Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 199 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 199 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15319/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
COMUNE DI RHO, in persona del Sindaco pro tempore , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
-controricorrenti-
nonché sul ricorso incidentale proposto da:
COMUNE DI RHO, in persona del Sindaco pro tempore , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME -ricorrente incidentale-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
–
contro
ricorrente all’incidentale –
nonché nei confronti
REGIONE LOMBARDIA;
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 799/2020, depositata il 24/03/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3/10/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
udito l’Avvocato NOME COGNOME
udito l’Avvocato NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento
dei motivi 9-10-17-19-20-21-22 in parte, rigettati i restanti, del ricorso principale e per il rigetto del ricorso incidentale.
FATTI DI CAUSA
-Il Comune di Rho, in data 11 luglio 2000, emise un provvedimento nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (di seguito anche soltanto: RAGIONE_SOCIALE) con la quale ordinava alla società di effettuare interventi di messa in sicurezza e bonifica della ‘ ex area RAGIONE_SOCIALE, sul presupposto che l’inquinamento dell’area, accertato nel 1999, fosse cagionato da attività industriale riconducibile alla stessa Montedison.
Il provvedimento del luglio 2000 venne impugnato da RAGIONE_SOCIALE dinanzi al T.A.R. per la Lombardia e nelle more del giudizio il Comune di Rho -con comunicazione del 18 ottobre 2011 -intimò alla RAGIONE_SOCIALE (di seguito anche soltanto: RAGIONE_SOCIALE non più di provvedere all’esecuzione delle opere di bonifica, bensì il pagamento delle somme corrispondenti ai costi sostenuti dal medesimo Comune per interventi di messa in sicurezza e bonifica della ‘ ex area RAGIONE_SOCIALE‘.
1.1. –RAGIONE_SOCIALE convenne, quindi, in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano il Comune di Rho chiedendo che fosse accertato: l’inesistenza, l’improponibilità, l’inammissibilità, la nullità e l’illegittimità dell’ingiunzione ex r.d. n. 639/1910, di cui alla comunicazione del 18 ottobre 2011 o ‘della sua possibile qualificazione come atto di messa in mora’; il difetto di legittimazione attiva del Comune di Rho; l’insussistenza di ogni diritto di credito nei confronti di Edison; il difetto di legittimazione passiva di Edison.
1.1.1. – In particolare, la società attrice allegò che: a ) nel dicembre 1982 l’RAGIONE_SOCIALE aveva venduto la ” ex area RAGIONE_SOCIALE” alla società RAGIONE_SOCIALE; b ) negli anni 1985-1986 la RAGIONE_SOCIALE aveva venduto alla RAGIONE_SOCIALE (lnsediamenti Produttivi Rho
s.r.l.) la parte della cosiddetta ” ex area RAGIONE_SOCIALE” situata a nord del fiume Olona; c ) il 9.5.1991 il Comune di Rho e I.P.R. s.r.l., avevano stipulato la convenzione avente ad oggetto il “piano di lottizzazione” delle predette aree; d ) nel 1992 I.P.R. s.r.l. aveva costruito la “struttura d’incapsulamento” di una vasca rinvenuta in loco contenente liquami chimici; e ) negli anni successivi il terreno in questione, lottizzato da I.P.R. s.r.l., era stato oggetto di riedificazione da parte di numerose aziende; f ) nel 1999 la Provincia di Milano aveva rilevato un inquinamento, la cui causa era stata individuata nella ‘mancata tenuta’ della ‘struttura di incapsulamento’; g ) il Comune di Rho, nel luglio 2000, aveva, quindi, ordinato a Montedison interventi di messa in sicurezza e bonifica della ‘ ex area RAGIONE_SOCIALE‘, provvedimento che era stato fatto oggetto di impugnazione dinanzi al giudice amministrativo.
1.1.2. – Sicché, in forza di tali allegazioni, Edison: a ) eccepì, preliminarmente, il proprio difetto di legittimazione passiva (in quanto soggetto non responsabile dell’inquinamento e, dunque, non tenuto al pagamento delle somme richieste dal Comune) e la prescrizione quinquennale del credito preteso dal Comune medesimo, decorrente dal fatto dell’inquinamento; b ) nel merito: b.1 ) contestò la validità della pretesa di rivalsa azionata dal Comune con la comunicazione del 18 ottobre 2011, in quanto la stessa presupponeva, per legge (d.lgs. n. 22/1997 e d.lgs. n. 152/2006), l’esistenza di un valido ‘ordine’ ex art. 17 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, che, invece, era stato annullato dal T.A.R. con la sentenza n. 1808/2011; b.2 ) sostenne che ‘non le poteva essere ascritta alcuna condotta commissiva o omissiva che avesse potuto causare il fatto di inquinamento’, essendo essa società soggetto diverso dalla società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e non avendo ‘mai esercitato alcuna attività in loco e non essendo mai stata titolare di alcuna proprietà’; b.3 ) dedusse che l’obbligo di intervento, già
gravante sulla società ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e trasmesso ‘in successione’ nel patrimonio di RAGIONE_SOCIALE, non sarebbe potuto sorgere poiché un tale obbligo era stato introdotto nel 1997 dall’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 (e ribadito dall’art. 242 del d.lgs. n. 152/2006), quale disciplina che non poteva trovare applicazione retroattiva a fatti di inquinamento risalenti ad epoca anteriore all’anno 1980; b4 ) sostenne, comunque, che l’ordinanza del luglio 2000 era stata dichiarata illegittima e che non vi era prova della responsabilità di essa società attrice nella causazione dell’inquinamento, né che questo fosse ad essa ascrivibile per dolo o colpa; b5 ) contestò, infine, che fosse dimostrato l’esborso indicato dal Comune nella comunicazione del 18 ottobre 2011.
1.2. – Il Comune di Rho, costituendosi in giudizio, chiese il rigetto delle domande e, in via riconvenzionale, domandò di accertare l’obbligo della società RAGIONE_SOCIALE di rifondere ad esso Comune tutte le spese sostenute, nonché quelle da sostenersi, per la messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle aree inquinate.
1.3. – Per il rigetto delle domande spiegate da parte attrice e l’accoglimento delle conclusioni rassegnate dal Comune, intervenne in giudizio la Regione Lombardia.
1.4. – Il giudizio venne sospeso in attesa della definizione del procedimento di appello avverso la sentenza del T.A.R. per la Lombardia n. 1808/2011, che aveva accolto l’articolata impugnazione di Edison unicamente in relazione al provvedimento dell’11 luglio 2000 e soltanto per la mancanza di avviso di avvio del procedimento.
Il 23 giugno 2014 intervenne la sentenza del Consiglio di Stato n. 3165, con la quale fu rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE e accolto l’appello incidentale proposto dal Comune di Rho in ordine all’annullamento dell’ordinanza dell’11 luglio 2000 disposto dal primo giudice.
1.5. – Proseguito il giudizio e istruita la causa con C.T.U., il Tribunale di Milano rigettò tutte le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE e la condannò al pagamento, in favore del Comune di Rho: a ) della somma di euro 9.817.445,95, oltre interessi legali dalla data della pronuncia sino al soddisfo; b ) della somma di euro 222.500,00 da corrispondere ogni giorno 5 del mese, ‘a far data dall’ 8.2.2013 (data di messa in esercizio dell’impianto) sino alla bonifica definitiva (dichiarata come indicato in motivazione)’; c ) delle spese di lite in favore del Comune di Rho e della Regione Lombardia.
– Avverso tale decisione proponeva appello RAGIONE_SOCIALE sulla base di quindici motivi.
Si costituivano in sede di gravame sia la Regione Lombardia, che il Comune di Rho, quest’ultimo proponendo, altresì, appello incidentale.
2.1. -La Corte d’Appello di Milano, con sentenza resa pubblica il 24 marzo 2020, rigettava entrambi gli appelli, confermando integralmente la sentenza impugnata.
2.1.1. – A fondamento della decisione (e per ciò che ancora rileva in questa sede) la Corte territoriale, quanto all’appello principale di RAGIONE_SOCIALE, osservava che:
a ) i motivi di gravame che censuravano, rispettivamente, il difetto di legittimazione attiva del Comune in favore del Ministero dell’Ambiente, ai sensi dell’art. 311, del d.lgs. n. 152/2016, nonché la illegittimità della condanna anche al pagamento delle ‘spese future’ che il Comune avrebbe dovuto sostenere per la realizzazione della opere di bonifica erano inammissibili in quanto recanti ‘eccezione nuova … ai sensi dell’art. 345, comma 2, c.p.c.’ e, in ogni caso, infondati, in quanto l’azione proposta dal Comune era un’azione di rivalsa ‘per gli oneri che … ha sostenuto e sarà costretto a sostenere per l’esecuzione delle attività di messa in sicurezza, di bonifica e ripristino ambientale che, per legge, avrebbe dovuto e dovrebbe eseguire a proprie cura e
spese, quale responsabile dell’inquinamento’ e per tale azione ‘non è prevista alcuna limitazione alle sole spese sostenute (comma 3 art. 253 d.lgs. 152/2006), posto che il comune ne dovrà necessariamente sostenere in futuro’;
b ) erano infondati i motivi di gravame con cui, rispettivamente, si ribadiva l’eccezione di nullità delle domande attoree e si eccepiva la novità in appello di allegazioni, domande e produzioni documentali, nonché dei ‘temi’ introdotti dal giudice istruttore e trattati dal C.T.U.: b.1 ) quanto alla prima eccezione: la causa petendi non era indeterminata, avendo il Comune preteso da Edison la rifusione delle spese sostenute e sostenende per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino dell’aera ‘ ex Chimica Bianchi’ inquinata da RAGIONE_SOCIALE ‘nell’esercizio di attività industriale a suo tempo svolta’ in detta area, interventi che RAGIONE_SOCIALE era tenuta ‘quale responsabile dell’inquinamento, in forza della legge e dell’ordinanza … dell’11.07.2000’; il petitum -non indicato puntualmente in comparsa di costituzione per non essere le attività di messa in sicurezza, bonifica e ripristino non ancora ‘integralmente concluse e pagate dal Comune’ era stato, poi, precisato con la memoria ex art. 183, comma sesto, n. 1, c.p.c., avendo il Comune indicata la spesa sostenuta sino al 14 giugno 2012 in euro 2.145.611,87, come risultante ‘dalle fatture e dai mandati di pagamento prodotti’; b.2 ) quanto alla seconda eccezione, non vi era stata alcuna modifica delle domande formulate con la comparsa di costituzione in giudizio e precisate con la memoria ex art. 183, comma sesto, n. 1, c.p.c., né dei fatti allegati originariamente [ossia: «la situazione di inquinamento causata dalle ‘attività’ industriali ‘poste in essere’ sino al 30.09.1979 ‘nell’area’ denominata ex RAGIONE_SOCIALE dalle danti causa di RAGIONE_SOCIALE, come accertato in sede di giudizio dinanzi ai giudici amministrativi; ‘la condotta omissiva delle danti causa dell’appellante e dell’appellante stessa in relazione agli interventi di
messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale dell’area posti a suo carico dall’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997, dapprima, e dall’art. 242 del d.lgs. n. 156/2006, poi’; ‘le attività che il Comune è stato costretto a svolgere, in sostituzione dell’appellante inadempiente agli obblighi di legge, …, quali risultano i documenti prodotti in giudizio da quelli acquisiti al CTU’], né dei ‘ dicta ‘ del C.T.U., che, quanto ‘alla causa e alla responsabilità dell’inquinamento’, era giunto ‘a conclusioni conformi con quanto in proposito statuito dal TAR Lombardia e dal Consiglio di stato con le sentenze n. 1808/2011 e n. 3165/2014’;
c ) era infondato il motivo di appello che lamentava la violazione del giudicato amministrativo avendo sia la sentenza del TAR Lombardia, che quella del Consiglio di Stato individuato (in forza del ‘nesso di causalità tra la condotta del responsabile e la contaminazione riscontrata … applicando la regola probatoria del ‘più probabile che non’) quale causa del fatto inquinante le attività industriali realizzate, ‘per decenni’, nell’area ‘RAGIONE_SOCIALE‘ dalla RAGIONE_SOCIALE.p.A. e, quindi, le ‘sostanze prodotte nell’insediamento industriale … e versate nel suolo’, non anche la sopravvenuta mancata tenuta delle sostanze inquinanti da parte del dispositivo di incapsulamento, il quale ‘non faceva che trattenere sostanze inquinanti già prodotte’ e la cui esistenza (nel 1992), così come il suo eventuale malfunzionamento erano circostanze «del tutto irrilevanti ‘ai fini della individuazione delle cause di inquinamento dell’area RAGIONE_SOCIALE‘», giacché ‘al massimo avrebbe potuto impedire la diffusione della contaminazione nel terreno, ma non poteva certamente intervenire
sulla causa della contaminazione stessa ed ancor meno essere esso stesso a causa della contaminazione (relazione CTU pag. 24)’;
d ) era infondato il motivo che deduceva il difetto di legittimazione passiva relativa al rapporto giuridico sostanziale, in quanto -come anche ritenuto con sentenza definitiva n. 3165/2014 del Consiglio di Stato – «nel 1976 la società RAGIONE_SOCIALE era ‘titolare dell’insediamento produttivo costituito da impianti chimici in esercizio dal 1907 sotto il nome di RAGIONE_SOCIALE, sito in Rho, INDIRIZZO (nell’area, dunque, in cui si sono rinvenuti i materiali inquinanti a seguito delle indagini esperite nel 1999)» e anche il CTU aveva accertato che ‘le cause dell’inquinamento dell’area ex RAGIONE_SOCIALE siano da far risalire all’attività industriale esercitata nell’insediamento dall’inizio al secolo scorso e sino a tutto il 1979, data ufficiale di cessazione della produzione’;
e ) era infondato il motivo che censurava il rigetto del credito azionato dal Comune, in quanto esso aveva ad oggetto non l’illecito concernente la causazione del danno ambientale (ossia, il diritto di credito originato dal fatto illecito permanente, soggetto al termine prescrizionale di cinque anni), bensì la richiesta di rifusione delle spese avanzata dal Comune ex art. 17, comma 2, d.lgs. 22/1997 e successive modificazioni, ossia il diritto di rivalsa soggetto al termine prescrizionale di cui all’art. 2946 c.c., decorrente dalle date ‘in cui sono stati effettuati, da parte del Comune, i pagamenti delle attività preordinate alla messa in sicurezza ed alla bonifica dell’area inquinata’, là dove, comunque, l’eccezione di prescrizione sarebbe risultata infondata anche in riferimento al termine quinquennale da fatto illecito, essendo questo, nella specie, di carattere permanente ‘in ragione della situazione di inquinamento … suscettibile di essere interrotta solo con la bonifica’;
f ) era infondato e, comunque, inammissibile (‘per difetto di rilevanza’) il motivo che denunciava la nullità della sentenza
impugnata in conseguenza della nullità della CTU, giacché, per un verso, l’accertamento tecnico era percipiente, ben potendo il consulente tecnico acquisire i dati, i documenti e gli elementi necessari e/o utili per rispondere ai quesiti, mentre, per altro verso, «il Tribunale non ha tenuto conto, ai fini della decisione, dei ‘documenti acquisti nel corso delle operazioni peritali, direttamente dal CTU o messi a disposizione dal Comune’»;
g ) era infondato il motivo di appello che deduceva l’erroneità della sentenza impugnata in relazione a ciascuno dei thema decidenda , per essere stata riproposta la questione relativa all’incidenza causale dell’incapsulamento nella produzione dell’evento dell’inquinamento, incidenza già esclusa in sede di esame di precedenti censure, essendo la ‘(f)onte dell’inquinamento … costituita dalle sostanze prodotte negli insediamenti industriali di Montedison e versate nel suolo’, non potendo la ‘eventuale esecuzione non adeguata dell’incapsulamento’ escludere ‘la responsabilità di RAGIONE_SOCIALE in ordine all’inquinamento verificatosi prima della fine degli anni 70′ e ciò anche tenuto conto del principio per cui ‘le cause concorrenti sono ciascuna, e tutte, condizione dell’evento’;
h ) era infondato il motivo che lamentava la carenza di allegazione e prova dell’elemento psicologico in capo al soggetto responsabile dell’inquinamento, avendo la sentenza impugnata correttamente applicato il principio ‘chi inquina paga’, di matrice comunitaria, alla luce del quale la responsabilità ambientale si configura come responsabilità oggettiva, non richiedente pertanto la prova dell’elemento soggettivo;
i ) era infondato il motivo di gravame che censurava la mancata pronuncia sull’eccezione di ‘insussistenza dell’elemento essenziale della violazione di legge o di provvedimenti amministrativi’, essendo Edison rimasta inadempiente rispetto all’ordinanza dell’11 luglio 2000, che intimava ad essa società di
provvedere agli interventi ex art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 22/1007 (ordinanza il cui annullamento da parte della sentenza n. 1808/2011 del TAR era stato riformato dalla sentenza n. 3465/2014 del Consiglio di Stato), a seguito del quale il Comune di Rho, con comunicazione del 18 ottobre 2011, aveva fatto valere il diritto di rivalsa per essersi sostituito negli interventi dovuti dal responsabile dell’inquinamento;
l ) il motivo con cui si censurava il riconoscimento delle ‘somme richieste dal Comune in via riconvenzionale’ era inammissibile in relazione alla deduzione (integrante eccezione nuova ai sensi dell’art. 345 c.p.c.) sulla ‘insussistenza ontologica del danno’ e infondato nel resto, in quanto il responsabile dell’inquinamento era comunque tenuto (al di là della posizione del proprietario del sito inquinato) a tenere indenne l’amministrazione delle spese sopportate per la bonifica ‘e conseguenti al fatto obiettivo dell’inquinamento’, non potendo, in base alla ‘logica puramente indennitaria che preside all’azione di rivalsa nei confronti del responsabile’, operare l’art. 1227 c.c. e, comunque, essendo Edison ‘l’unico responsabile dell’inquinamento per cui è causa, per cui il diritto di rivalsa del comune non può essere escluso per alcuna delle spese sostenute e sostenende … dal medesimo per l’esecuzione d’ufficio degli obblighi legislativi non adempiuti dal responsabile dell’inquinamento’, là dove, poi, quanto alla ‘effettività’ delle spese, quelle sostenute, necessarie e congrue (secondo la CTU, in base alla documentazione prodotta e sino al 2017), ammontavano ad euro 3.817.445,95, mentre per le ‘spese di bonifica ancora da sostenere’ la relativa liquidazione era da effettuarsi in base a ‘valutazione equitativa’, che appariva ‘allo stato l’unica percorribile’.
