il ricorrente censura la sentenza gravata laddove ha affermato che la rimborsabilità delle spese sostenute dovrebbe passare inevitabilmente attraverso una valutazione rimessa al
Comune di inesistenza di conflitto di interessi tra l ‘ amministratore e l ‘ Ente stesso, mentre nulla dice circa l ‘ ipotesi, ricorrente nella specie, in cui l ‘ ente semplicemente ometta di pronunciarsi sulla ricorrenza o meno del predetto conflitto di interessi.
La Corte di Appello, nel confermare la sentenza di primo grado, ha affermato: che l ‘ art. 86 comma 5 del TUEL, come modificato dall ‘ art. 7 bis L. 125/2015, recita « Gli enti locali di cui all ‘ articolo 2 del presente testo unico, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, possono assicurare i propri amministratori contro i rischi conseguenti all ‘ espletamento del loro mandato. Il rimborso delle spese legali per gli amministratori locali è ammissibile, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nel limite massimo dei parametri stabiliti dal decreto di cui all ‘ articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, nel caso di conclusione del procedimento con sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione », in presenza dei seguenti requisiti: a) assenza di conflitto di interessi con l ‘ ente amministrato; b) presenza di nesso causale tra funzioni esercitate e fatti giuridicamente rilevanti; c) assenza di dolo o colpa grave.
Prima dell ‘ entrata in vigore della suddetta legge non vi erano specifiche norme che prevedessero l ‘ astratta rimborsabilità, sicché, in linea di principio, non vi erano previsioni di salvaguardia. La deliberazione n. 102/2019/PAR della Corte dei conti della Campania prevede la rimborsabilità astratta anche per vicende giudiziarie concluse prima (2017) della istituzione in bilancio di ‘ un capitolo ad hoc ‘ a condizione del rispetto dei consueti canoni di legalità, imparzialità e buon andamento dell ‘ azione amministrativa, così da evitare anche ogni possibile conflitto di interesse, fermo restando la generale clausola di invarianza finanziaria. In altri termini, a condizione della sussistenza di specifici incombenti da effettuare a cura della pubblica amministrazione, che, ovviamente, non possono essere surrogati dal giudice.
Tuttavia, continua la motivazione, tenuto conto delle clausole suddette e dei limiti del rimborso previsto dalla legge, quasi unanimemente si esclude l ‘ applicabilità della norma a fattispecie, come la presente, iniziate (tra il 2007 e 2008) e definite (2015) prima dell ‘ entrata in vigore della legge suddetta. Pertanto, va esclusa l ‘ applicabilità della normativa sopravvenuta sul rimborso alle fattispecie come quella controversa iniziate e definite prima della entrata in vigore dell ‘ art. 7 bis L. 125/2015, come riconosciuto dallo stesso appellante che ha chiesto il rimborso ai sensi dell ‘ art. 1720 cod. civ.
2.1 Secondo la giurisprudenza di legittimità, l ‘ art. 18 del decreto legge 25/03/1997, n. 67, convertito in l. 23 maggio 1997 n. 135, prevede che le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti atti connessi con l ‘ espletamento del servizio o con l ‘ assolvimento di obblighi istituzionali, e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, siano rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall ‘ Avvocatura dello Stato. Disposizioni similari si rinvengono – oltre che con specifico riguardo ai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei Conti: art. 3 co. 2 bis d.l. 543/96, conv. in l. 639/96; nonché art. 10 bis co.10 dl 203/05 conv. in l. 248/05 – anche nella disciplina degli enti locali (art. 67 d.P.R. 268/87; contrattazione collettiva di comparto).
2.2 Queste disposizioni non sono tuttavia suscettibili di interpretazione analogica, né estensiva, al caso di specie. Non soltanto perché si verte di materia disciplinante, secondo parametri di rigore e tassatività, le modalità ed i presupposti sostanziali di impiego di denaro pubblico, ma anche perché relative ad una fattispecie resa peculiare dalla sussistenza di un rapporto di pubblico impiego, non riscontrabile con riguardo all ‘ amministratore. Nel caso in oggetto, in altri termini, il rimborso viene richiesto con riguardo ad una
situazione obiettivamente differente da quelle disciplinate, perché segnata dall ‘ assenza di un rapporto organico di dipendenza con l ‘ ente. Sicché appare conforme ai criteri interpretativi generali ( ‘ ubi voluit dixit, ubi noluit tacuit ‘ ) ritenere che non si sia qui di fronte, in realtà, ad una vera e propria lacuna normativa suscettibile di essere colmata in via di interpretazione analogica, bensì di una diversa disciplina prevista e voluta come tale dal legislatore. E tale diversa disciplina trova giustificazione proprio nella specificità insita nella mancanza – nel caso dell ‘ assessore comunale – di un rapporto di lavoro dipendente con l ‘ ente locale e, in particolare, nella natura onoraria di tale rapporto (Cass. Sez. Un. n. 478 del 13/01/2006; Cass., n.12645/10; Cass., n. 25690/11).
