Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9096 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9096 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/04/2024
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 12127/2018 R.G. proposto da:
FIRENZE NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMAINDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO GENOVA n. 1314/2017 depositata il 17/10/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
In fatto e in diritto
La Corte di appello di Genova, con sentenza n.1314/207, depositata il 17 ottobre 2017, rigettava l’appello proposto da NOME contro il comune di Carro, confermando la sentenza del Tribunale di Chiavari che aveva rigettato la domanda di rimborso delle spese processuali sostenute in dipendenza del procedimento penale svolto a proprio carico innanzi al tribunale di Chiavari e relativo agli illeciti di cui all’art.51 d.lgs.n.22/1997 commessi, in concorso con il AVV_NOTAIOCOGNOME, responsabile del servizio Ufficio tecnico, all’epoca in cui il COGNOME era Sindaco in relazione all’omesso controllo rispetto alle prescrizioni imposte da una deliberazione provinciale concernente il rinnovo dell’autorizzazione alla gestione dell’impianto di smaltimento rifiuti urbani della discarica comunale di Carro.
La domanda era stata formulata sulla base della delibera della Giunta comunale di Carro di conferimento dell’incarico n.20 del 9.3.2006 all’AVV_NOTAIO. Il Tribunale adito aveva escluso la fondatezza della pretesa in ragione dell’intervenuto giudicato penale e della inestensibilità dell’art.18 l.n.135/1997 agli amministratori pubblici, in tal modo superando le contestazioni del NOME in ordine vuoi alla separazione fra le funzioni di indirizzo politico e quelle gestionali che a dire dello stesso avrebbe giustificato l’esclusiva responsabilità del responsabile tecnico del comune, vuoi all’asserita mancanza di rapporto di mandato tra il NOME e l’AVV_NOTAIO.
La Corte di appello, nel conferma la decisione impugnata, ha osservato che: a) il primo motivo di impugnazione- omessa pronunzia del tribunale sull’instaurazione del rapporto professionale fra comune di Carro e AVV_NOTAIO al quale si riferivano le spese richieste a titolo di rimborsoera infondato in quanto la delibera indicata dall’appellante aveva riguardato l’attivazione della procedura di difesa legale del sindaco e del tecnico comunale con affidamento della difesa all’AVV_NOTAIO ed alla stessa era seguita la delibera del 2012 con la quale si era dato atto dell’esito del processo penale – condanna del NOMEe dell’illiceità dell’esborso da parte del comune delle spese legali per la difesa dell’ex Sindaco. Delibera che, secondo la Corte di appello, era in linea con la giurisprudenza della Corte dei conti e della Cassazione a proposito dell’art.18 d.l.n.67/1997, conv. nella l.n.135/1997, non potendo dunque riconoscersi, in relazione all’intervenuta condanna con sentenza passata in giudicato nel giudizio penale, il diritto al rimborso delle spese legali pagate al difensore del NOME, ancorché fosse stata attivata la
procedura per la difesa del Sindaco; b) anche il secondo motivo di appello era infondato, posto che ai fini della applicabilità dell’art.18 d.l. ult.cit. agli amministratori di enti locali era necessaria oltre alla sentenza di assoluzione in sede penale anche la connessione con i compiti di ufficio oggetto del processo penale e la mancanza di conflitto di interessi con il comune, non potendo ritenersi l’irrilevanza dell’esito del giudizio penale; c) bene aveva fatto il Tribunale nell’escludere la ripetibilità degli esborsi pagati dal NOME al difensore sotto il profilo dell’applicazione dell’art.1720 c.c., non potendo pretendersi il rimborso delle spese sostenute in occasione del rapporto di mandato fra consigliere comunale ed ente comune qualora il primo sia stato condannato, giacché la commissione di un reato non potrebbe rientrare nei limiti di un mandato validamente conferito, nemmeno potendo il giudice civile rimettere in discussione quanto oggetto di accertamento in sede penale ormai divenuto dato incontrovertibile.
Il NOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, al quale ha resistito il comune di Carro con controricorso. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, chiedendo il rigetto del ricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.
La causa è stata posta in decisione all’udienza del 17.1.2024.
Con il primo motivo si prospetta la violazione dell’art.112 cpc, il difetto di motivazione e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, integrato dalla delibera di conferimento di incarico professionale del comune di Carro all’AVV_NOTAIO. La Corte di appello avrebbe omesso di pronunziarsi sulla delibera giuntale anzidetta e sull’instaurazione del rapporto professionale dalla stessa determinato, risultando inconferente l’esistenza di un impegno di spesa; inoltre, la Corte di appello avrebbe altresì omesso di motivare sulla sussistenza della delibera dando luogo ad una motivazione insufficiente e contraddittoria.
Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art.18 d.l.n.6/1997, convertito con modificazioni dalla legge n.135/1997 e dell’art.1720 c.c., nonché il difetto di motivazione e la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato. La Corte di appello avrebbe fondato la decisione su fatti incontestati fra le parti incorrendo, come il primo giudice, nel vizio di ultrapetizione per avere fondato il rigetto dell’appello sulle medesime circostanze non contestate dalle parti in primo grado – riconoscimento del diritto al rimborso delle spese sostenute in occasione del mandato e non a causa dello stesso unicamente ai dipendenti pubblici e non agli amministratori- senza nemmeno attivare il procedimento relativo al rilievo d’ufficio di questione, mai prospettata dalle parti. Assume in particolare che il tema della rimborsabilità delle somme in astratto non sarebbe mai stato contestato dal comune, il quale avrebbe invece posto in discussione la debenza in concreto delle somme pretese dallo stesso ricorrente per l’assenza del rapporto professionale tra il comune e l’AVV_NOTAIO, ciò trovando conferma nelle note di replica in primo grado del comune di Carro. In esse, infatti, sarebbe stata proprio la difesa del detto comune a
chiarire che la distinzione fra amministratori e dipendenti pubblici in ordine al rimborso delle spese ai sensi dell’art.18 d.l.n.67/1997 era di scarsa utilità, riguardando la fattispecie ‘la ripetizione di indebito in favore del AVV_NOTAIO, per avere questi adempiuto ad un’obbligazione del comune, assunta con il conferimento dell’incarico all’AVV_NOTAIO e non la richiesta al comune di contribuire a spese legali da lui sostenute in adempimento di obbligazioni proprie’. Ne conseguirebbe che il giudice di primo grado (e la Corte di appello) avrebbero posto a fondamento della decisione una questione che non costituiva oggetto di contestazione tra le parti fin dal primo grado. In ogni caso la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere infondata la domanda, trattandosi di spese legali comunque ripetibili, dovendosi estendere la disciplina prevista dall’art.18 cit. anche agli amministratori. Sarebbe pertanto inconferente l’intervenuta condanna nel processo penale del ricorrente. Avrebbe poi errato la Corte di appello nel ritenere che solo le spese sostenute a causa del mandato conferito dall’ente pubblico sarebbe oggetto di rimborso e non quella sostenuta in occasione del mandato stesso, riferendosi la giurisprudenza ed il quadro normativo richiamati alla diversa ipotesi di incarico legale conferito ad un difensore di fiducia dell’amministratore e non quello, relativo alla fattispecie, di incarico sorto fra ente pubblico e legale in base a delibera di Giunta comunale al quale era estraneo il ricorrente. Anche la giurisprudenza amministrativa e di questa Corte-Cass.n.27871/2008avrebbe escluso l’automatismo fra la conclusione del giudizio penale con sentenza di assoluzione ed il rimborso delle spese legali, prediligendo una valutazione in concreto della responsabilità del dipendente pubblico interessato.
Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art.97 Cost. e degli artt.107 e 109 del d.lgs.n.267/2000 nonché il difetto di motivazione della sentenza impugnata. La Corte di appello, ritenendo dirimente la circostanza che l’attore aveva riportato condanna penale passata in giudicato, non avrebbe adeguatamente motivato sul punto, tralasciando di considerare che la condanna riportata dal ricorrente avrebbe dovuto essere esaminata ala luce del principio della separazione funzionale fra organi di indirizzo politico e di gestione che la Corte di appello avrebbe integralmente tralasciato di esaminare. Ragion per cui il ricorrente non sarebbe incorso in alcuna responsabilità in ordine alla gestione della discarica, non competendo detta gestione al sindaco, ma al responsabile del servizio – e non anche agli amministratori e andando oltre in relazione all’art.360 c.1 n.3 e 4 c.p.c. La contestazione svolta nel presente giudizio dal ricorrente non sarebbe dunque rivolta al giudizio penale concluso, rivendicando piuttosto l’autonomia decisionale del giudice civile rispetto alla questione del carico delle spese legali sostenute dal ricorrente in relazione ad atti gestionali riservati alla competenza del responsabile dell’ufficio tecnico e non all’organo di indirizzo politico del comune.
Rileva il Collegio che sui temi oggetto della controversia si sono susseguiti indirizzi non sempre convergenti di questa Corte.
In particolare, il diritto dell’amministratore comunale (nella specie sindaco) al pagamento, a carico dell’ente, delle spese per il giudizio
penale, ha costituito oggetto di una giurisprudenza non univoca. E’ certo che, in tema di spese legali sostenute dagli amministratori di enti locali, il diritto al rimborso è stato previsto con la disposizione di cui all’art. 7 bis del d.l. n. 78 del 2015, introdotto dalla legge di conversione n. 125 del 2015, che ha modificato l’art. 86, comma 5, del d.lgs. n. 267 del 2000 e che, in assenza di un’espressa previsione contraria, non ha efficacia retroattiva, applicandosi quindi solo nel caso di fatti costitutivi del diritto verificatisi in epoca successiva all’entrata in vigore della citata legge (Cass. 6745/2019). Norma che nel caso di specie non non si applica, essendosi il processo penale concluso nell’anno 2009.
