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Rimborso oneri datore di lavoro: niente se fittizio

Una società ha richiesto a un ente pubblico il rimborso dello stipendio per un dipendente, consigliere provinciale, che non ha mai effettivamente lavorato. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che il diritto al rimborso oneri datore di lavoro presuppone un rapporto di lavoro reale e non meramente formale. L’assenza totale di una prestazione lavorativa fa venir meno il presupposto fondamentale della norma, ovvero l’esistenza di un effettivo legame sinallagmatico tra lavoro e retribuzione, dal quale il dipendente si assenta per l’incarico politico.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Rimborso Oneri Datore di Lavoro: La Cassazione Nega il Diritto se il Lavoro è Inesistente

Il tema del rimborso oneri datore di lavoro per dipendenti impegnati in mandati politici è cruciale per molte aziende e per le finanze pubbliche. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha tracciato una linea netta: il rimborso è dovuto solo se alla base esiste un rapporto di lavoro effettivo e non meramente formale. Analizziamo insieme questa importante decisione.

Il Contesto: Lavoro, Politica e Richieste di Rimborso

Una società privata aveva chiesto a un’amministrazione pubblica il rimborso di oltre 83.000 euro, corrisposti a titolo di retribuzione a un proprio dipendente. Quest’ultimo, tuttavia, era stato costantemente assente dal servizio per svolgere il suo incarico di consigliere provinciale.

L’Ente locale si era opposto, sostenendo che il rapporto di lavoro fosse fittizio, creato al solo scopo di ottenere il rimborso. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione all’ente pubblico, rilevando come il lavoratore non avesse mai svolto alcuna attività per la società. La questione è così approdata in Cassazione, sollevata dalla società datrice di lavoro.

La Decisione della Corte sul Rimborso Oneri Datore di Lavoro

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso della società inammissibile, confermando di fatto la decisione dei giudici di merito. I Supremi Giudici hanno stabilito un principio fondamentale: la normativa che prevede il rimborso (articoli 79 e 80 del D.Lgs. 267/2000) non può essere applicata quando il rapporto di lavoro è privo di una concreta esecuzione.

In altre parole, se il dipendente non ha mai lavorato per l’azienda, neppure nelle ore non dedicate al mandato elettorale, viene a mancare il presupposto essenziale per il rimborso: l’esistenza di un legame di scambio (sinallagma) tra prestazione lavorativa e retribuzione.

Le Motivazioni: Il Principio del Sinallagma Contrattuale

La ratio della decisione della Corte risiede nella tutela della funzione stessa della norma. Le disposizioni sul rimborso oneri datore di lavoro sono pensate per salvaguardare due interessi: il diritto del lavoratore a mantenere il proprio posto e la propria retribuzione mentre serve la collettività, e il diritto del datore di lavoro a non subire un pregiudizio economico per l’assenza del dipendente.

Questo meccanismo, però, si fonda sull’esistenza di un rapporto di lavoro genuino, in cui il lavoratore presta effettivamente la sua opera e da cui è costretto ad assentarsi, parzialmente o totalmente, per l’impegno politico. Nel caso di specie, i giudici hanno accertato che non vi era mai stata alcuna prestazione lavorativa. Il rapporto era, di fatto, “quiescente” o ineseguito fin dall’origine per ragioni che andavano oltre il mandato politico.

Di conseguenza, la Corte ha affermato che il nesso sinallagmatico era assente in radice. L’obbligo di rimborso a carico dell’ente pubblico non può sorgere per un rapporto di lavoro che non ha mai avuto una concreta esecuzione. Consentire il rimborso in tali circostanze significherebbe gravare la finanza pubblica per un costo privo di giustificazione, trasformando la norma in uno strumento per finanziare rapporti di lavoro fittizi.

La Cassazione ha inoltre respinto le censure procedurali sollevate dalla società, ritenendole inammissibili perché tardive o perché miravano a un riesame del merito dei fatti, non consentito in sede di legittimità.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Aziende ed Enti Pubblici

Questa ordinanza invia un messaggio chiaro a datori di lavoro ed enti pubblici. Per ottenere il rimborso oneri datore di lavoro, non è sufficiente la mera esistenza di un contratto di lavoro. È indispensabile che tale contratto sia effettivamente eseguito, ovvero che il dipendente svolga concretamente le sue mansioni.

Le aziende devono essere consapevoli che la richiesta di rimborso sarà respinta qualora emerga che il rapporto di lavoro è solo una formalità. D’altro canto, gli enti pubblici sono legittimati a verificare la sostanza del rapporto prima di erogare fondi pubblici. La decisione rafforza i controlli sulla spesa pubblica e previene abusi, garantendo che le tutele previste per i lavoratori impegnati in politica siano applicate solo a situazioni di lavoro reali e meritevoli di protezione.

Un datore di lavoro ha sempre diritto al rimborso degli oneri per un dipendente che svolge un mandato politico?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il diritto al rimborso è subordinato all’esistenza di un rapporto di lavoro effettivo e non meramente formale. Se il dipendente non ha mai svolto alcuna prestazione lavorativa, il datore di lavoro non ha diritto al rimborso da parte dell’ente pubblico.

Cosa si intende per “effettivo svolgimento” del rapporto di lavoro ai fini del rimborso?
Significa che deve esistere un concreto scambio tra la prestazione lavorativa del dipendente e la retribuzione corrisposta dal datore di lavoro (il cosiddetto sinallagma). La norma sul rimborso si applica quando il lavoratore si assenta da un’attività che stava effettivamente svolgendo, non quando il rapporto di lavoro è ineseguito fin dall’inizio.

Perché il ricorso della società è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per diverse ragioni. Principalmente, perché le critiche mosse alla sentenza d’appello non coglievano la vera ratio della decisione, che si fondava sull’assenza del sinallagma contrattuale. Inoltre, alcuni motivi erano di natura procedurale e sono stati respinti perché avrebbero richiesto alla Corte un riesame dei fatti (non consentito in Cassazione) o perché sollevavano questioni che avrebbero dovuto essere proposte nei gradi di giudizio precedenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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