2.3 Resta da valutare – sgombrato il campo dalla disciplina speciale di riferimento – se un siffatto diritto possa in ipotesi discendere dalla normativa generale del codice civile e, in particolare, dal secondo comma dell ‘ articolo 1720 c.c., in forza del quale il mandante deve risarcire i danni che il mandatario ha subìto a causa dell ‘ incarico. Nemmeno questa strada risulta praticabile. In primo luogo, l ‘ adattamento alla funzione pubblica dell ‘ amministratore di un istituto tipico della sfera di cooperazione giuridica nei rapporti tra privati, qual è il mandato, non può non risultare forzato; il che appare evidente se solo si consideri la radicale incompatibilità con la suddetta funzione pubblica, improntata ad autonomia e responsabilità anche politico-istituzionale, delle tipiche modalità di svolgimento del mandato privatistico (ancorché privo di rappresentanza). E così quanto, tra il resto, agli obblighi del mandatario di attenersi alle direttive del mandante; di comunicargli le circostanze sopravvenute suscettibili di determinare la revoca o la modificazione dell ‘ incarico; di presentare il rendiconto del proprio operato. Sicché, l ‘ affermazione del rimborso a carico dell ‘ amministrazione comunale non potrebbe, nemmeno in tal caso, che muovere da una interpretazione analogica dell ‘ articolo 1720 in
esame. Con conseguente integrale riedizione degli stessi fattori ostativi poc ‘ anzi incontrati, nella disamina della disciplina speciale, in ordine all ‘ esigenza di un rapporto di dipendenza con l ‘ ente nel cui ambito è stata espletata la funzione pubblica.
2.4 In secondo luogo, l ‘ articolo 1720, 2° co., iscrive l ‘ obbligo del mandante nell ‘ ambito di una fattispecie risarcitoria che, per sua natura, richiede che il danno subìto dal mandatario si ponga in rapporto di diretta derivazione causale con l ‘ espletamento dell ‘ incarico. Sul punto va però qui riaffermato il principio in base al quale questo nesso di diretta derivazione causale viene eliso nell ‘ ipotesi di processo penale intentato a carico dell ‘ esponente – dal sopravvenire di un evento esterno, costituito dall ‘ accusa sulla base della quale il processo penale viene instaurato; cosicché il danno trova, nell ‘ espletamento dell ‘ incarico, un ‘ occasione ma non la causa, intesa quale eziologia diretta – del proprio verificarsi. La distinzione ex art.1720, 2° co., c.c. tra rapporto di causa ed occasionalità nella risarcibilità del danno subito dal mandatario – già ritenuta dirimente, nella sua più ampia portata, da Cass., Sez. Un., n. 10680 del 14/12/1994 con riguardo al rapporto tra l ‘ amministratore e la società di capitali, fattispecie peraltro assai più vicina al mandato di quella qui in esame – ha successivamente trovato applicazione proprio con specifico riguardo ad incarichi di natura pubblicistica, quale quello del consigliere comunale. Soggetto al quale non spetta il rimborso delle spese effettuate per difendersi in un processo penale, pur riferito a fatti connessi all ‘ incarico. E ciò non soltanto qualora egli venga riconosciuto colpevole in tale processo, ma anche quando venga prosciolto dall ‘ imputazione, ‘ poiché in tal caso la necessità di effettuare le spese di difesa non si pone in nesso di causalità diretta con l ‘ esecuzione del mandato, ma tra l ‘ uno e l ‘ altro si pone un elemento intermedio, dovuto all ‘ attività di una terza persona, pubblica o privata, e costituito dall ‘ accusa poi rivelatasi infondata ‘ (Cass., n. 8103 del 03/04/2013; in termini, Cass., n. 10052 del
16/04/2008; cfr. altresì Cass., sez. III, sent. 25/09/2014, n. 20193; Cass., sez. III, ord. 08/03/2019, n. 6745; Cass., sez. I, ord. 13/09/2022, n. 26895; Cass., sez. Lav., sent. 01/12/2011, n. 25690).