Orbene, per quanto concerne il regime previgente, applicabile ratione temporis al caso concreto, secondo un primo orientamento, posto che il consigliere comunale è legato all’ente-comune, del quale non sia dipendente, da un rapporto assimilato a quello del funzionario onorario, egli può ottenere, in applicazione analogica dell’art. 1720, secondo comma, cod. civ., soltanto il rimborso delle spese sostenute a causa del proprio incarico, e non semplicemente in occasione del medesimo. Ne consegue che egli non può pretendere il rimborso delle spese effettuate per difendersi in un processo penale iniziato in relazione a fatti pur connessi all’incarico, non solo qualora egli sia stato condannato, giacchè la commissione di un reato non potrebbe rientrare nei limiti di un mandato validamente conferito, ma anche qualora sia stato prosciolto, giacchè in tal caso la necessità di effettuare le spese di difesa non si pone in nesso di causalità diretta con l’esecuzione del mandato, ma tra l’uno e l’altro si pone un elemento intermedio, dovuto all’attività di una terza persona, pubblica o privata, e costituito dall’accusa poi rivelatasi infondata (Cass. 10052/2008; Cass. 8103/2013). Secondo una diversa prospettiva, Il diritto al rimborso delle spese legali relative a giudizi di responsabilità civile, penale o amministrativa a carico di dipendenti di amministrazioni statali o di enti locali per fatti connessi all’espletamento del servizio o comunque all’assolvimento di obblighi istituzionali, conclusi con l’accertamento dell’esclusione della loro responsabilità, non compete all’assessore comunale, non essendo configurabile tra quest’ultimo e l’ente un rapporto di lavoro dipendente, nè potendo trovare applicazione la disciplina privatistica in tema di mandato (Cass. 20193/2014; Cass. 26895/2022).
Secondo un altro orientamento ancora, il sindaco e gli assessori di un comune sono assimilabili ai mandatari, atteso che essi prestano la propria opera per conto dell’ente locale quali rappresentanti politici, ossia a titolo di mandato onorario; ne consegue che, in applicazione dell’art. 1720 c.c., hanno diritto al rimborso, da parte dell’ente, delle spese legali sostenute per difendersi nell’ambito di un procedimento penale per fatti connessi all’incarico, a condizione
però che dette spese siano state sostenute in stretta dipendenza dall’adempimento degli obblighi connessi al mandato e rappresentino così il rischio inerente allo svolgimento dell’incarico (Cass. 1557/2019).
V’è ancora da osservare che le Sezioni Unite di questa Corte, in sede di regolamento di giurisdizione hanno affermato che la controversia concernente la richiesta di condanna al rimborso delle spese legali sostenute dal funzionario onorario – nella specie, Sindaco di un Comune – per la difesa in un procedimento penale a cui sia stato sottoposto per fatti connessi allo svolgimento di pubbliche funzioni, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, in quanto attiene all’accertamento della sussistenza di un diritto soggettivo, essendo l’ente locale tenuto a far luogo al predetto rimborso ove ne ricorrano i presupposti di legge ed esulando, nel caso, apprezzamenti di natura discrezionale.
Ne consegue che sarebbe irrilevante, al fine della soluzione della questione di giurisdizione, accertare se i fatti costitutivi della pretesa azionata si siano verificati in epoca anteriore o successiva all’entrata in vigore dell’art. 7 bis del d.l. n. 78 del 2015, conv. in l. n. 125 del 2015, posto che, ai sensi di tale disposizione, l’ammissibilità del rimborso delle spese legali per gli amministratori locali, nel limite massimo di determinati parametri, non è subordinata a scelte o a valutazioni discrezionali della P.A., ma si ricollega al riscontro di requisiti previsti da normativa di fonte primaria; né, d’altra parte, la circostanza che tale rimborso sia ammissibile, ai sensi della citata disposizione, “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, è suscettibile di incidere sulla posizione soggettiva dell’amministratore locale, degradandola a interesse legittimo, trattandosi di previsione di ordine contabile, dovuta alla necessità di rispettare l’equilibrio di bilancio, che non assegna all’ente territoriale potestà discrezionali nei confronti del suo amministratore (Cass.S.U. 3887/2020).
Orbene, l’esistenza di un quadro giurisprudenziale non ben definito rispetto ai temi oggetto del ricorso suggerisce la trattazione della causa in pubblica udienza.
PQM
Rinvia la causa alla pubblica udienza.
Così deciso il 17.1.2024 in Roma nella camera di consiglio della