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Rimborso spese di viaggio: la Cassazione chiarisce

Un medico specialista ha richiesto un rimborso spese di viaggio per il tragitto casa-lavoro, basandosi sull’accordo collettivo di categoria. La Corte di Cassazione ha respinto la domanda, specificando che tale rimborso è previsto solo per incarichi professionali svolti in un Comune diverso da quello di residenza e non per il normale pendolarismo. La Corte ha inoltre chiarito che, quando spetta, il rimborso è forfettario e non richiede la prova delle singole spese sostenute.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rimborso spese di viaggio per medici: quando spetta? L’analisi della Cassazione

Il tema del rimborso spese di viaggio per i professionisti sanitari in convenzione è spesso fonte di dibattito. Un medico che lavora in un comune diverso da quello in cui risiede ha automaticamente diritto a un indennizzo per i suoi spostamenti quotidiani? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito un’interpretazione chiara e restrittiva delle norme contenute nell’Accordo Collettivo Nazionale, tracciando una netta distinzione tra il tragitto casa-lavoro e gli incarichi professionali specifici.

I Fatti del Caso

Un medico specialista ambulatoriale, operante per una Azienda Sanitaria Locale (ASL), aveva richiesto il pagamento del rimborso delle spese di viaggio per il tragitto quotidiano dalla sua residenza all’ambulatorio. La richiesta si fondava sull’articolo 46 dell’Accordo Collettivo Nazionale (ACN) del 2009, che prevede un rimborso chilometrico.
Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello avevano respinto la sua domanda. In particolare, i giudici di secondo grado avevano ritenuto che il medico non avesse solo l’onere di provare gli spostamenti, ma anche quello di documentare analiticamente gli esborsi economici effettivamente sostenuti. Di fronte a questa decisione, il professionista ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e il rimborso spese di viaggio

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del medico, confermando la decisione delle corti precedenti, ma con una motivazione parzialmente diversa e più precisa. Gli Ermellini hanno stabilito che il diritto al rimborso spese di viaggio previsto dall’ACN non si applica al generico tragitto casa-lavoro, anche se residenza e sede di lavoro si trovano in Comuni diversi.
Il punto centrale della decisione è che il beneficio economico è legato a specifici “incarichi professionali svolti in Comune diverso da quello di residenza”, e non alla normale attività lavorativa presso la sede principale.

Le Motivazioni: la distinzione tra tragitto casa-lavoro e incarico

La Corte ha basato la sua decisione su un’attenta lettura dell’Accordo Collettivo. La norma in questione è finalizzata a compensare il professionista per gli spostamenti eccezionali e aggiuntivi richiesti dall’ente sanitario, non per coprire i costi del pendolarismo ordinario, che rimane a carico del lavoratore come per la generalità dei dipendenti. Il rimborso spese di viaggio è quindi previsto solo quando il medico deve recarsi in un luogo diverso dalla sua sede abituale per svolgere un compito specifico affidatogli.
Interessante, però, è la correzione che la Cassazione apporta alla sentenza d’appello su un punto cruciale. La Corte Suprema chiarisce che, qualora il rimborso fosse stato dovuto (cioè nel caso di un incarico specifico in un altro comune), il medico non avrebbe dovuto dimostrare le spese effettive. Il rimborso previsto dall’ACN ha natura forfettaria: è calcolato sulla base di un importo fisso per chilometro e non richiede la presentazione di scontrini o fatture di carburante. L’unico dato necessario sarebbe stato il numero di chilometri percorsi per quello specifico incarico.

Le Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza fissa due principi importanti per i professionisti sanitari in convenzione. In primo luogo, il rimborso spese di viaggio non può essere richiesto per il semplice fatto di abitare in un comune e lavorare in un altro. La richiesta è legittima solo se legata a incarichi specifici e temporanei fuori dalla sede di lavoro principale. In secondo luogo, viene fatta chiarezza sulla natura del rimborso: quando spetta, è forfettario e non richiede una complessa rendicontazione delle spese. La decisione, quindi, da un lato limita il campo di applicazione del beneficio, ma dall’altro semplifica l’onere della prova per i casi in cui esso è effettivamente dovuto.

Un medico in convenzione ha sempre diritto al rimborso spese di viaggio per recarsi al lavoro?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il rimborso non è previsto per il normale tragitto quotidiano tra casa e ambulatorio, anche se si trovano in Comuni diversi. È dovuto solo per incarichi professionali specifici svolti in un Comune differente da quello di residenza.

Per ottenere il rimborso spese di viaggio, è necessario dimostrare le spese effettivamente sostenute?
No. La Corte ha chiarito che, nei casi in cui il rimborso è previsto, la sua liquidazione è forfettaria. Si basa su un costo fisso per chilometro (es. 0,275 euro/km) e non richiede la prova delle spese effettive di carburante o altro. L’unica variabile da dimostrare sono i chilometri percorsi per l’incarico.

Cosa si intende per “incarichi svolti in Comune diverso da quello di residenza”?
Si tratta di attività professionali specifiche e non ordinarie che il medico è chiamato a svolgere in un luogo diverso dalla sua sede di lavoro abituale, purché questo luogo si trovi in un Comune diverso da quello in cui risiede. Non rientra in questa categoria il recarsi quotidianamente alla propria sede di lavoro principale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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