2.5 La sentenza gravata, come risulta dalla articolata motivazione, si è uniformata a tali principi, motivando che « La sottoposizione ad un processo penale, pur riferito a fatti connessi all ‘ incarico non è ‘ causa ‘ dell ‘ esborso sostenuto per la difesa anche qualora l ‘ amministratore politico venga prosciolto dall ‘ imputazione, ‘ poiché in tal caso la necessità di effettuare le spese di difesa non si pone in nesso di causalità diretta con l ‘ esecuzione del mandato, ma tra l ‘ uno e l ‘ altro si pone un elemento intermedio, dovuto all ‘ attività di una terza persona, pubblica o privata, e costituito dall ‘ accusa poi rivelatasi infondata » (così a p. 7, ultimo §, della sentenza).
2.6 Il motivo in esame non si confronta adeguatamente con la ratio della decisione, nella parte in cui essa esclude, in ogni caso, l ‘ applicazione dell ‘ art. 1720 c.c. per difetto di nesso causale, determinato dall ‘ inserimento dell ‘ attività di un terzo -il P.M.- che ha dato luogo all ‘ avvio del processo e che ha degradato l ‘ esercizio della funzione pubblica da causa a mera occasione del danno.
Tale ratio non risulta intaccata delle censure, che sono pertanto incomplete e dunque -a monte- inammissibili (prima ancora che infondate).
Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., ‘ Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all ‘ art.360 comma 1, n.3,4,e 5, per non avere il Giudice di appello in alcun modo motivato le ragioni per cui ha ritenuto inammissibile la domanda di risarcimento danni avanzata in via subordinata dal ricorrente ‘ , censurando la sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto inammissibile il motivo di appello relativo alla subordinata pretesa di risarcimento dei danni invocata ai sensi dell ‘ art. 1720, 2°
comma, c.c. Il ricorrente espone che il motivo, per quanto sinteticamente formulato nell ‘ atto di appello, era chiaro nella sua portata, e andava letto con il tenore complessivo dell ‘ atto e del motivo principale, essendo esso dipendente dall ‘ accoglimento della tesi dell ‘ applicabilità della disciplina del mandato di cui all ‘ art. 1720 c.c. che, al secondo comma, prevede un ‘ ipotesi di risarcibilità dei danni subiti nell ‘ espletamento del mandato. Ne deduce l ‘ omesso esame di un fatto decisivo ed omessa motivazione, perché la sentenza di appello ha dichiarato la inammissibilità del motivo di impugnativa relativo alla domanda risarcitoria, pur essendo tale motivo chiaro ancorché sintetico.
Il motivo è inammissibile. In violazione del requisito prescritto a pena di inammissibilità dall ‘ art. 366, 1° co., n. 6, c.p.c., il ricorrente omette di riportare nel ricorso il contenuto degli atti e dei documenti del giudizio di merito invocati a sostegno delle mosse censure, in particolare il motivo di appello relativo alla domanda risarcitoria, del quale non risulta nemmeno indicata la sede processuale dove rinvenirlo (Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701). A tale stregua, il ricorrente non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non essendo invero sufficienti affermazioni -come nel caso -del tutto apodittiche (vedi già Cass., 21/8/1997, n. 7851).
Risponde d ‘ altro canto a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che i requisiti di formazione del ricorso vanno sempre ed indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo. Essi rilevano infatti ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (Cass., 6/7/2015, n. 13827;
Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519). Il motivo è pertanto inammissibile.
Il ricorso incidentale condizionato del Comune di Giugliano in Campania è formulato nei seguenti termini: ‘ Ricorso incidentale se del caso condizionato all ‘ accoglimento del ricorso principale 1. Violazione dell ‘ art. 342 cpc (art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c.) ‘ , ritenendo che la Corte territoriale ha violato la norma in epigrafe laddove ha dichiarato ammissibile l ‘ appello del COGNOME, ritenendo tardiva l ‘ eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune per tardività della costituzione. Il motivo in esame deduce che la decisione sul punto è erronea in quanto la inammissibilità per mancanza di specificità dei motivi di appello è rilevabile d ‘ ufficio.
Il motivo è assorbito dalla inammissibilità dei due motivi di ricorso principale.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo in favore del controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, con assorbimento dell ‘ incidentale condizionato.
Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre agli esborsi, liquidati in euro 200,00, al rimborso spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge, in favore del controricorrente Comune Giugliano in Campania.
Ai sensi dell ‘ art. 13, 1° comma, quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 04/03/2024.