2.1.2. -Quanto all’appello incidentale del Comune di Rho, il giudice di secondo grado osservava che:
a ) il motivo di gravame che lamentava la mancata considerazione, da parte del primo giudice, dei documenti acquisiti o prodotti nel corso delle operazioni peritali era in parte infondato (in relazione ai documenti tardivamente prodotti dal Comune, perché preesistenti al termine di cui all’art. 183 c.p.c.) e in parte inammissibile (quanto ai documenti successivi a detto termine -segnatamente, il ‘Progetto di bonifica del capannone 9 A’ e il ‘verbale della conferenza dei servizi del 4.11.2013’ -, perché lo stesso CTU non li aveva considerati ‘rilevanti ai fini delle conclusioni rassegnate’);
b ) era infondato anche il motivo di appello che lamentava l’esclusione, tra le spese oggetto di rimborso, di quelle sostenute per l”allacciamento del pozzo Pb2 all’impianto provvisorio di trattamento acque’, giacché (come anche risultante dalla CTU) si trattava di ‘opera non necessaria’ (effettuata nel 2008, un anno dopo l’impianto provvisorio di trattamento delle acque, e disattivata nel 2009 ‘per inefficienza idraulica’);
c ) era infondato, infine, il motivo di gravame che censurava la quantificazione delle ‘spese future’, sia in relazione all’impianto di trattamento delle acque (spesa correttamente determinata dal Tribunale nella somma -minore rispetto a quella di euro 450.000,00 pretesa dal Comune -‘pari ad euro 225.000,00 più i.v.a.’, in quanto ‘costo … riferito ad un dato certo, relativo le spese dei quattro anni precedenti, anziché a proiezioni ipotetiche’), sia in relazione alle ‘opere di bonifica definitiva’ (avendo il primo giudice ritenuto a tal riguardo ‘certa l’esistenza di un danno’ che correttamente aveva stimato in via equitativa in euro 6.000.000,00, là dove era tardiva la produzione documentale del ‘Progetto Operativo di Bonifica’ redatto nel luglio 2014 sulla cui base il Comune assumeva possibile una diversa quantificazione di dette spese).
– Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE affidando le sorti dell’impugnazione a ventisei motivi.
3.1. -Hanno resistito con controricorso sia la Regione Lombardia, che il Comune di Rho; quest’ultimo ha anche proposto ricorso incidentale in base a due articolati motivi, al quale ha resistito la RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
3.2. -Tutte le parti hanno depositato memoria.
– Con ordinanza interlocutoria n. 6274 del 2 marzo 2023, la trattazione della causa è stata rinviata ad udienza pubblica in ragione della particolare rilevanza di talune questioni di diritto in materia ambientale.
In prossimità dell’udienza pubblica fissata per la discussione ha depositato ulteriore memoria il Comune di Rho.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ricorso principale di RAGIONE_SOCIALE
Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 12 preleggi, per avere la Corte territoriale fondato il giudizio di responsabilità della società RAGIONE_SOCIALE sulla base di una erronea interpretazione del giudicato amministrativo.
Il giudice di appello, violando le regole di esegesi delle norme di legge, avrebbe errato nell’interpretare le sentenze amministrative (n. 1808/2011 del T.A.R. per la Lombardia e n. 3165/2014 del Consiglio di Stato, delle quali in ricorso sono riportati ampi stralci) nel senso che esse avrebbero individuato la causa dell’inquinamento nelle ‘sostanze prodotte nell’insediamento industriale … e versate nel suolo’ e, dunque, «in una condotta di ‘scarico/sversamento’ sul suolo di acque reflue da parte di Montedison s.p.a. nel periodo anteriore al 1979», mentre con dette sentenze è stato accertato che ‘l’inquinamento 1999’ era dipeso dalla ‘mancata tenuta’ del ‘dispositivo d’incapsulamento’ costruito
nel 1992 (da I.P.R. s.r.l.) e cioè dal ‘percolamento derivante dalla predetta vasca’ dovuto al relativo degrado.
Con il secondo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., per avere la Corte territoriale fatto erronea applicazione delle regole di inferenza presuntiva, sulla base delle quali ha ritenuto che l’inquinamento 1999 sia stato causato da una condotta di ‘scarico/sversamento’ nel suolo di acque reflue da parte di Montedison, mentre, in forza di una corretta applicazione di dette regole alla luce degli indizi presenti agli atti (sui quali il ricorso argomenta diffusamente, indicandone undici), il giudice di appello sarebbe dovuto giungere alla conclusione che la causa dell’inquinamento accertato nel 1999 era la mancata tenuta del dispositivo di incapsulamento della vasca, costruito nel 1992 da RAGIONE_SOCIALE
Con il terzo mezzo è dedotta, ai sensi all’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2056 c.c. e 115 c.p.c., per avere la Corte territoriale -nell’affermare che ‘il dispositivo di incapsulamento non faceva che trattenere sostanze inquinanti già prodotte’ -erroneamente considerato la mancata tenuta del dispositivo di incapsulamento come causa concorrente nella serie causale degli eventi produttivi del danno -e, dunque, non elidente la responsabilità di Montedison in base al ‘principio dell’equivalenza delle cause’ -, mentre trattavasi di causa sopravvenuta, da sola sufficiente, a determinare l”inquinamento 1999′.
Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente applicato, in sede di ricostruzione del nesso di causalità materiale tra il fatto e l’evento di danno, il principio penalistico di equivalenza
delle cause e non anche il diverso criterio civilistico del ‘più probabile che non’.
Con il quinto mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., per essersi la Corte territoriale erroneamente conformata all’accertamento di responsabilità effettuato dai giudici amministrativi, i quali «hanno affermato ‘una responsabilità’ di Montedison S.p.A. non sulla base del ‘rapporto di causalità’, ma sulla base del ‘rapporto di imputabilità». E cioè sulla base di un «’giudizio di valore della condotta’ ‘sotto il profilo soggettivo dell’elemento psicologico’», essendosi, quindi, il giudice di appello adeguato a tale accertamento che -alla stregua della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 1573/2019) -‘non può fare stato in questo giudizio civile’.
Con il sesto mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e 17 d.lgs. 22/1997 e dei principi giurisprudenziali in materia di ‘responsabile dell’inquinamento’, per avere la Corte territoriale errato nel fondare la propria decisione in punto di responsabilità per l’inquinamento sulla base del giudicato costituito dalle sentenze amministrative (n. 1808/2011 del T.A.R. per la Lombardia e n. 3165/2014 del Consiglio di Stato), ignorando la regola, enunciata da Cass. n. 1573/2019 (e ribadita da Cass. n. 32142/2019) in materia ambientale, per cui il giudicato amministrativo, per detti fini, non fa stato nel giudizio civile.
Con il settimo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 345, comma secondo, e 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale (con un ‘una prima decisione’) dichiarato l’inammissibilità del primo motivo di appello reputando, erroneamente, che integrasse ‘ec c ezione nuova’ la censura che denunciava l’assenza di titolarità del lato attivo del rapporto giuridico sostanziale da parte del
Comune, essendo questa di spettanza del Ministero dell’Ambiente , così come previsto dall’art. 311 del d.lgs. 152/06 in tema di azione di risarcimento del danno ambientale.
Con l’ottavo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza e del procedimento in relazione agli artt. 345, comma secondo, e 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale (con una ‘seconda e subordinata decisione’) riqualificato la domanda del Comune come ‘azione di rivalsa’, con conseguente violazione del giudicato interno formatosi sulla sentenza di primo grado, nella parte in cui il Tribunale aveva qualificato la pretesa avanzata dal Comune di Rho come risarcitoria.
Con il nono mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza e del procedimento in relazione agli artt. 345, comma secondo, e 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale, pur sul presupposto della qualificazione della domanda del Comune come ‘ azione di rivalsa’, erroneamente dichiarato l’inammissibilità del secondo motivo d’appello, reputando, erroneamente, trattarsi di ‘eccezione nuova’ la censura relativa alla statuizione del primo giudice che riconosceva in favore del Comune anche le ‘ spese future ‘ .
– Con il decimo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 242, 244, 250, 252bis e 253 del d.lgs. 152/2006 per avere la Corte territoriale, sul presupposto che la pretesa del Comune fosse qualificabile come ‘azione di rivalsa’ , erroneamente ritenuto che gli elementi costitutivi della predetta azione non riguardassero le sole spese ‘sostenute’ dal Comune di Rho a seguito delle ‘procedure’ e degli ‘interventi di cui all’articolo 242’, ma si estendessero anche alle ‘spese future’, relative alla realizzazione della bonifica definitiva, fatte oggetto di liquidazione equitativa nonostante le ‘procedure’ e gli ‘interventi’ anzidetti non
sarebbero stati ancora realizzati, essendo mancata la conclusione della ‘articolata procedura’ all’esito della quale il progetto di bonifica avrebbe dovuto ‘essere assentito dalla competente autorità amministrativa’.
11. Con l’undicesimo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1, 2, 9, 13, 25, 26 della legge n. 319/1976 e 2, lett. bb ), del d.lgs. 152/1999, per avere la Corte territoriale radicato la propria decisione sulla responsabilità di Montedison S.p.A. nella normativa del d.lgs. 22/1997 e del d.lgs. 152/2006 e non anche nella cd. legge Merli.
La Corte territoriale avrebbe, infatti, errato a non applicare la legge n. 319/1976 una volta accertato che la causa dell”inquinamento 1999′ consisteva in una ‘condotta di scarico/sversamento delle acque reflue sul suolo in periodo anteriore al settembre 1979’, con la conseguenza che, alla luce della disciplina di detta legge, avrebbe dovuto escludere la responsabilità di Montedison sia per l’inquinamento ambientale, sia per il mancato assolvimento dell’obbligo di bonifica.
12. Con il dodicesimo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e dei principi giurisprudenziali in materia di danno ambientale, per avere la Corte territoriale errato nel ritenere applicabile al caso di specie la disciplina di cui all’art. 17 del d.lgs. 22/1997 , poiché, essendo la addebitata ‘condotta ambientalmente illecita’ anteriore al 1979, avrebbe dovuto trovare applicazione la normativa vigente all’epoca e, dunque, neppure la legge n. 349/1986, ma l’art. 2043 c.c.
13. Con il tredicesimo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2909, 2043 c.c. e 17 del d.lgs. n. 22/1997 ‘circa l’elemento soggettivo’, per avere la Corte territoriale erroneamente
considerato irrilevante, ai fini della sussistenza della responsabilità di Montedison S.p.A. , la prova dell’elemento soggettivo , che si rendeva necessaria in ragione dell’applicazione, ratione temporis , dell’art. 2043 c.c. ai fatti di causa.
14. – Con il quattordicesimo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2909, 2043 c.c. e art. 17, d.lgs. 22/1997, per avere la Corte territoriale erroneamente affermato l’esistenza dell’obbligo di ripristino ambientale a carico di Montedison per effetto dell’ordinanza comunale in data 11 luglio 2000, mancando di considerare, però, che dopo l’annullamento da parte del TAR Lombardia (con la sentenza n. 1808/2011) di tale provvedimento e, quindi, la conferma dell’ordinanza cautelare del medesimo TAR (del 22 agosto 2000) che poneva in via d’urgenza il predetto obbligo in capo allo stesso Comune – la domanda in sede civile proposta dall’ente pubblico, per la condanna di essa RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese di bonifica in luogo dell’obbligo di provvedervi, aveva comportato l’implicita revoca del provvedimento dell’11 luglio 2000.
Il giudice di appello, pertanto, avrebbe dovuto accertare il venir meno dell’obbligo di bonifica in capo ad RAGIONE_SOCIALE contenuto nel provvedimento implicitamente revocato -, con conseguente esonero della responsabilità della stessa società ai sensi dell’art. 2043 c.c. per insussistenza dell”elemento essenziale della violazione di legge o di provvedimenti amministrativi’.
15. – Con il quindicesimo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 194, 195, 198 c.p.c., 87 e 90 disp. att. c.p.c., per avere la Corte territoriale errato nel confermare la sentenza di primo grado che aveva fondato la propria decisione su una C.T.U. basata su documenti prodotti dal Comune nel corso delle operazioni peritali in violazione del termine
di cui all’art. 183, comma sesto, c.p.c. , reputando illegittimamente – sulla scorta di una erronea interpretazione dei principi espressi da Cass. n. 12921/2015 e, comunque, andando di contrario avviso rispetto alla più recente Cass. n. 31886/2019 -che, trattandosi di C.T.U. ‘percipiente’, il consulente tecnico potesse ‘acquisire tutti i dati tecnici, documenti di riscontro ed elementi necessari e/o utili per rispondere ai quesiti medesimi’.
16. – Con il sedicesimo mezzo è prospettato , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., ‘ error in judicando de modo procedendi in relazione all’art. 342 c.p.c.’ , per avere la Corte territoriale erroneamente affermato che ‘Edison non avrebbe avuto interesse a sollevare l’eccezione di inammissibilità dei documenti tardivamente e irritualmente depositati dal Comune’, in quanto il Tribunale non avrebbe tenuto conto ‘ai fini della decisione’ dei ‘documenti acquisiti nel corso delle operazioni peritali, direttamente dal CTU o messi a disposizione del Comune’ e cioè -come evidenziato a p. 13 della sentenza di primo grado -‘piano della Caratterizzazione del maggio 2006 e relativi allegati, lettera del Comune di Rho del 25.5.2017, Progetto di bonifica del capannone 9 A, programma convegno CNA 1993 e verbale della conferenza dei servizi del 4.11.2013 degli stessi’ .
Il giudice di appello non si sarebbe, infatti, avveduto che il primo giudice, contrariamente a quanto dal medesimo affermato, aveva utilizzato ai fini della decisione relativa alla liquidazione delle spese sostenute dal 2012 al 2017 la ‘lettera del Comune di Rho del 25.5.2017’ e ai fini della liquidazione delle ‘spese future’, quantificate in euro 6.000.000,00, in particolare il ‘Progetto Operativo di Bonifica -Messa in Sicurezza Operativa -Lotto 1 -Area Capannone 9A’, ossia proprio i documenti che aveva dichiarato ‘inutilizzabili’.
17. Con il diciassettesimo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione
degli artt. 1227, 1175, 1375 c.c. e 253 del d.lgs. 152/2006, per aver la Corte territoriale errato nel non applicare al caso di specie la previsione di cui al primo o al secondo comma dell’art. 1227 c.c. sul presupposto della natura restitutoria del diritto di rivalsa vantato , ai sensi dell’art. 253 del d.lgs. n. 152/2006, dal Comune di Rho nei confronti di RAGIONE_SOCIALE così da considerare essa società l’unico responsabile dell’inquinamento e condannarla alla restituzione delle spese sostenute e sostenende dal Comune medesimo per l’esecuzione del ripristino ambientale.
Il giudice di appello, invece, avrebbe dovuto applicare al caso di specie la previsione di cui al primo comma dell’art. 1227 c.c. in considerazione della partecipazione del Comune alla produzione dell’evento derivante, nell’ipotesi di inesistenza del ‘dispositivo di incapsulamento’, dalla condotta omissiva rispetto ai fenomeni di inquinamento degli anni 1981, 1991 e 1999 e, nell’ipotesi di esistenza di detto dispositivo, dalla condotta commissiva di rilascio delle concessioni edilizie per la lottizzazione e l’imponente edificazione di capannoni nel sito inquinato.
Inoltre, il medesimo giudice avrebbe dovuto applicare al caso di specie anche la previsione di cui al secondo comma dell’art. 1227 c.c., in quanto, sempre con riferimento alle due condotte di cui sopra, il Comune «avrebbe potuto evitare il danno, in tutto o in parte, ‘usando l’ordinaria diligenza’ in occasione dei tre fenomeni d’inquinamento rilevati nel 1981, 1991 e 1999».
18. Con il diciottesimo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., ‘violazione di legge costituzionalmente rilevante, integrante l’ error in procedendo , che determina la nullità della sentenza impugnata’, ex art. 132 c.p.c., per avere la Corte territoriale adottato una motivazione apparente in punto di prova sulla ‘ congruità delle spese asseritamente sostenute dal Comune per l’attività di bonifica’ , nonostante si trattasse di ‘ elemento della fattispecie costitutiva del credito
azionato dal Comune contro Edison ‘, affermando che ‘la congruità sarebbe stata verificata dal CTU’, là dove, invece, tale verifica come emergerebbe dagli atti processuali – sarebbe assente.
19. – Con il diciannovesimo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 311 del d.lgs. 152/2006 e dei principi giurisprudenziali in materia (recati da Cass. n. 8662/2017 e Cass. n. 14935/2016), per avere la Corte territoriale erroneamente proceduto alla determinazione delle ‘spese future’ che avrebbe dovuto sostenere il Comune per il ripristino ambientale attraverso lo strumento della liquidazione del danno in via equitativa di cui all’art. 122 6 c.c.
La ricorrente principale sostiene che il giudice di appello avrebbe, dunque, deciso nel senso non dell’azione di rivalsa ex art. 253 d.lgs. n. 152/2006, ma della natura risarcitoria dell’azione proposta dal Comune e, tuttavia, proprio secondo tale prospettazione -dovendo applicarsi in riferimento alla quantificazione del danno ambientale la vigente normativa, ossia l’art. 311 del d.lgs. 152/2006, come modificato dalle novelle del 2009 e del 2013 -lo stesso giudice avrebbe dovuto individuare le ‘misure di riparazione primaria, complementare e compensativa’ del danno ambientale e non provvedere al risarcimento per equivalente, ‘visto che la soluzione valutazione equitativa è per legge esclusa’.
20. Con il ventesimo mezzo è dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., error in judicando de modo procedendo in relazione all’art. 112 c.p.c., per non essersi la Corte territoriale pronunciata sul motivo di gravame che denunciava l’errore del Tribunale nell’aver operato una duplicazione risarcitoria a carico di RAGIONE_SOCIALE per le spese di gestione dell’impianto di trattamento , pari alla somma annuale di euro 222.500,00, oltre i.v.a., per il periodo 2013-2017, essendo detto importo già ricompreso nella
liquidazione relativa alle spese sostenute dal Comune nel periodo ‘primavera 2012 primavera 2017’ per euro 1.709.179,13 (iva inclusa), al cui ammontare ‘contribuiscono anche le spese di gestione per l’impianto di trattamento’ per un importo di euro 869.763,48.
21. – Con il ventunesimo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza ai sensi dell’art. 156 c.p.c., per aver la Corte territoriale illegittimamente condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento di euro 225.000,00, più iva, ‘sino alla bonifica definitiva’, in forza di pronuncia generica che ‘non consente dunque di individuare l’importo effettivo della condanna, neppure ricavabile dalla motivazione della sentenza’ , essendo imposto un obbligo dipendente dalla volontà ‘di terzi soggetti’, nonché ‘indeterminato ed illimitato nel tempo’, in assenza di un ‘limite temporale all’attività che si finalizza nella bonifica’ .
22. – Con il ventiduesimo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 240, 242, 244, 250bis e 253 del d.lgs. 152/2006, per avere la Corte territoriale -nel decidere sul quattordicesimo motivo di appello che censurava la sentenza del Tribunale «nella parte in cui ha riconosciuto come dovute dall’appellante le ‘somme richieste dal Comune convenuto’ in via riconvenzionale» -erroneamente condannato Edison per due distinte e alternative ragioni: a ) ove abbia ritenuto di natura risarcitoria l’azione del Comune, essendo contraddittoria la qualificazione dell’azione come di rivalsa e, comunque, illegittima la liquidazione del risarcimento del danno ambientale effettuata ‘per equivalente’; b ) ove abbia ritenuto essere detta azione di rivalsa, essendo illegittima la ripetizione delle somme anticipate dal Comune ex art. 253 d.lgs. 152/2006 in carenza della ‘fattispecie costitutiva di tale azione’ , mancando, nel caso di specie, il
presupposto in presenza del quale la legge consente di agire in sede di rivalsa e cioè -come precisato da Cass. n. 1573/2019 che il progetto di bonifica segua ‘le procedure previste dalla legge, dovendo essere lo stesso assentito dalla competente autorità amministrativa all’esito di un’articolata procedura’.
23. – Con il ventitreesimo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2395 c.c., per avere la Corte territoriale dopo aver qualificato come di rivalsa l’azione vantata dal Comune, nonostante la qualificazione effettuata dal Tribunale come risarcitoria -illegittimamente ritenuto che il dies a quo dell’inizio di decorrenza della prescrizione coincidesse con il ‘momento in cui sono stati effettuati, da parte del comune, i pagamenti delle attività preordinate alla messa in sicurezza ed alla bonifica dell’area inquinata’.
Se così fosse -sostiene la ricorrente principale – il termine di prescrizione sarebbe trasformato in un termine «’meramente potestativo’, il cui decorso sarebbe condizionato vuoi dalla volontà dello stesso soggetto interessato a procrastinarne gli effetti, vuoi dalla inefficienza della sua organizzazione, con un irragionevole ed indeterminato prolungamento del vincolo obbligatorio in capo al soggetto debitore».
24. – Con il ventiquattresimo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2395 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ricollegato l’operatività di tale ultima norma alla ‘diminuzione patrimoniale’ subita dal Comune e ‘alla pretesa impossibilità di far valere prima il diritto’ da parte del Comune medesimo, così determinando un ‘vincolo obbligatorio (che) durerebbe ad libitum del creditore’.
NOME deduce, pertanto, che l’unico ‘atto di messa in mora’ compiuto dal Comune nei suoi confronti coinciderebbe con la nota
comunale prot. n. 47801 del 21.10.2011 e sarebbe inefficace in quanto posto in essere e comunicato dopo il compimento del termine prescrizionale dei dieci anni, il cui momento iniziale di decorrenza andrebbe individuato: a ) o alla data del 22.8.2000, in cui il TAR per la Lombardia sospese l’efficacia del provvedimento 11.7.2000 nei confronti di Montedison SRAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE e, correlativamente, pose l’obbligo di bonifica a carico dello stesso Comune, avvertendolo del suo diritto al recupero dei ‘relativi oneri’, con la conseguenza che il Comune già in questa data ‘avrebbe dovuto far valere tale diritto’; b ) o, comunque, alla data del 15.10.2001, in cui si svolse la riunione tra ASL Milano 1, Regione Lombardia, Provincia di Milano, Comune di Rho ed altri Enti Locali e all’esito della quale il Comune ebbe «contezza del ‘progetto definitivo’ di bonifica elaborato da RAGIONE_SOCIALE».
25. – Con il venticinquesimo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 17 del d.lgs. 22/1997 e dell’art. 250 del d.lgs. 152/2006, per avere la Corte territoriale erroneamente rigettato l’eccezione di prescrizione avanzata da RAGIONE_SOCIALE sul presupposto che, anche qualora l’azione del Comune fosse azione di risarcimento del danno ambientale, la prescrizione del relativo credito non si sarebbe compiuta, essendo tale illecito qualificabile permanente.
Il giudice di appello avrebbe errato nel ritenere che il diritto al risarcimento dei danni derivanti dal suddetto illecito inizierebbe a decorrere solo dalla cessazione della permanenza dell’illecito stesso e cioè dall’ultimazione degli interventi di ripristino ambientale, in quanto l’obbligo di bonifica a cui fa riferimento la Corte territoriale sarebbe giuridicamente inesistente a carico di Montedison S.p.A. e ciò in quanto il Comune, con la comparsa di costituzione e risposta del 24.4.2012, chiedeva che RAGIONE_SOCIALE fosse condannata al pagamento delle somme equivalenti alle spese sostenute e da sostenere per l’attività di bonifica, così da porre in essere un
‘ contrarius actus rispetto al provvedimento 11.7.2000’, ossia all’ordine di bonifica che, dunque, era da ritenersi implicitamente revocato, venendo meno ogni relativo obbligo.
26. – Con il ventiseiesimo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2395 c.c. per avere la Corte territoriale pur accedendo alla tesi della sussistenza di un obbligo di bonifica a carico di Montedison S.p.A. erroneamente rigettato l’eccezione di prescrizione sollevata da Edison, in considerazione del fatto che la stessa Montedison S.p.A. non aveva più la disponibilità dell’area dal 1981 o, comunque, in via del tutto subordinata, dal febbraio 2000, con conseguente compimento del termine prescrizionale quinquennale già al momento della lettera di messa in mora del 18.10.2011.
Ricorso incidentale del Comune di Rho
27. -Con il primo motivo -articolato in riferimento al rigetto del primo motivo di appello incidentale vertente sulla ‘questione relativa ai documenti acquisiti dal CTU nel corso delle operazioni peritali’ – è denunciata: a ) ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione dell’art. 183, comma sesto, c.p.c.; b ) ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, c.p.c., nullità della sentenza per motivazione apparente o comunque in violazione o falsa applicazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.; c ) ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
Quanto alla censura sub a ), si deduce che la documentazione allegata alla ‘lettera del 25.5.2017’, concernente ‘le fatture e i mandati di pagamento relativi alle spese sostenute dal Comune successivamente alla scadenza dei … termini perentori’, di cui all’art. 183, comma sesto, c.p.c., ‘non poteva essere ritenuta tardiva’.
Quanto alla censura sub b ), che investe la decisione della Corte territoriale di ritenere corretta quella del Tribunale di non considerare utilizzabili i ‘documenti preesistenti alla scadenza dei termini’ in quanto ‘il Comune avrebbe avuto l’onere di produr(li) tempestivamente’, si lamenta l’apparenza della motivazione, che non darebbe ‘conto delle doglianze svolte dall’appellante’ e, quindi, delle ragioni del relativo rigetto.
Quanto alla censura sub c ), che aggredisce la decisione del giudice di secondo grado di non tenere conto dei documenti formatisi successivamente alla maturazione delle preclusioni istruttorie in quanto dallo stesso C.T.U. considerati non ‘rilevanti ai fini delle conclusioni rassegnate’, si deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. poiché: a ) alcuni documenti (fatture e mandati di pagamento) ‘sono stati in realtà utilizzati dal CTU’; b ) i restanti documenti, non utilizzati dal CTU, riguardano la ‘quantificazione delle future spese necessarie per la bonifica’, essendo, quindi, errato l’assunto sia della ‘non necessità della bonifica nel caso di specie’ (espresso dal C.T.U.), sia quello (dei giudici di merito) dell’impossibilità di una ‘quantificazione esatta’ delle predette spese.
28. – Con il secondo motivo -articolato riferimento al rigetto del terzo motivo di appello incidentale vertente sulle ‘spese future’ – è prospettata: a ) ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c.; b ) ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 112, 113, 114 c.p.c. e 1226 c.c.; c ) ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione dell’art. 183, comma sesto, c.p.c.
Quanto alla censura sub a ), che attiene alle spese di gestione e di manutenzione dell”impianto di trattamento delle acque’, si sostiene che la Corte territoriale non avrebbe ‘affrontato e risolto’ la questione relativa al fatto che le spese liquidate dal Tribunale sono solo quelle ‘ordinarie’ e che l’importo ‘potrà, in futuro, essere
maggiore (come stimato dal CT del Comune) in conseguenza degli incrementi esponenziali degli oneri manutentivi (anche ordinari) e degli oneri di manutenzione straordinaria conseguenti al protrarsi nel tempo del funzionamento dell’impianto’.
Quanto alla censura sub b ), relativa alle spese delle ‘opere di bonifica definitive’, si deduce che la Corte territoriale, nel confermare la liquidazione ‘con valutazione equitativa’ di dette spese, non si sarebbe pronunciata sulle doglianze mosse dal Comune, in sede di gravame, a tale statuizione, essendo, del resto, quella equitativa, una valutazione non ammissibile nella logica indennitaria dell’azione di rivalsa e che, comunque, non potrebbe trovare giustificazione nell’asserita ‘impossibilità di determinare le spese future’.
Quanto alla censura sub c ), ancora concernente le spese per le ‘opere di bonifica definitive’, si lamenta l’illegittimità della decisione di ritenere non inutilizzabile ai fini della quantificazione di dette spese il ‘Progetto Operativo di Bonifica Messa In Sicurezza Operativa -Lotto 1 -Area Capannone INDIRIZZO‘, quale documento redatto nel 2014 e, quindi, formatosi successivamente al maturarsi delle preclusioni istruttorie, ma ritenuto oggetto di ‘tardivo deposito’ poiché il Comune ‘avrebbe potuto commissionarlo più tempestivamente’.
La decisione sui ricorsi Esame del ricorso principale
L’esame dei motivi di ricorso principale seguirà l’ordine di priorità logica che il Collegio ha reputato di individuare.
29. -Vanno inizialmente scrutinati i motivi settimo, ottavo e nono, attenendo essi alla questione della qualificazione giuridica della pretesa azionata dal Comune di Rho nei confronti della RAGIONE_SOCIALE – se di rivalsa ai sensi degli artt. 17 del d.lgs. n. 22/1997 e 242-253 del d.lgs. n. 152/2006 ovvero di risarcimento del danno
ambientale, ai sensi dell’art. 311 del d.lgs. n. 152/2006 -, quale profilo che orienta il thema decidendum dell’intera controversia.
29.1. – I motivi settimo e nono concentrano le doglianze unicamente sotto il profilo, processuale, della declaratoria di inammissibilità, asseritamente erronea, adottata dalla Corte territoriale ai sensi dell’art. 345 c.p.c. per ‘novità’ delle ‘eccezioni’ proposte con i primi due motivi di appello.
Essi, come tali, sono inammissibili per difetto di interesse, poiché il giudice di appello, dopo aver rilevato l’inammissibilità nei termini anzidetti, ha comunque esaminato e deciso nel merito le doglianze proposte dall’appellante principale ritenendole infondate , adottando, quindi, delle rationes decidendi , autonome e da sole idonee a sorreggere la decisione, non fatte oggetto di impugnazione con i motivi di ricorso in esame (ma impugnate con ulteriori motivi di ricorso principale, là dove -come si vedrà – le censure si rivolgono, sotto più profili, contro la qualificazione dell’azione esercitata dal Comune di Rho e contro il riconoscimento in favore dello stesso Comune della rivalsa anche per le ‘spese future’).
A tal riguardo, va precisato che le anzidette decisioni sul fondo delle censure (come detto, statuizioni che sono state impugnate con distinti motivi di ricorso principale, nel prosieguo fatti oggetto di scrutinio) trovano piena corrispondenza nel dispositivo della sentenza impugnata, di rigetto dell’appello, così da potersi ritenere – anche in ragione della argomentata motivazione assunta a sostegno della infondatezza dei motivi di gravame, rispetto a quella, lapidaria, sull’inammissibilità che la Corte territoriale, con il rilievo dell’inammissibilità, non abbia inteso spogliarsi della propria potestas iudicandi , ma, piuttosto, abbia voluto rafforzare la propria decisione di mancato accoglimento dei motivi di appello con una ragione alternativa ad abundantiam , che,
tuttavia, è rimasta fuori dal perimetro della decisione finale di ‘rigetto’ nel merito dell’impugnazione (Cass. n. 30354/2017; Cass. n. 7995/2022; Cass. n. 28364/2022).
29.2. L’ ottavo motivo è infondato.
È principio consolidato che la modificazione, da parte del giudice di appello, della qualificazione giuridica della domanda operata dal primo giudice è illegittima – per violazione del giudicato interno formatosi in ragione dell’omessa impugnazione sul punto della parte interessata -solo se detta qualificazione abbia condizionato l’impostazione e la definizione dell’indagine di merito (Cass. n. 12943/2012; Cass. n. 18427/2013; Cass. n. 14077/2018; Cass. n. 10745/2019; Cass., S.U., n. 16084/2021; Cass. n. 27943/2022); né, peraltro, è dato apprezzare la formazione di detto giudicato sia nel caso in cui l’appellante, pur non censurando la qualificazione giuridica adottata dal primo giudice, abbia formulato motivi di censura incompatibili con essa (Cass. n. 9048/2018; Cass. n. 2612/2021; Cass., S.U., n. 16084/2021), sia nell’ipotesi che la qualificazione giuridica del rapporto non abbia formato oggetto di contestazione tra le parti (Cass. n. 4455/2017; Cass. n. 12159/2023).
29.2.1. – Nella specie, la qualificazione giuridica, effettuata dalla Corte territoriale, dell’azione proposta dal Comune di Rho in termini di azione rivalsa ex art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 e 242-253 del d.lgs. n. 152/2006, per le spese relative ad interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale (di seguito anche solo: interventi di ‘mis.b.ra.’), rispetto a quella di risarcimento del danno ambientale che si assume aver operato il primo giudice azioni (di rivalsa e risarcitoria) che rinvengono la rispettiva base
legale in ambiti di disciplina che, pur palesando, sul piano della armonizzazione di sistema, qualche ‘incertezza propria di un’indubbia proliferazione di interventi, tecnici e di prescrizione amministrativa’, sono pur sempre caratterizzati da ‘elementi tipizzanti e distintivi’ (cfr. Cass., S.U., n. 3077/2023 al § 30) -, non ha comportato alcun condizionamento sull’impostazione e la definizione dell’indagine di merito, essendo a tal fine rimasti immodificati i fatti originariamente dedotti dalle parti, potendo, quindi, il giudice di appello liberamente qualificarli, nei limiti delle domande e delle eccezioni dalle stesse parti proposte.
E che i fatti di causa siano rimasti immutati in primo e secondo grado è circostanza che la ricorrente principale neppure contesta con il motivo in esame e che, in ogni caso, si evince dalla stessa sentenza di appello, là dove questa ribadisce l’identità del bene della vita ( causa petendi e petitum ) oggetto della pretesa del Comune di vedersi rimborsate, in base alla disciplina recata dall’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 e, quindi, da quella di cui agli artt. 242253 del d.lgs. n. 152/2006 (nella quale la prima è stata trasfusa e resa più articolata), le spese sopportate in luogo del responsabile dell’inquinamento. Pretesa, questa, già avanzata stragiudizialmente con la nota del 18 ottobre 2011 (cfr. ‘DOC XXVII’ atti depositati da Edison), avverso la quale è originata l’azione civile di Edison dinanzi al Tribunale di Milano, nonché ribadita con le domande riconvenzionali proposte dallo stesso Comune di Rho in quello stesso giudizio civile, su cui si sono pronunciati entrambi i giudici di merito, non essendovi alcuna novità, tra primo e secondo grado, circa il thema decidedum perimetrato dalle allegazioni, in fatto e diritto, delle parti .
29.2.2. – Inoltre, ragione ulteriore di infondatezza del motivo si rinviene nella circostanza -evidenziata dal Comune controricorrente (p. 30 del controricorso) e risultante dagli atti – per cui con l’appello incidentale era stata denunciata la liquidazione in via equitativa delle ‘spese future’ operata dal Tribunale, deducendosi l’erroneità di tale statuizione rispetto alla ‘logica puramente indennitaria che presiede l’azione di rivalsa nei confronti del responsabile dell’inquinamento’; con ciò essendo stato formulato un motivo di censura incompatibile con la qualificazione giuridica dell’azione in termini di risarcimento del danno da illecito.
29.2.3. – Infine, varrà osservare che, per un verso, era stata la stessa RAGIONE_SOCIALE a devolvere in appello (con il secondo motivo) la questione della qualificazione giuridica dell’azione del Comune come azione di rivalsa per l”ipotesi’ che tale fosse stata la qualificazione data dallo stesso Tribunale – e che, per altro verso, la stessa ricorrente principale non ha dedotto, con il motivo in esame, che sull’anzidetta questione si sia svolta controversia in primo grado per avervi le parti discusso. Circostanza, questa, di cui, del resto, la stessa sentenza del Tribunale non dà evidenza, là dove, poi, è la stessa ricorrente principale a sostenere che la qualificazione dell’azione come risarcitoria, ai sensi dell’art. 311 del d.lgs. n. 152/2006, sarebbe frutto non di una espressa presa di posizione del primo giudice sul punto, ma di interpretazione della relativa pronuncia, tanto dovendosi desumere dal rigetto dell’eccezione di prescrizione quinquennale per il risarcimento del danno ambientale (pp. 10/11 sentenza del Tribunale: cfr. ‘DOC XXIX’ atti depositati
da RAGIONE_SOCIALE) e dalla liquidazione equitativa del ‘danno’ (pp. 23/23 sentenza del Tribunale). E questo senza, però, tener conto del fatto, particolarmente significativo a conforto semmai di un diverso orientamento qualificatorio da parte del primo giudice, rappresentato dal rigetto dell’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla stessa RAGIONE_SOCIALE e che il Tribunale ha respinto in forza del richiamato dictum di cui all’ordinanza n. 20350/2018 delle Sezioni Unite civili di questa Corte che, nel dichiarare inammissibile il ricorso per regolamento preventivo proposto da RAGIONE_SOCIALE nel corso del presente controversia, avevano individuato il petitum sostanziale della causa nella ‘debenza o meno da parte di RAGIONE_SOCIALE del rimborso al Comune di Rho delle spese per l’attività di messa in sicurezza e bonifica dell’area oggetto, secondo il disposto di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 17 … e del relativo regolamento di esecuzione, di cui al D.M. 25 ottobre 1999, n. 471′ (pp. 4/5 sentenza del tribunale).
30. -Vanno, quindi, esaminati i motivi ventitreesimo, ventiquattresimo, venticinquesimo e ventiseiesimo, in tema di eccezione (preliminare di merito) di prescrizione sollevata da RAGIONE_SOCIALE in ordine al diritto di credito vantato dal Comune di Rho.
30.1. -Per inquadrare la natura giuridica di detto diritto -ossia, come accertato dalla Corte di appello (in forza di qualificazione giuridica non più sindacabile all’esito dello scrutinio che precede), il diritto di rivalsa, ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 (e del regolamento attuativo di cui al d.m. n. 471/1999) e degli artt. 242-253 del d.lgs. n. 152/2006, per le spese di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale del sito ‘ ex RAGIONE_SOCIALE‘, di cui si è fatto carico il Comune di Rho in luogo del responsabile dell’inquinamento (RAGIONE_SOCIALE e, quindi, RAGIONE_SOCIALE) occorre chiarire sin d’ora quale sia (per quanto qui rileva) la complessiva portata applicativa della fattispecie che lo ha
originato; ricognizione che, peraltro, tornerà utile ai fini dell’esame degli ulteriori motivi di ricorso e alla quale potrà farsi rinvio.
30.1.1. – A tal fine giova premettere -quali incontestate circostanze di fatto, oggetto di accertamento in sede di merito -che nel novembre 1999 (febbraio 2000) la Provincia di Milano rilevò la contaminazione del sito ‘ ex area RAGIONE_SOCIALE‘ e che sulla scorta di tale accertamento il Comune di Rho, in data 11 luglio 2000 (cfr. ‘DOC II’ atti depositati da Edison), emise un provvedimento nei confronti di Montedison S.p.A. con il quale, ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 e dell’art. 8 del d.m. n. 471/1999, ordinava alla società di effettuare interventi di ‘mis.b.ra.’ della parte nord della ‘ ex area RAGIONE_SOCIALE‘, sul presupposto che dell’inquinamento dell’anzidetta area fosse responsabile Montedison, in quanto cagionato da attività industriale riconducibile alla stessa società.
L’ordinanza dell’11 luglio 2000 venne impugnata da RAGIONE_SOCIALE dinanzi al T.A.R. per la Lombardia (giudizio cui vennero riuniti altri ricorsi per l’impugnazione, anche tramite motivi aggiunti, di ulteriori provvedimenti conseguenziali, relativi al progetto, prima preliminare e poi definitivo-esecutivo, per la realizzazione di barriera idraulica a sud dell’area ‘ ex RAGIONE_SOCIALE‘: cfr. p. 9 sentenza TAR Lombardia n. 1808/2011, in ‘DOC I’ atti depositati da RAGIONE_SOCIALE), che, con ordinanza cautelare (n. 2724/2000), ne sospendeva l’effetto in ‘difetto di ogni definitivo accertamento in ordine alle cause ed alla responsabilità del rilevato inquinamento’, rimettendo al Comune ‘di attivarsi direttamente per far fronte ad ogni rischio ambientale, fermo il recupero dei relativi oneri nei confronti degli eventuali soggetti responsabili’ (cfr. pp. 8/9 sentenza n. 1808/2011 TAR Lombardia).
Nelle more del giudizio dinanzi al T.A.R. (poi definito con la citata sentenza n. 1808/2011, che annullava l’ordinanza comunale dell’11 luglio 2000; sentenza, quindi, riformata dal Consiglio di
Stato con sentenza n. 3564/2014 -cfr. ‘DOC III’ atti depositati da RAGIONE_SOCIALE -, di rigetto dei ricorsi proposti da RAGIONE_SOCIALE) il Comune di Rho -con comunicazione del 18 ottobre 2011 -intimò alla RAGIONE_SOCIALE non più di provvedere all’esecuzione delle opere di bonifica, bensì il pagamento delle somme corrispondenti ai costi sostenuti dal medesimo Comune per interventi di ‘mis.b.ra.’ della ‘ ex area RAGIONE_SOCIALE‘.
Di qui, pertanto, l’insorta controversia civile tra RAGIONE_SOCIALE e il Comune di Rho, decisa, in grado di appello, dalla sentenza impugnata in questa sede.
30.1.2. -Ciò rammentato in fatto, occorre evidenziare in diritto che, in base all’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997, gli interventi, e le relative spese, di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento sono a carico di chi ‘cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1, lettera a) , ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi’ (comma 2).
A tal riguardo , il responsabile dell’inquinamento è tenuto ad attivarsi tempestivamente sia per notiziare le amministrazioni territorialmente competenti (Comune, Provincia e Regione) di detta situazione (di inquinamento o pericolo di esso), sia al fine di procedere agli interventi di messa in sicurezza necessari per non aggravare la situazione di inquinamento o di relativo pericolo e contenere gli effetti e ridurre il rischio sanitario ed ambientale, nonché (entro 30 giorni dall’evento) per presentare al Comune un progetto di bonifica delle aree inquinate (soggetto ad approvazione del Comune, che autorizza, quindi, la realizzazione degli interventi previsti entro
novanta giorni dalla data di presentazione del progetto medesimo: comma 4).
Il superamento dei limiti previsti per i livelli di inquinamento in determinati siti può, tuttavia, essere oggetto di individuazione diretta da parte di ‘soggetti e … organi pubblici … nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali’, i quali ne danno comunicazione al Comune, alla Provincia e alla Regione; sicché il Comune, in base a tale comunicazione, ‘diffida il responsabile dell’inquinamento a provvedere ai sensi del comma 2’ (comma 3).
Ove non provveda il responsabile dell’inquinamento o questo non sia individuabile, ‘gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale sono realizzati d’ufficio dal Comune territorialmente competente’ o, se non provvede il Comune, dalla Regione (comma 9).
Dispongono, quindi, i commi 10 e 11 che:
a ) ‘(g)li interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale nonché la realizzazione delle eventuali misure di sicurezza costituiscono onere reale sulle aree inquinate di cui ai commi 2 e 3. L’onere reale deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica ai sensi e per gli effetti dell’articolo 18, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47’;
b ) ‘(l)e spese sostenute per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale delle aree inquinate nonché per la realizzazione delle eventuali misure di sicurezza, ai sensi dei commi 2 e 3, sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2748, secondo comma, del codice civile. Detto privilegio si può esercitare anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull’immobile. Le predette spese sono altresì assistite da privilegio generale mobiliare’.
Come accennato, a seguito dell’abrogazione dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997, la relativa disciplina è stata trasfusa, e resa più
articolata sotto il profilo procedimentale, negli artt. 242-253 del d.lgs. n. 152/2006.
In estrema sintesi:
-gli obblighi a carico del responsabile dell’inquinamento sono regolamentati dall’art. 242 (prevedendo l’art. 242 -bis una procedura semplificata per le operazioni di bonifica);
-il potere di accertamento rimesso alle pubbliche amministrazioni in ordine alla contaminazione dei siti, il potere di diffida del responsabile dell’inquinamento a provvedere agli interventi necessari di salvaguardia e bonifica necessarie e l’attivazione sostitutiva della P.A. (in caso di inerzia del responsabile o di mancata individuazione del medesimo o, ancora, di carente attivazione del proprietario del sito e di altri soggetti interessati) trovano evidenza negli artt. 244 e 250;
le garanzie (onere reale sui siti contaminati e privilegio speciale immobiliare sulle spese sostenute) per gli interventi operati d’ufficio dalla P.A. e per le spese al tal fine sopportate, nonché l’azione di ripetizione nei confronti del proprietario del sito incolpevole dell’inquinamento ove sia impossibile individuare il responsabile dell’inquinamento ovvero esercitare o esercitare fruttuosamente la rivalsa nei confronti di quest’ultimo e, infine, l’azione di rivalsa, ‘per le spese sostenute e per l’eventuale maggior danno subito’, esercitabile dal proprietario non responsabile dell’inquinamento, che abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato, nei confronti del responsabile dell’inquinamento, sono disciplinate dall’art. 253.
30.1.3. -La giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, in particolare: Cass. n. 1573/2019 e Cass. n. 32142/2019) ha già avuto modo di soffermarsi sugli elementi costitutivi della fattispecie di rivalsa disciplinata dalla normativa innanzi illustrata (art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 e, quindi, artt. 239-253 del d.lgs. n. 152/2006), sebbene in ipotesi -di bonifica spontanea di sito inquinato da parte
del proprietario incolpevole, con diritto di rivalsa nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute – non del tutto sovrapponibile a quella in esame.
Tuttavia, i principi enunciati dai richiamati precedenti palesano una vocazione più generale e, ove attinenti a profili coincidenti tra le due fattispecie, possono trovare applicazione anche nel caso di specie, con le precisazioni che seguono.
Va, anzitutto, ribadito che il soggetto passivo dell’obbligazione (di rimborso) prevista dalla legge è il ‘responsabile dell’inquinamento’ in forza del principio, di matrice comunitaria, ‘chi inquina paga’ – e tale qualifica (come precisato dalla richiamata Cass. n. 1573/2019, da cui sono tratte anche le ulteriori citazioni) ‘attiene non al giudizio di valore della condotta sotto il profilo soggettivo del requisito psicologico (dolo o colpa), ma al giudizio eziologico relativo al profilo oggettivo dell’avere meramente dato causa all’inquinamento’ e, dunque, in ragione del mero evento della contaminazione del sito.
In tal senso depone la stessa la ‘logica indennitaria che presiede al sistema normativo in esame’, per cui il responsabile dell’inquinamento ‘è tenuto a tenere indenne l’amministrazione’ (o, in diversa ipotesi, il proprietario del sito) ‘delle spese sopportate per la bonifica e conseguenti al fatto obiettivo dell’inquinamento’; il ripristino ambientale, infatti, è eseguito in forza ‘dell’evento di inquinamento’ e, quindi, ‘la ripetizione delle spese viene esercitata sul presupposto del mero evento, senza connotazioni soggettive di valore quanto alla condotta del responsabile’.
La fattispecie legale dà luogo, pertanto, ad ‘una responsabilità per pura causalità non riconducibile neanche alla responsabilità civile di tipo oggettivo’ (la quale, in ogni caso, postula «una forma di imputazione soggettiva dell’evento dannoso di natura ‘posizionale’, dipendente cioè dalla particolare collocazione del soggetto reso responsabile rispetto alla causa del
danno, tale da renderlo come il soggetto che meglio di chiunque altro può prevenire tale pregiudizio»).
Sicché, ‘(a)i fini della disciplina in esame la responsabilità dell’inquinamento non corrisponde a responsabilità per danno ma a responsabilità dell’evento, cui la legge collega un complesso di effetti giuridici’.
Dunque, la ‘logica puramente indennitaria che presiede all’azione di rivalsa nei confronti del responsabile, esercitata dall’autorità amministrativa …, sottrae la fattispecie della rivalsa all’illecito aquiliano’ e le spese sostenute dalla pubblica amministrazione sono tali in ‘adempimento di funzione pubblica’, così da doversi ‘esclud(ere) che la rivalsa possa acquistare il contenuto della reintegrazione di una perdita patrimoniale determinata da un illecito’.
La ripetizione delle spese, quindi, è conseguenza così di una ‘obbligazione di fonte legislativa’, i cui presupposti di fatto, per ciò che concerne segnatamente la posizione dell’amministrazione – e, dunque, per il caso che qui rileva -, sono costituiti (in linea con quanto ritenuto dalla giurisprudenza eurounitaria: Corte di giustizia dell’Unione europea, 4 marzo 2015, in C -534/13, §§ 49-51) dall’accertamento di una situazione di inquinamento, dalla mancata attivazione, (spontanea o) a seguito di ‘diffida’, del soggetto ‘responsabile dell’inquinamento’ (cui, pertanto, l’inquinamento stesso sia solo oggettivamente riconducibile) a ‘provvedere ai sensi del comma 2’ (dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 e, quindi, successivamente, in base agli artt. 242, 244 e 250 del d.lgs. n. 152/2006) -ossia ‘a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento’ e, infine, dalla realizzazione ‘d’ufficio’, in via sostitutiva, di detti interventi (con sopportazione dei relativi costi)
da parte del Comune (o, in carenza, della Regione) ove il responsabile dell’inquinamento non vi provveda.
L’obbligazione del responsabile dell’inquinamento, di rimborso dell’amministrazione che abbia realizzato (per l’appunto, sostenendone i costi) gli interventi di bonifica cui era tenuto detto responsabile, è, pertanto, una ‘obbligazione ex lege, di contenuto indennitario e non risarcitorio, soggetta quindi all’ordinario termine di prescrizione decennale ed alle regole dell’onere probatorio in materia di obbligazioni non derivanti da fatto illecito’, con esclusione anche della regola della responsabilità solidale di cui all’art. 2055 c.c., perché trattasi di disciplina normativa che, come detto, ‘contempla un’obbligazione di carattere non risarcitorio derivante pertanto non da fatto illecito, ma da un altro fatto idoneo a produrla secondo l’ordinamento giuridico (cfr. art. 1173 cod. civ.)’.
Ne consegue che la pubblica amministrazione (Comune ovvero Regione), la quale, in luogo dell’obbligato responsabile dell’inquinamento, abbia provveduto ‘d’ufficio’ agli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale, ha diritto al ‘rimborso delle spese necessarie all’espletamento di una pubblica funzione’ alla stregua di un peculiare meccanismo di sussidiarietà verticale attraverso il quale, a garanzia della tutela di un bene di interesse super-individuale e dotato di rilevanza costituzionale, è sempre assicurato il ripristino ambientale da cui ‘l’inapplicabilità dello statuto disciplinare proprio dell’illecito civile, tanto in ordine alla prova della ricorrenza degli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità quanto con riferimento alla prescrizione ed alla solidarietà’ (Cass. n. 32142/2019).
A tal riguardo, è opportuno ribadire che il diritto di rivalsa del Comune era già chiaramente insito nella disciplina di cui all’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 (che, del resto, ai commi da 9 a 11, faceva riferimento ad anticipazione di somme per gli interventi e
contemplava gli istituti di garanzia creditoria dell’onere reale e del privilegio speciale immobiliare), avendo, poi, trovato espressa indicazione in quella recata dal d.lgs. n. 152/2006, là dove esplicitamente, all’art. 253, comma 3, si consente la ripetizione delle spese nei confronti del proprietario del sito incolpevole dell’inquinamento solo in forza di provvedimento motivato della P.A. che, tra l’altro, giustifichi proprio che nei confronti del responsabile dell’inquinamento si verifichi ‘l’impossibilità di esercitare azioni di rivalsa … ovvero la loro infruttuosità’.
30.2. -Ciò premesso, i motivi ventitreesimo e ventiquattresimo, da esaminarsi congiuntamente perché strettamente connessi, sono infondati.
Alla luce di quanto evidenziato, la Corte territoriale ha correttamente applicato al caso di specie il termine prescrizionale ordinario, decennale, di cui all’art. 2946 c.c. (non avendo la legge fissato, per la fattispecie in esame, un diverso termine) e, del pari, correttamente, individuato il dies a quo del predetto termine in date non anteriori a quelle in cui il Comune ha effettuato i pagamenti per la realizzazione delle attività preordinate alla messa in sicurezza, alla bonifica e al ripristino ambientale dell’area inquinata (e sino a che a tanto non si sia definitivamente provveduto).
Ciò, per l’appunto, in coerenza con la complessiva fattispecie legale che, secondo una logica indennitaria (e non risarcitoria), viene a delineare in capo al responsabile dell’inquinamento un obbligo ex lege di rimborso in favore del Comune, il quale abbia provveduto ‘d’ufficio’, in via sostitutiva, adempiendo ad una pubblica funzione, con diritto di rivalsa, dunque, per la perdita patrimoniale consistita negli esborsi a tal fine effettuati, che sarebbero dovuti gravare sullo stesso anzidetto responsabile, tenuto, per legge, a dover provvedere, a proprie spese, agli interventi di ‘mis.b.ra.’.
Sicché, per le ragioni anzidette, va attribuito rilievo, ai fini dell’ exordium praescriptionis , al momento dell’esborso sostenuto dall’amministrazione in via sostitutiva del responsabile dell’inquinamento, dovendo ritenersi, quindi, che l’esercizio del diritto di rivalsa non possa essere fatto valere prima del ‘pagamento’ ossia, della spesa effettivamente sostenuta per gli interventi di ‘mis.b.ra.’ e, quindi, che, ai sensi dell’art. 2935 c.c., l’inizio della decorrenza del termine decennale di prescrizione debba individuarsi nel predetto momento (cfr., inoltre, in termini più generali sulle azioni di rivalsa dell”erogante’, per la decorrenza della prescrizione, ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., dal momento del pagamento: tra le altre, Cass. n. 4363/1997; Cass. n. 6769/2001; Cass. n. 13600/2019; Cass. n. 16797/2019; Cass. n. 37709/2021).
30.3. -I motivi venticinquesimo e ventiseiesimo, congiuntamente scrutinati, sono inammissibili.
Con essi è censurata l’ulteriore ed autonoma ratio decidendi della sentenza impugnata che, ad abundantiam , ha ritenuto comunque non maturata anche la prescrizione quinquennale del credito vantato dal Comune di Rho; ratio che, tuttavia, è assorbita dalla statuizione resa dalla Corte territoriale sulla (non maturazione della) prescrizione decennale -quale fattispecie prescrizionale applicabile nel caso di specie -oggetto di conferma all’esito dello scrutinio dei motivi (23° e 24°) che precedono.
31. -Vanno ora esaminati i motivi undicesimo, dodicesimo, tredicesimo e quattordicesimo, con i quali si denunciano errores iuris circa la disciplina normativa applicata ai fatti di causa.
31.1. -L’ undicesimo motivo è inammissibile, prima ancora che infondato (alla luce dello scrutinio che seguirà sui motivi 12° e 13°).
Varrà, infatti, rammentare che la deduzione per la prima volta nel giudizio di legittimità di una diversa normativa rispetto a quella invocata nei gradi di merito è ammissibile salvo che non
comporti il necessario esame dei presupposti di fatto richiesti dalla differente disciplina per la riconoscibilità del diritto controverso e, dunque, indagini ed accertamenti fattuali riservati al giudice di merito, anche ove si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (tra le molte: Cass. n. 5809/1999; Cass. n. 17041/2013; Cass. n. 14477/2018; Cass. n. 25863/2018).
L’accertamento in sede di merito è stato nel senso di ricondurre nell’ambito applicativo del d.lgs. n. 22/1997 e, quindi, del d.lgs. n. 152/2006 il fatto dell’inquinamento dell’area ‘ ex RAGIONE_SOCIALE‘, individuato nelle ‘sostanze prodotte nell’insediamento industriale … e versate nel suolo’, là dove la ricorrente principale assume, solo in questa sede -e, comunque, non dà contezza alcuna con il motivo di ricorso in esame di aver veicolato la medesima questione dinanzi ai giudici di merito, ciò che, del resto, neppure risulta dalla impugnata sentenza -, trattarsi di ‘condotta di scarico/sversamento di acque reflue sul suolo’ soggetta alla legge n. 319/1976, ciò che implica un’indagine sui presupposti fattuali che consentono l’applicazione della diversa normativa, là dove, peraltro, non trova neppure puntuale coincidenza l’allegazione di parte con l’accertamento giudiziale.
Il motivo è, comunque, infondato in ragione delle medesime considerazioni che seguono.
31.2. -I motivi dodicesimo e tredicesimo – e con essi anche l’ undicesimo – sono infondati.
E lo sono alla luce del principio – che il Collegio condivide e al quale intende dare continuità secondo cui ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997, ora trasfuso (anche) nell’art. 253 del d.lgs. n. 152/2006, l’inquinatore (per quanto rileva in questa sede) è tenuto alla bonifica e al ripristino ambientale del sito inquinato non già in virtù di un’applicazione retroattiva delle citate disposizioni, bensì in ragione della situazione di inquinamento perdurante alla loro entrata in vigore e suscettibile di essere interrotta solo con la
bonifica, indipendentemente dal momento in cui sono avvenuti i fatti che hanno provocato l’alterazione ambientale (Cass. n. 32142/2019).
In particolare, con la citata Cass. n. 32142/2019, si è precisato che l’applicazione della normativa del 1997, e, quindi, del 2006, è correlata al presupposto della ‘responsabilità per gli effetti perduranti dell’inquinamento che abbisognano dell’adozione delle misure di rimozione’, per cui ‘la ricorrenza di una situazione di inquinamento perdurante al momento dell’entrata in vigore della normativa imponente specifici obblighi di bonifica dei siti inquinati, indipendentemente dal momento in cui sono avvenuti i fatti che hanno provocato l’alterazione ambientale, imporrebbe un obbligo di intervento, in quanto l’evento in sé dà luogo ad una situazione destinata a restare permanente, ove le cause della compromissione ambientale non vengano rimosse’.
Non si tratta, pertanto, di una ‘applicazione retroattiva della prescrizione degli obblighi di facere derivanti dall’inquinamento ambientale’, ma della ‘applicazione delle nuove disposizioni normative rispetto ad eventi ancora in corso suscettibili di essere interrotti solo con la bonifica’.
E’, dunque, corretta la decisione della Corte territoriale di fare applicazione -non già della legge n. 319/1976 e/o dell’art. 2043 c.c. (e, dunque, non essendo tenuto il giudice di appello neppure a dover verificare la sussistenza dell’elemento psicologico che l’illecito aquiliano richiede come costitutivo) -, bensì della disciplina di cui all’art. 17, d.lgs. 22/1997 e, quindi, al d.lgs. 152/2006, essendo la condotta posta in essere dalla Montedison S.p.A. (riferibile, poi, ad Edison S.p.A.) individuabile non (sol)tanto nell’attività industriale inquinante -quella di ‘sostanze prodotte nell’insediamento industriale … e versate nel suolo’ -, realizzata sino (e, dunque, prima) del 1979, ma anche (e segnatamente) negli effetti di tale attività, ossia nella situazione di perdurante inquinamento
accertata nel 1999 che richiedeva, ai sensi di legge – in forza della quale interveniva la diffida del Comune di Rho nel luglio 2000 -, l’attivazione del soggetto responsabile per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale del sito inquinato. Attivazione che è mancata, avendo fatto seguito l’intervento ‘d’ufficio’ dello stesso Comune e, quindi, l’esercizio da parte dell’amministrazione medesima, in base alla normativa applicata in giudizio, dell’azione di rivalsa (ancorata ai presupposti oggettivi evidenziati al § 30.1.3., che precede) per i relativi costi.
31.3. -Il quattordicesimo motivo è inammissibile, prima ancora che infondato.
La questione della asserita revoca implicita, da parte del Comune, del provvedimento dell’11 luglio 2000 a seguito dell’azione giudiziaria di rivalsa (facente seguito alla nota del 18 ottobre 2011 con cui veniva richiesto il pagamento ad Edison degli esborsi effettuati per l’attività di bonifica del sito inquinato) non risulta che sia stata posta in sede di giudizio di merito dall’attuale ricorrente principale, la quale dà contezza soltanto del motivo di appello (tredicesimo) con il quale lamentava un’omessa pronuncia del primo giudice sulla «insussistenza dell”elemento essenziale della violazione di legge o di provvedimenti amministrativi’» quanto all”illecito ambientale’, in ragione della dedotta inapplicabilità, al caso di specie, dei ‘valori -soglia di contaminazione’ (cfr. p. 79 del ricorso); né, del resto, della specifica questione veicolata con il presente motivo di censura si rinviene traccia nella sentenza impugnata (cfr. pp. 23 e 24 della sentenza di appello in risposta al 13° motivi di gravame).
Di qui, pertanto, l’inammissibilità del motivo, che pone solo in questa sede, per la prima volta, una questione, implicante anche accertamenti di fatto, non trattata nella fase di merito (tra le altre: Cass. n. 2140/2006; Cass. n. 25319/2017).
Peraltro, il motivo è, comunque, infondato, giacché la proposta doglianza (e semmai fosse davvero ravvisabile una revoca implicita del provvedimento di ‘diffida’ di Edison a provvedere all’attività di bonifica, tenuto conto, tra l’altro, che il giudizio dinanzi al G.A. è stato coltivato dal Comune anche dopo l’azione in sede civile, sino a dar luogo ad un giudicato favorevole per lo stesso Comune) si colloca nella medesima prospettiva che sostanzia i motivi dall’undicesimo al tredicesimo, ossia quella che, come visto, è risultata non priva di consistenza – che intende negare rilevanza, nella specie, alla disciplina di cui al d.gs. n. 22/1997 e al d.lgs. n. 152/2006, ritenendo applicabile l’art. 2043 c.c. in ragione dell’esistenza di una fattispecie di danno ambientale.
Né, del resto, può sottacersi la considerazione secondo cui non è dato far discendere il venir meno dell’obbligo di bonifica dalla ‘implicita revoca del provvedimento’ da parte del Comune nel momento in cui quest’ultimo ha agito per la rivalsa delle spese sostenute in conseguenza della realizzazione degli interventi di ‘mis.b.ra.’, giacché detto obbligo non è venuto meno, ma si è convertito nel diverso obbligo di corrispondere all’Ente le spese che abbia dovuto sostenere in via sostitutiva.
-Occorre procedere, ora, allo scrutinio dei motivi primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto, concernenti le cause dell’inquinamento e la relativa responsabilità.
32.1. -I motivi primo, quinto e sesto -da scrutinarsi congiuntamente perché propongono censure tra loro connesse in tema di incidenza sul presente giudizio del giudicato amministrativo -sono infondati.
32.1.1. -E’ principio risalente e consolidato (cfr. Cass., S.U., n. 1636/1964; Cass. n. 15393/2014; Cass. n. 15082/2023) che il giudicato amministrativo, anche se si forma sull’atto e non sul rapporto, attiene a tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, compresa la risoluzione delle questioni che costituiscono
la premessa necessaria o il fondamento logico e giuridico della pronuncia dispositiva, con la conseguenza che esso, ancorché la sentenza provenga da un giudice speciale, preclude il riesame di tali questioni in altro giudizio proposto tra le stesse parti separatamente o con finalità diverse dinanzi al giudice ordinario, negli stessi limiti previsti dall’art. 2909 c.c.
Dunque, il giudicato amministrativo intervenuto inter partes sull’impugnativa di determinati provvedimenti amministrativi ben può essere utilmente invocato anche in altro giudizio, civile, in relazione ai suoi presupposti fattuali e/o logico-giuridici.
32.1.2. – E tanto non trova eccezione nella fattispecie in esame, rispetto alla quale non opera il diverso principio (del valore meramente probatorio del giudicato amministrativo in ordine all’individuazione del responsabile dell’inquinamento, il cui accertamento è rimesso al giudice ordinario investito della controversia) enunciato da Cass. n. 1573/209 e ribadito da Cass. 32142/2019, giacché pertinente -come in precedenza accennato -a fattispecie differente da quella in esame, poiché riguardante il diritto di rivalsa esercitato dal proprietario (incolpevole) del sito inquinato nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute per la bonifica spontaneamente realizzata. Dunque, in controversia tra privati, della quale non è (e non lo era nelle cause decise dai precedenti innanzi citati) parte la pubblica amministrazione che ha emesso i provvedimenti amministrativi relativi alla procedura di legge (di cui ai più volte richiamati artt. 17 del d.lgs. n. 22/1997 e 239-253 del d.lgs n. 152/2006) volta all’accertamento della contaminazione del sito e all’individuazione del relativo responsabile.
Nel caso in esame, la causa, come già evidenziato (cfr. § 29 e relativi sotto§§, che precedono), ha come oggetto il diritto di rivalsa per il recupero delle spese di ripristino ambientale esercitato, nei confronti del soggetto responsabile
dell’inquinamento (RAGIONE_SOCIALE), dalla stessa amministrazione pubblica (Comune di Rho) i cui provvedimenti amministrativi (e, segnatamente, quello di ‘diffida’ del responsabile a provvedere agli interventi di ‘mis.b.ra.’ a seguito di accertamento della contaminazione dell’area ‘ ex RAGIONE_SOCIALE‘) sono stati impugnati dinanzi al giudice amministrativo dal soggetto, per l’appunto, (individuato come) responsabile; giudizio che è stato definito con sentenza (n. 3465/2014 del Consiglio di Stato), passata in giudicato, di rigetto dell’impugnazione.
Sicché, il giudicato amministrativo così formatosi fa stato anche nel presente giudizio civile in relazione a (taluni) presupposti fattuali e logicogiuridici dell’azione rivalsa esercitata dal Comune di Rho e, segnatamente (come in precedenza evidenziato: § 30.1.3.), all’accertamento del superamento dei limiti previsti per i livelli di inquinamento nell’area ‘ ex RAGIONE_SOCIALE‘ e all’accertamento del soggetto ‘responsabile dell’inquinamento’ del sito, Montedison S.p.A., come tale già individuato dal provvedimento di ‘diffida’ a ‘provvedere alla bonifica del sito inquinato’, emesso dall’amministrazione comunale (nel luglio 2000) ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 nei confronti della RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE.
32.1.3. -Ciò premesso, varrà ancora rammentare che, essendo il giudicato assimilabile agli ‘elementi normativi’, esso è da interpretarsi alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, nella ricerca del significato oggettivo della regola o del comando di cui il provvedimento è portatore, con conseguente sindacabilità sotto il profilo della violazione di legge degli eventuali errori interpretativi; ne deriva che il giudice di legittimità può direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed
accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito (Cass., S.U., n. 24664/2007; Cass., S.U., n. 11501/2008; Cass. n. 15339/2018; Cass. n. 30838/2018).
32.1.4. -Dunque, sulla scorta di quanto risultante dalle sentenze del giudice amministrativo innanzi citate e, segnatamente, di quella del Consiglio di Stato n. 3564/2014, che ha definito il giudizio di impugnativa introdotto dalla RAGIONE_SOCIALE contro (anche) il Comune di Rho per l’annullamento (tra gli altri, ma anzitutto) del provvedimento di diffida a provvedere agli interventi di ‘mis.b.ra.’ dell’11 luglio 2000, emerge con effetto di giudicato inter partes -che la causa della contaminazione dell’area ‘ex RAGIONE_SOCIALE‘, riscontrata nel 1999 (dalla relazione tecnica della Provincia di Milano del 16 novembre 1999 e dal verbale del 1 febbraio 2000 del gruppo di lavoro istituito presso la stessa) per livelli superiori a quelli consentiti, è da ricondursi (in forza dell’accertato nesso di causa materiale in base alla regola di giudizio del ‘più probabile che non’ e, alla luce del principio ‘chi inquina paga’, di un impianto probatorio indiziario coerente con le indicazioni di cui alla sentenza della CGUE 9 marzo 2010, in C378/08) alle attività industriali di natura chimica poste in essere nell’area dalla Montedison S.p.A. fino agli anni settanta. Di qui, la conseguente individuazione di Montedison S.p.ARAGIONE_SOCIALE (e, quindi, di RAGIONE_SOCIALE S.p.ARAGIONE_SOCIALE quale soggetto, oggettivamente, responsabile dell’inquinamento, tenuto, quindi, agli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale in forza della disciplina recata dal d.lgs. n. 22/1997 e dal relativo regolamento ministeriale n. 471/1999, applicabili ratione temporis ‘onde fare cessare gli effetti di una condotta omissiva a carattere permanente, che possono essere elisi solo con la bonifica’ (così sentenza n. 3465/2014).
Erra, quindi, la ricorrente principale a sostenere che il giudicato amministrativo abbia rinvenuto la causa dell’inquinamento dell’area ‘ ex RAGIONE_SOCIALE‘ nell’inidoneità del dispositivo di incapsulamento della vasca, risalente al 1992, a contenere le sostanze inquinanti, così da doversi escludere la responsabilità di Montedison perché la relativa attività industriale, in detta aera, era cessata alla fine degli anni settanta, giacché, sebbene anche a detto fenomeno inquinante abbiano fatto riferimento entrambe le sentenze dei giudici amministrativi, nondimeno le stesse hanno comunque rivenuto la causa dell’inquinamento, e la responsabilità di Montedison, nell’attività industriale dalla stessa società svolta per molti anni in quel sito (cfr. già pp. 15/16 della sentenza n. 1808/2011).
In particolare, poi, la sentenza del Consiglio di Stato n. 3465/2014, che ha definito il giudizio con effetti di giudicato inter partes , è chiara nel porre in evidenza che ‘la legittimità dell’individuazione della ricorrente come soggetto da ritenere, ai fini che occupano, responsabile dell’inquinamento riscontrato e dunque da gravare delle misure ripristinatorie cui questa azione amministrativa è nell’interesse generale orientata’ non era correlata ad una accertata situazione di contaminazione delle acque dovuta alla sola inidoneità del dispositivo di incapsulamento della vasca a contenere le sostanze inquinanti, ma anche dalla ‘circostanza che l’attività dell’industria chimica per lungo tempo svolta dalle società del gruppo su tale area si è protratta fino agli anni settanta’ .
La Corte territoriale, quindi, ha espressamente riconosciuto gli effetti del giudicato amministrativo inter partes e ad essi si è conformata, reputando, infatti, accertata la responsabilità di Montedison per l’inquinamento dell’area ‘ ex RAGIONE_SOCIALE‘ a causa dell’attività industriale dalla stessa società svolta per molti anni sino alla fine degli anni settanta (cfr. p. 18 della sentenza di
appello, dove è esplicito il riferimento al giudicato sostanziale rappresentato dalle ‘statuizioni contenute nelle richiamate sentenze del Giudice amministrativo’).
In forza di siffatto accertamento, unitamente all’incontestata mancata attivazione di Edison a procedere agli interventi di ripristino ambientale nonostante la ‘diffida’ del Comune di Rho, il giudice di secondo grado, quindi, ha correttamente ritenuto integrati i presupposti del diritto di rivalsa del Comune medesimo per le spese sostenute, in via sostitutiva, per detti interventi.
Né, peraltro, una volta definito nei suddetti termini l’accertamento con effetti di giudicato inter partes recato dalla sentenza n. 3465/2014 del Consiglio di Stato, siccome recepito dalla Corte territoriale, si collocano in contrastante rilievo gli esiti della C.T.U. espletata nel corso del giudizio civile, i quali, del resto, sono risultati conformi a detto accertamento (cfr. pp. 18/19 della sentenza di appello).
32.2. -I motivi secondo, terzo e quarto -da esaminarsi congiuntamente -sono inammissibili.
Con essi vengono veicolate censure che criticano, sotto vari profili (prova presuntiva; equivalenza di cause; regola di giudizio del ‘più probabile che non’), l’accertamento compiuto dalla Corte territoriale in ordine alle cause dell’inquinamento e alla riconduzione di esse all’attività industriale di Montedison e, dunque, sulla sussistenza del relativo nesso causale in forza del quale si fonda la responsabilità per l’inquinamento della stessa società.
Si tratta, tuttavia, di doglianze che adducono ragioni che prescindono dall’accertamento, con effetti di giudicato inter partes , derivante dalla sentenza n. 3465/2014 del Consiglio di Stato e che si pongono in contrasto con esso, così da non poter scalfire la ratio decidendi che sorregge la sentenza impugnata, la quale, pertanto, non risulta neppure aggredita come tale.
33. -Vanno, infine, esaminati i motivi decimo, quindicesimo, sedicesimo, diciassettesimo, diciottesimo, diciannovesimo, ventesimo, ventunesimo e ventiduesimo, i quali denunciano, per aspetti diversi, il riconoscimento in favore del Comune di Rho delle ‘spese’ oggetto dell’azionata pretesa di rivalsa.
33.1. -Giova esaminare, anzitutto, il motivo diciassettesimo, che censura la mancata commisurazione della condanna di essa Edison rispetto all’incidenza del concorso colposo del Comune di Rho, ai sensi del primo o del secondo comma dell’art. 1227 c.c.
Il motivo non può trovare accoglimento in tutta la sua articolazione.
33.1.1. -Quanto alla doglianza che evoca la violazione del primo comma dell’art. 1227 c.c., va considerato, anzitutto, che la decisione della Corte territoriale (sulle ‘norme dell’art. 127 c.c.’) si fonda su due diverse ed autonome rationes decidendi , l’una concernente l’inapplicabilità di detta norma nel caso di azione di rivalsa ai sensi del dl.gs. n. 152/2006 e l’altra per essere RAGIONE_SOCIALE, comunque, ‘l’unico responsabile per l’inquinamento per cui è causa’.
Tale ultima ratio decidendi -pertinente specificamente al profilo del concorso colposo del ‘danneggiato’ nella produzione dell’evento di danno (profilo della causalità materiale) – non è stata fatta oggetto di idonea impugnazione, sicché, essendo essa da sola in grado di sorreggere la decisione e stante la sua intervenuta definitività, rende inammissibile l’ulteriore corno della censura in esame.
Va, infatti, rilevato che la doglianza si pone in contrasto con il giudicato amministrativo formatosi, inter partes ai sensi dell’art. 2909 c.c., sulla responsabilità, esclusiva, di Montedison per l’inquinamento dell’area ‘ ex RAGIONE_SOCIALE‘ e ciò non solo in ragione del principio per cui il giudicato stesso copre il dedotto e il
deducibile (tra le molte: Cass. n. 33021/2022), ma anche (e prima ancora) perché -come risulta dalla sentenza n. 3465/2014 del Consiglio di Stato (cfr. § V) , la questione della ‘responsabilità di terzi’ era stata effettivamente dedotta in quel giudizio dalla stessa Edison e superata dalla decisione di appello che ha ritenuto, alla luce degli ‘esiti dell’istruttoria compiuta’, che ‘i plurimi, gravi, precisi e concordanti elementi’ sulla responsabilità di Montedison erano tali che per essere confutati la ricorrente avrebbe dovuto ‘precisare, e con sufficiente specificazione, quale fosse stata diversamente da quanto opinato dalle amministrazioni -la reale, diversa dinamica degli avvenimenti e a quale diverso soggetto dovesse addebitarsi la condotta causativa dell’inquinamento’.
In ogni caso, deve, altresì, osservarsi che le critiche, ben lungi dal proporsi come volte a denunciare un error iudicando -ossia la regola giuridica applicata dalla Corte territoriale (che, del resto, non risulta, di per sé, violata, poiché il dedotto concorso colposo nella causazione dell’evento è stato negato proprio in ragione dell’accertamento di una responsabilità esclusiva del soggetto inquinatore) -, aggrediscono, inammissibilmente, la quaestio facti , riservata all’accertamento del giudice del merito, insindacabile in questa se non nei limiti del vizio di cui al vigente n. 5 dell’art. 360 c.p.c., non affatto prospettato dalla ricorrente principale.
33.1.2. -Quanto alla doglianza che concerne la dedotta violazione del secondo comma dell’art. 1227 c.c., essa è, nei termini in cui è prospettata con il motivo in esame, infondata.
La citata disposizione, a differenza dal primo comma dello stesso art. 1227 c.c., è norma sulla causalità giuridica e ha come oggetto il comportamento, successivo all’evento, con il quale il medesimo danneggiato abbia prodotto un aggravamento del danno ovvero non ne abbia ridotto l’entità (tra le altre: Cass. n. 1165/2020); sicché, fermo restando l’imputabilità del fatto sul
piano materiale al solo debitore, sono da considerare non risarcibili i danni-conseguenza che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
Ciò posto, è corretta la decisione della Corte territoriale che ha ritenuto, in questo caso, che non potesse ravvisarsi violazione della norma dell’art. 1227 c.c. in ragione della ‘logica puramente indennitaria che presiede all’azione di rivalsa nei confronti del responsabile, esercitata dall’autorità amministrativa’, la quale porta ad escludere ‘che la rivalsa possa acquistare il contenuto della reintegrazione di una perdita patrimoniale determinata da un illecito’ (cfr. Cass. n. 1573/2019, richiamata al § 30.1.3.), giacché il secondo comma del citato art. 1227 c.c. attiene, propriamente, ad una fattispecie risarcitoria da illecito (contrattuale e/o extracontrattuale), incidendo sull’entità dei danni -conseguenza prodotti dall’illecito stesso.
Diverso è il caso dell’azione di rivalsa, ex d.lgs. n. 152/2006, dove l’obbligazione indennitaria ex lege del responsabile dell’inquinamento è di rimborso delle spese sostenute dalla pubblica amministrazione in via sostitutiva, ponendosi, dunque, un problema (non di entità del danno-conseguenza, ma semmai) di effettività, necessarietà e congruità degli esborsi effettuati per il ripristino ambientale (che la ricorrente principale ha fatto oggetto di altro motivo di impugnazione).
33.2. -Va, quindi, scrutinato il motivo decimo, che censura il riconoscimento in favore del Comune di Rho delle ‘spese future’ per la realizzazione della bonifica definitiva del sito.
Esso è fondato nei termini di seguito precisati.
33.2.1. -L’azione di rivalsa in favore della pubblica amministrazione territorialmente competente (Comune o Regione) disciplinata dal d.lgs. n. 152/2006, ma già presente, come detto in precedenza (§§ 30.1.2. e 30.1.3.), nel sistema di cui al d.lgs. n. 22/1997, ove -come nel caso di specie (e, dunque, per quanto
rileva in questa sede) -la stessa P.A. abbia provveduto d’ufficio, in luogo del responsabile dell’inquinamento, agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale, in base alle previste procedure operative ed amministrative (art. 17, commi 2-8, d.lgs. n. 22/197; d.m. n. 471/1999; artt. 242-244, 250 d.lgs. n. 152/2006), riguarda, infatti, le ‘spese sostenute’ ai predetti fini e, quindi, gli esborsi effettivi.
Lo si è già messo in evidenza in sede di scrutinio delle censure sulla prescrizione dell’azione fatta valere in giudizio dal Comune di Rho (cfr. § 30.2., che precede), ribadendosi e precisandosi (sulla scorta dell’indirizzo di cui a Cass. n. 1573/2019) che la fattispecie legale esprime una logica indennitaria (e non risarcitoria) che pone in capo al responsabile dell’inquinamento un obbligo ex lege di rimborso in favore del Comune che abbia provveduto ‘d’ufficio’, secondo le procedure di legge, ai necessari interventi di ripristino ambientale, così da consentire la reintegrazione della perdita patrimoniale consistita negli esborsi a tal fine effettuati, con conseguente individuazione, quindi, dell’ exordium praescriptionis nel momento del ‘pagamento’.
Qui giova ulteriormente precisare quanto segue.
Anzitutto, e significativamente, è proprio la lettera della legge che alle ‘spese sostenute’, per gli anzidetti interventi della p.a. in via sostitutiva (e che ‘risultassero necessari’, come dispone l’art. 244, comma 4, del d.lgs. n. 152/2002), fa riferimento: in primo luogo, al comma 11 del citato art. 17 e al comma 2 dell’art. 253 del d.lgs. n. 152/2006, così da rendere il relativo credito assistito da privilegio speciale immobiliare sulle aree inquinate ( ex art. 2748, secondo comma, c.c.).
Ed ancora alle ‘spese sostenute’ si riferisce il comma 4 del citato art. 253 in relazione, questa volta, all’azione di rivalsa esercitabile dal proprietario del sito incolpevole dell’inquinamento nei confronti del responsabile nel (solo) caso in cui il proprietario
stesso provveda spontaneamente alla bonifica, potendo egli rivalersi anche dell”eventuale maggior danno’, che, però, non va inteso come ‘danno ingiusto’ e, dunque, come voce di natura risarcitoria derivante da illecito, bensì ‘come voce ulteriore di spesa che sia da porre in relazione causale diretta ed immediata con la bonifica spontanea’ (così la citata Cass. n. 1573/2019).
I testuali riferimenti alle ‘spese sostenute’ sono, del resto, coerenti con l’assetto complessivo che la stessa anzidetta disciplina legale delinea, evidenziando che l’azione di rivalsa (o secondo il comma 3 del citato art. 253 le più ‘azioni di rivalsa’) che può esercitare l’autorità competente nei confronti del responsabile dell’inquinamento attengono ad una ‘ripetizione delle spese’ (così, del resto, qualificata anche l’azione che la pubblica amministrazione può autonomamente esercitare nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le ‘spese sostenute per gli interventi di messa in sicurezza e di bonifica’ dei siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale: art. 252bis dello stesso d.lgs. n. 152/2006), che, là dove non sia possibile o resti infruttuosa proprio nei confronti del soggetto responsabile (ciò che la p.a. deve giustificare in base ad apposito provvedimento motivato), è azione che diviene esercitabile nei confronti del proprietario del sito incolpevole dell’inquinamento, il quale è, per l’appunto, tenuto a ‘rimborsare … le spese degli interventi adottati dall’autorità competente’ (sebbene, proprio perché non si tratta del responsabile dell’inquinamento, ‘nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi’).
E una siffatta perimetrazione dell’azione di rivalsa risulta in linea con quanto già posto in risalto circa l’interpretazione che questa Corte ha dato della disciplina in esame (la più volte citata Cass. n. 1573/2019), ritenendo, per l’appunto, che l’obbligazione del responsabile dell’inquinamento ha natura indennitaria ex lege e
ha ad oggetto il ‘rimborso delle spese sostenute’ (nel caso di specie) dall’autorità competente che, adempiendo ad una pubblica funzione, ha provveduto in via sostitutiva agli interventi di ‘mis.b.ra.’.
32.2.2. -E’, dunque, errata in diritto la decisione della Corte territoriale là dove ha ritenuto che l’azione di rivalsa esercitata dal Comune di Rho avesse ad oggetto non solo le spese ‘sostenute’, per gli interventi realizzati, ma anche quelle che ‘dovrà necessariamente sostenere in futuro’, affermando (p. 13 della sentenza di appello) che una tale ‘limitazione’ non è contemplata dalla legge (art. 253, comma 3, d.lgs. n. 152/2006) e riconoscendo, quindi, allo stesso Comune anche le ‘spese future’, non ancora sostenute, ossia le ‘spese di bonifica ancora da sostenere’ (p. 25 della sentenza di appello); il che, beninteso, non impedisce alla p.a. l’esercizio di ulteriori azioni di rivalsa per gli esborsi che verrà ad effettuare per gli interventi necessari di bonifica che saranno realizzati.
33. -Il motivo quindicesimo è inammissibile.
Esso è privo di specificità – quale requisito strutturale del ricorso per cassazione che l’art. 366, primo comma, n. 4, c.p.c. impone a pena di inammissibilità della censura -, non avendo la ricorrente principale indicato quali siano i documenti di cui assume l’acquisizione in sede di c.t.u. oltre i termini di cui all’art. 183, sesto comma, c.p.c. (omettendone, quindi, anche la localizzazione processuale ai sensi del n. 6 del citato art. 366 c.p.c.).
Inoltre (e in via di per sé assorbente), la doglianza è, comunque, inammissibile, giacché con essa non è impugnata l’ulteriore e autonoma ratio decidendi della sentenza di appello, da sola idonea a sorreggere la decisione, che attiene alla mancata utilizzazione da parte del consulente tecnico dei documenti acquisiti nel corso delle operazioni peritali e, comunque, all’essere tali documenti ‘non … dirimenti ai fini delle conclusioni rassegnate
dall’ausiliario del Giudice’ .
34. -Il motivo sedicesimo (che denuncia, con una duplice doglianza, quella ratio decidendi non fatta oggetto di impugnazione con il quindicesimo motivo) è, per una parte, inammissibile e, comunque, infondato e, per altra parte, assorbito dallo scrutinio che precede sul decimo motivo.
34.1. -Quanto alla censura che investe la liquidazione delle ‘spese sostenute’ dal 2012 al 2017, documentate da fatture e mandati di pagamento prodotti con la ‘lettera del Comune di Rho del 25.5.2017’, essa non intercetta l’ulteriore ratio decidendi della sentenza impugnata che, proprio in riferimento a dette spese, ha ritenuto che la documentazione probatoria di riferimento, prodotta dal Comune (in corso di C.T.U.) dopo la maturazione delle preclusioni istruttorie, fosse stata acquisita ritualmente in quanto si trattava di ‘documenti … venuti ad esistenza successivamente’ (cfr. p. 25 della sentenza di appello). E sulla circostanza che i documenti prodotti con la ‘lettera del 25.5.2017’ siano stati comunque utilizzati dal Tribunale per la liquidazione delle spese sostenute dal Comune di Rho nel periodo 2012-2017 non vi è contestazione tra le parti (RAGIONE_SOCIALE e Comune di Rho), avendone dato atto lo stesso Comune con il controricorso/ricorso incidentale (cfr. p. 49). Del resto, l’anzidetta circostanza si evince, altresì, dalla stessa motivazione della sentenza di appello, la quale, là dove ha ritenuto (non già inammissibile la produzione, ma) irrilevanti taluni documenti formatisi dopo le preclusioni istruttorie, non fa menzione della ‘lettera del 25.5.2017’, ma solo del ‘Progetto di bonifica del capannone 9 A’ e del ‘verbale della conferenza dei servizi del 4.11.2013’ .
In ogni caso, la doglianza, ove si intendesse estensibile anche all’ulteriore anzidetta ratio decidendi , risulta infondata, essendo
corretta la decisione della Corte territoriale di reputare ammissibile la produzione in giudizio, e già in primo grado, dei documenti formatisi dopo le preclusioni istruttorie e prima del passaggio della causa in decisione, poiché una siffatta produzione sarebbe possibile anche in grado di appello, essendo detti documenti da annoverarsi fra i nuovi mezzi di prova, ai sensi dell’art. 345, comma terzo, c.p.c. (Cass. n. 18962/2011; Cass. n. 7977/2022).
34.2. -Quanto alla censura che si rivolge alla produzione documentale relativa alle ‘spese future’, il relativo esame è, comunque, assorbito dall’accoglimento del decimo motivo, non essendo pertinente all’azione di rivalsa nella specie esercitata dal Comune di Rho la liquidazione di spese non ancora sostenute e, dunque, l’utilizzo, in ogni caso, di documentazione a sostegno di una siffatta liquidazione.
35. -Il motivo diciottesimo -che denuncia motivazione apparente in ordine alla ‘congruità’ delle spese sostenute dal Comune di Rho -è infondato.
35.1. – Occorre premettere, in punto di diritto (tra le molte: Cass., S.U., n. 22232/2016; Cass. n. 22022/2017; Cass. n. 21037/2018; Cass. n. 27112/2018; Cass. n. 4898/2023; Cass. n. 23123/2023), che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, giacché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (tra le molte, Cass., S.U., n. 22232/2016).
Va, altresì, precisato che, nella vigenza dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella legge n. 134 del 2012,
l’anomalia motivazionale (tra cui, per l’appunto, la ‘motivazione apparente’), che viene a configurare una violazione di legge e consente, pertanto, il sindacato di questa Corte, attiene all’esistenza della motivazione in sé e deve risultare dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione stessa (Cass., S.U., n. 8053/2014).
35.2. – Ciò posto, la motivazione adottata dal giudice di appello è tale da palesare, in modo affatto intelligibile, il ragionamento che sorregge il giudizio di congruità delle spese sostenute dal Comune di Rho per gli effettuati interventi di ‘mis.b.ra.’, operato con riferimento alle recepite considerazioni del consulente tecnico d’ufficio tenuto conto degli ‘interventi necessari per porre rimedio all’inquinamento causato dalla società attrice’ e ‘all’inerzia del soggetto inquinan(t)e – odierna attrice ‘, dando altresì rilievo al fatto che ‘la pubblica amministrazione ha dovuto approntare una serie di misure la cui minor convenienza economica – per alcuni capitoli di spesa – non può giustificare una riduzione degli esborsi comunque documentatamente sostenuti’ (pp. 24 e 25 della sentenza di appello).
Per contro, le censure di parte ricorrente fanno leva, invece, proprio su elementi esterni a quelli presi in considerazione dalla motivazione della sentenza di secondo grado – richiamando altri passaggi della stessa C.T.U., di cui sono trascritti degli stralci, peraltro, decontestualizzati -, così da mostrarsi costruite, piuttosto, come doglianze che sono orientate a criticare la sufficienza e la logicità della motivazione, alla stregua del vizio motivazionale di cui alla previgente (e inapplicabile ratione temporis ) formulazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c.
36. -Il motivo diciannovesimo -che denuncia l’illegittimità della liquidazione delle ‘spese future’, ancora da sostenere, alla luce di quanto previsto dall’art. 311 del d.lgs. n. 152/2006 è,
comunque (giacché la qualificazione dell’azione del Comune di Rho è in termini, non più sindacabili all’esito dello scrutinio dell’ottavo motivo – cfr. § 29.2 e relativi sotto§§ -, di azione di rivalsa), assorbito dall’accoglimento del decimo motivo.
37. -I motivi ventesimo e ventunesimo -da esaminarsi congiuntamente in quanto tra loro connessi – sono fondati.
Con essi è denunciata, rispettivamente, la duplicazione della liquidazione, in favore del Comune di Rho, delle spese relative al costo di gestione dell’impianto di trattamento delle acque emunte per euro 225.000,00, annui (oltre i.v.a.) per il periodo 2013-2017, siccome già ricomprese nella liquidazione delle spese ‘sostenute’ dal Comune nel periodo ‘primavera 2012 -primavera 2017’ (20° motivo) e la liquidazione, sempre in favore di detto Comune, delle spese relative al costo di gestione di detto impianto di trattamento per euro 225.000,00, annui (oltre i.v.a.), oltre il periodo 20132017 e ‘sino alla bonifica definitiva’ (21° motivo).
Le censure sono scrutinabili, nella sostanza di quanto desumibile dall’articolazione dei rispettivi motivi (tra le molte: Cass., S.U., 17931/2013; Cass. n. 12690/2018), come deducenti degli errores in iudicando , avendo la decisione adottata nei predetti termini dal Tribunale trovato conferma nel grado di appello.
37.1. L’errore nella duplicazione della liquidazione delle spese di gestione dell’impianto di trattamento per il periodo 2013 -2017 risulta dal fatto che il primo giudice, per un verso, ha determinato l’importo complessivo delle ‘spese sostenute’ dal Comune nel periodo 2012-2107 tenuto conto anche di quelle di ‘Gestione dell’impianto di trattamento: euro 869.763,48’ (p. 20 sentenza del Tribunale) e, per altro verso, ha liquidato, nella voce ‘spese future’, il costo di manutenzione dell’impianto di trattamento delle acque per un importo di ‘euro 225.000,00 più i.v.a. per ogni anno, a far data dall’8.2.2013 (data di messa in
esercizio dell’impianto) sino alla bonifica definitiva’ (p. 22 sentenza del Tribunale).
Dunque, con una duplicazione di costi, addebitati ad Edison, per il periodo 2013-2017.
Del resto, lo stesso Comune di Rho, con il controricorso (cfr. pp. 40 e 41), ha riconosciuto esser la censura in esame fondata.
37.2. -Quanto, poi, alla liquidazione delle spese di gestione del predetto impianto per il periodo successivo al 2017 e ‘sino alla bonifica definitiva’, il motivo è fondato in ragione di quanto già evidenziato in sede di scrutinio del decimo motivo, venendo in questione ‘spese future’ e non già quelle sostenute dal Comune e ripetibili con l’esercitata azione di rivalsa.
38. -Deve essere scrutinato, infine, il motivo ventiduesimo.
Esso è fondato per quanto di ragione, ossia solo in riferimento al profilo di censura sintetizzato sub b ) del § 22, che precede.
38.1. – Infatti, quanto al profilo di doglianza sub a ) § 22, che precede, esso è infondato, giacché la qualificazione giuridica data dal giudice di appello all’azione intrapresa dal Comune in termini di ‘rivalsa’ è ormai cristallizzata all’esito dell’esame dell’ottavo motivo di ricorso principale.
38.2. – Quanto al profilo di doglianza sub b ) § 22, che precede, esso è fondato alla luce, e nei termini, di quanto già evidenziato in sede di scrutinio del decimo motivo, ponendo anche la censura in esame la questione della liquidazione in favore del Comune delle ‘spese future’ per gli interventi di ‘mis.b.ra.’ non ancora realizzati in base alle procedure di legge e non già soltanto di quelle sostenute a tal fine e, quindi, ripetibili con l’esercitata azione di rivalsa.
Esame del ricorso incidentale.
39. -Il primo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
39.1. -La censura sub a ) è (prima ancora che infondata) inammissibile, perché intrinsecamente contraddittoria, in quanto -come già rilevato in precedenza (cfr. supra § 34.1.) – è lo stesso Comune di Rho ad aver affermato con il controricorso/ricorso incidentale che la documentazione allegata alla ‘lettera del 25.5.2017’ è stata utilizzata dal Tribunale per la liquidazione delle spese ‘sostenute’ dall’amministrazione comunale e tale circostanza si evince, come detto, anche dalla (p. 26 della) sentenza di appello.
39.2. -La censura sub b ) è, anzitutto, infondata, in quanto la motivazione della Corte territoriale, che dà conto della inammissibilità di una produzione di documenti ‘preesistenti alla scadenza dei termini’ dopo la maturazione delle preclusioni istruttorie, non è affatto apparente, essendo pienamente intelligibile la ratio , in diritto, della adottata decisione.
Inoltre, pur essendo assorbente il rilievo che precede, va, comunque, osservato che, sebbene nella prospettazione della doglianza non siano indicati i documenti, preesistenti alla maturazione dei termini ex art. 183, sesto comma, c.p.c., dei quali il Comune lamenta la mancata acquisizione, si evince dallo stesso ricorso incidentale (p. 48) trattarsi del ‘piano di caratterizzazione’, risalente al maggio 2006; e tanto si desume dalla stessa sentenza di appello (p. 26 e sintesi al § 2.12., lett. a) dei ‘Fatti di causa’), che, sia pure indirettamente, ma in modo inequivoco, al predetto ‘piano’ fa riferimento nel pronunciarsi sui documenti ‘preesistenti’, poiché il ‘Progetto di bonifica del capannone 9 A’ e il ‘verbale della conferenza dei servizi del 4.11.2013’ li considera tra i documenti ‘prodotti ( recte : formati) successivamente’, mentre come detto -la documentazione allegata alla ‘lettera del 25.5.2017’ è stata utilizzata ai fini della liquidazione delle spese ‘sostenute’.
Ciò premesso, allorquando il Comune, con l’appello incidentale, ha denunciato la mancata utilizzazione ai fini della decisione del ‘piano di caratterizzazione’, del 2006, la censura
aveva di mira l’affermazione della responsabilità di RAGIONE_SOCIALE per l’inquinamento dell’area dell’ ex Chimica Bianchi, come si evince dallo stesso ricorso incidentale là dove si dà contezza del primo motivo di appello (p. 48).
L’esito del ricorso principale -essendosi sull’anzidetta questione formato il giudicato -rende inammissibile la doglianza per sopravvenuto difetto di interesse.
39.3. -La censura sub c ), là dove si riferisce a fatture e mandati di pagamento, è inammissibile (prima ancora che infondata) per le stesse ragioni esposte al § 39.1., che precede.
Il profilo di doglianza che attiene, invece, alla ‘quantificazione delle future spese necessarie’ è infondato per le ragioni che sorreggono l’accoglimento dei motivi del ricorso principale (in particolare: decimo, ventesimo, ventunesimo e ventiduesimo) in punto di liquidazione delle spese ‘future’, non ancora sostenute dal Comune di Rho, per i necessari interventi di ‘mis.b.ra.’.
Dunque, va soltanto corretta negli anzidetti termini, ai sensi dell’art. 384, comma quarto, c.p.c., la motivazione adottata dalla Corte territoriale siccome ispirata da una erronea soluzione in diritto, giacché la statuizione sulla non utilizzabilità dei documenti è frutto pur sempre di una valutazione inerente al perimetro della liquidazione, sebbene equitativa, delle ‘spese future’.
40. -Il secondo motivo è infondato in tutta la sua articolazione.
Premesso che le doglianze di omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., si palesano, di per sé, infondate, avendo la Corte territoriale comunque pronunciato sul terzo motivo di appello incidentale del Comune di Rho sia sulla dedotta questione delle spese per l”impianto di trattamento delle acque’, sia su quella delle spese per le ‘opere di bonifica definitiva’ , in ogni caso, e in via assorbente, trattandosi di censure vertenti sulla
liquidazione delle ‘spese future’, le stesse come già evidenziato (nel § 39.3., che precede) – sono infondate per le ragioni che sorreggono l’accoglimento dei motivi del ricorso principale (in particolare: decimo, ventesimo, ventunesimo e ventiduesimo) in punto di liquidazione delle spese ‘future’, non ancora sostenute dal Comune di Rho, per i necessari interventi di ‘mis.b.ra.’.
Anche in questo caso, quindi, va soltanto corretta negli anzidetti termini, ai sensi dell’art. 384, comma quarto, c.p.c., la motivazione di rigetto del terzo motivo di appello incidentale adottata dalla Corte territoriale siccome ispirata, comunque, da una erronea soluzione in iure , muovendo, infatti, dalla premessa del diritto di rivalsa del Comune di Rho anche per le ‘spese future’.
Conclusioni.
41. -Vanno, quindi, accolti, nei termini di cui in motivazione, i motivi decimo, ventesimo, ventunesimo e ventiduesimo del ricorso principale di RAGIONE_SOCIALE, dichiarati assorbiti il motivo sedicesimo, in parte, e diciannovesimo; per il resto il ricorso principale va rigettato.
Deve, altresì, essere rigettato il ricorso incidentale del Comune di Rho.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione ai motivi accolti del ricorso principale e la causa rinviata alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie, nei termini di cui in motivazione, il decimo, il ventesimo, il ventunesimo e il ventiduesimo motivo del ricorso principale di RAGIONE_SOCIALE dichiara assorbiti il sedicesimo, in parte, e diciannovesimo motivo e rigetta nel resto lo stesso ricorso principale;
rigetta il ricorso incidentale del Comune di Rho;
cassa la sentenza in relazione agli accolti motivi del ricorso principale e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza