Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31415 Anno 2024
AULA B
Civile Ord. Sez. L Num. 31415 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18484/2020 R.G. proposto
da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che l a rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE ROMA RAGIONE_SOCIALE , in persona del Sindaco pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO
Oggetto: Lavoro pubblico contrattualizzato -Mandato Elettorale lavoratore – Rimborso, ex artt. 79 e 80, D. Lgs. n. 267/2000 – Presupposti
R.G.N. 18484/2020
Ud. 22/11/2024 CC
NOVEMBRE 119A, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende
-controricorrente –
nonché contro
COGNOME
-intimato – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO ROMA n. 3442/2019 depositata il 06/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 22/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 3442/2019, depositata in data 6 novembre 2019, la Corte d’appello di Roma, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE ROMA CAPITALE, decidendo sugli appelli riuniti proposti avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 4774/2015, pubblicata in data 12 maggio 2015, ha respinto integralmente l’appello principale proposto da COGNOME mentre ha accolto in parte l’appello incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE condannando il medesimo COGNOME alla ripetizione in favore della RAGIONE_SOCIALE della somma ulteriore di € 83.611,18.
RAGIONE_SOCIALEpresso la quale COGNOME lavorava come impiegato di 7° livello aveva adito il Tribunale di Roma chiedendo a CITTA’ METROPOLITANA ROMA CAPITALE il rimborso, ex artt. 79 e 80, D. Lgs. n. 267/2000, della somma di €. 83.611,1 8 per il periodo (agosto 2011/agosto 2012) in cui lo stesso COGNOME
pur se formalmente occupato alle sue dipendenze, era stato assente dal servizio perché impegnato come consigliere provinciale.
In subordine, aveva formulato nei confronti di COGNOME azione di ripetizione di indebito delle somme corrisposte a titolo di retribuzione.
Costituitisi sia COGNOME sia CITTA’ METROPOLITANA ROMA CAPITALE -quest’ultima eccependo il carattere fittizio del rapporto di lavoro e quindi domandando in via riconvenzionale la condanna alla restituzione della somma di € 268.552,63, a titolo di ripetizione delle somme erogate alla stessa RAGIONE_SOCIALE a far tempo dal novembre 2007 sino al luglio 2011 -il giudice di prime cure, ritenuti inapplicabili alla fattispecie gli artt. 79 e 80, D. Lgs. n. 267/2000, non avendo COGNOME mai svolto alcuna attività lavorativa a favore della RAGIONE_SOCIALE aveva respinto le domande proposte nei confronti di RAGIONE_SOCIALE ROMA CAPITALE, condannando la stessa RAGIONE_SOCIALE a restituire all’Ente la somma di € 268.552,63, m entre aveva condannato COGNOME a restituire la medesima somma alla RAGIONE_SOCIALE
Proposto appello principale da parte di COGNOME ed appello incidentale da parte della RAGIONE_SOCIALE la Corte capitolina ha integralmente disatteso il gravame del primo e parzialmente respinto l’appello della seconda, rilevando che, seb bene non potesse affermarsi la fittizietà del rapporto di lavoro, risultava comunque evidente che non vi era stata in concreto alcuna esecuzione della prestazione lavorativa, escludendo quindi l’applicabilità degli artt. 79 e 80, D. Lgs. n. 267/2000, in quanto disciplina che presuppone una prestazione di lavoro in essere e la sua impossibilità solo parziale e
quindi la riduzione della controprestazione retributiva a carico del datore di lavoro in virtù del subentro nei relativi obblighi economici dell’ente locale siccome beneficiario dell’impegno elettivo del dipendente.
Ha, infatti, rilevato la Corte territoriale che l’esonero totale di COGNOME dall’adempimento della prestazione lavorativa avevano determinato il venire meno – per scelta volontaria dei contraenti – dello stesso sinallagma del rapporto di lavoro, con conseguente inoperatività, della disciplina del rimborso ex artt. artt. 79 e 80, D. Lgs. n. 267/2000.
Alla luce delle medesime considerazioni, la Corte d’appello ha invece accolto il gravame di RAGIONE_SOCIALE nella parte in cui quest’ultima si doleva del mancato accoglimento della domanda di condanna di COGNOME al la corresponsione dell’ ulteriore importo di €. 83.611,18 a titolo di ripetizione di indebito per le retribuzioni corrisposte nei periodi da agosto ad ottobre 2011 e da novembre 2011 ad agosto 2012.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre ora RAGIONE_SOCIALE
Resiste con controricorso CITTA’ METROPOLITANA ROMA CAPITALE.
È rimasto intimato COGNOME
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art, 112 c.p.c.
Argomenta, in particolare, il ricorso che sia il giudice di prime cure sia la Corte d’appello di Roma avrebbero accolto la domanda riconvenzionale della CITTA’ METROPOLITANA ROMA CAPITALE per motivi diversi da quelli posti da quest’ultima a fondamento dell a domanda medesima.
Deduce la ricorrente che, mentre la domanda riconvenzionale della CITTA’ METROPOLITANA ROMA CAPITALE si fondava sulla preliminare richiesta di accertamento della causa illecita del rapporto di lavoro o della simulazione dello stesso, la Corte territoriale avrebbe invece accolto la domanda di ripetizione sulla base del carattere ‘quiescenza’ del rapporto, e cioè di un fatto non dedotto nella domanda riconvenzionale.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 79 e 80, D. Lgs. n. 267/2000.
La ricorrente deduce che le norme richiamate mirano a tutelare sia il diritto del datore di lavoro alla prestazione lavorativa sia il diritto del lavoratore chiamato a svolgere un incarico politico al mantenimento del posto di lavoro e della retribuzione, garantendo la conservazione del posto di lavoro e dello stipendio per le ore in cui il dipendente è stato sottratto alla propria attività lavorativa attraverso l’obbligo del datore di lavoro di mantenere il posto di lavoro e di corrispondere i compensi lavorativi anche per le ore dedicate dal lavoratore all’attività politica, precludendo al datore di lavoro sia la sospensione degli emolumenti che il licenziamento del lavoratore.
Individuata in tal modo la ratio delle previsioni -e cioè anche la tutela del datore di lavoro dal pregiudizio economico che al contrario patirebbe con il vincolo di conservazione del posto di lavoro e della retribuzione -la ricorrente deduce la inderogabilità del diritto del datore di lavoro che abbia adempiuto agli obblighi a suo carico di vedersi rimborsati gli emolumenti corrisposti al lavoratore, in quanto ‘opinando diversamente il datore di lavoro patirebbe un ingiusto pregiudizio economico a fronte dell’indebito arricchimento dell’Ente beneficiario dell’attività politica svolta dal lavoratore in assenza di costi’ .
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 79 e 80, D. Lgs. n. 267/2000.
La ricorrente censura la decisione impugnata, nella parte in cui la stessa avrebbe subordinato l’applicabilità dell’art. 79, D. Lgs. n. 267/2000 nella sola ipotesi di impossibilità solo parziale della prestazione lavorativa, deducendo che la previsione non pone limitazioni al tempo che il lavoratore può dedicare al mandato elettorale.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4), c.p.c. in quanto la Corte territoriale, nell’affermare che COGNOME aveva ricevuto dalla ric orrente un esonero totale dell’adempimento della prestazione lavorativa, determinando il venir meno per scelta volontaria dei contraenti dello stesso sinallagma del rapporto di lavoro, avrebbe formulato una serie di conclusioni prive di motivazione.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
È la stessa società ricorrente, infatti, ad affermare nell’illustrazione del motivo, che ‘è di tutta evidenza il vizio delle pronunce di primo e di secondo grado in quanto entrambe accolgono la domanda riconvenzionale svolta dall’Ente convenuto per motivi diversi da quelli dedotti da quest’ultimo (…)’ (pag. 15 ricorso).
Così argomentando, tuttavia, la ricorrente viene a riconoscere che, anche a voler ipotizzare l’esistenza del lamentato vizio cosa che non è, come si vedrà -lo stesso avrebbe afflitto la decisione di prime cure prima ancora che la sentenza ora gravata.
Ciò comporta che -come dedotto anche dalla controricorrente RAGIONE_SOCIALE ROMA CAPITALE -sarebbe stato onere dell’odierna ricorrente proporre in appello uno specifico motivo di gravame per la violazione dell’art. 112 c.p.c. contenuta nella decisione di prime cure, motivo che, invece, né sulla scorta della decisione impugnata né sulla base delle deduzioni dello stesso ricorso, risulta essere stato articolato, con la conseguenza che risulta, a questo punto, preclusa la possibilità di dedurre il vizio nella presente sede.
Vizio, la cui sussistenza -si osserva per completezza -è peraltro da escludere per un duplice ordine di ragioni.
La prima è costituita dall’operatività del principio per cui la causa petendi della domanda di ripetizione di indebito va ravvisata nella mancanza (originaria o sopravvenuta), per qualsiasi ragione, di una causa solvendi , mancanza che conseguentemente rende la prestazione eseguita dal solvens non dovuta (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 23416 del 27/07/2022), dal che deriva che il fondamento della domanda dell’odierna contror icorrente era costituito dal l’assenza in concreto dei presupposti per procedere al rimborso ex art. 80, D. Lgs. n. 267/2000 per effetto dell’assenza di concreto svolgimento del rapporto di lavoro,
del tutto secondario risultando, conseguentemente, l’accertamento delle ragioni per cui tale svolgimento non aveva avuto luogo, trattandosi di profilo che non incideva sulla causa petendi .
Infatti, il venir meno del titolo, quale che ne sia la causa, rende indebita la prestazione effettuata in base ad esso e, una volta che ne sia stata chiesta la restituzione, non rileva la ragione per cui il pagamento è divenuto indebito (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 13504 del 18/05/2021), in quanto l’accertamento dell’insussistenza dell’obbligo di pagamento rappresenta un mero antecedente logico della domanda di restituzione della somma corrisposta, e non già l’oggetto di un’autonoma domanda di accertamento negativo (Sez. 5, Sentenza n. 2298 del 02/02/2007).
La seconda è invece costituita dal fatto che le conclusioni rassegnate in primo grado dalla CITTA’ METROPOLITANA ROMA CAPITALE, per come (si badi bene) riprodotte nello stesso motivo di ricorso (pag. 12), in virtù dell’ampia loro formulazione ( ‘accertata , anche in via riconvenzionale, la nullità/simulazione/inesistenza di effetti del contratto e delle relative richieste di rimborso (…) stante il difetto o stante il difetto o la causa illecita/motivo illecito del rapporto e/o per simulazione (…)’ ), venivano in ogni caso a dedurre l’elemento fattuale fondamentale a sostegno della domanda di ripetizione, e cioè il radicale mancato espletamento di attività lavorativa da parte di COGNOME e quindi l’assenza del diritto di quest’ultimo alla retribuzione e la conseguente assenza del diritto della società a percepire somme dalla controricorrente.
Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, deducendo il medesimo vizio sotto diversi profili, e sono inammissibili.
Gli stessi, infatti, non riescono ad intercettare adeguatamente la ratio della decisione impugnata, la quale non si è semplicemente limitata ad operare -ai fini dell’applicazione degli artt. 79 e 80, D. Lgs. n. 267/2000 – una distinzione tra le ipotesi in cui l’espletamento del mandato elettorale renda solo parzialmente o totalmente impossibile la prestazione lavorativa, né ha voluto escludere in linea di principio il diritto del datore di lavoro di vedersi rimborsare gli emolumenti corrisposti al lavoratore.
La Corte capitolina, invece, ha rilevato che, nella specie, il rapporto di lavoro subordinato non aveva avuto alcuna esecuzione, non avendo il lavoratore svolto alcuna attività lavorativa neppure nelle ore non impegnate dall’espletamento del mandato elettorale, essendo in tal modo risultato escluso in radice il sinallagma tra prestazione lavorativa e corresponsione dello stipendio, al di là del fatto che tale rapporto fosse simulato o anche solo semplicemente ineseguito.
Tale constatazione risulta indirettamente confermata dalla stessa domanda -accolta in appello dell’odierna ricorrente e cioè della domanda volta conseguire la ripetizione dall’intimato delle ulteriori somme corrisposte a titolo di emolumento, al di fuori di quelle oggetto della condanna a favore di RAGIONE_SOCIALE ROMA CAPITALE.
Tale domanda, invero, veniva a postulare, evidentemente, proprio il carattere indebito del pagamento degli emolumenti in quanto non riscontrato da alcuna controprestazione lavorativa, risultando in tal modo contraddittoria la formulazione, da un lato, di tale domanda e la contestazione, dall’altro, del diritto alla ripetizione di indebito azionato dalla controricorrente.
La ratio concreta della decisione della Corte capitolina, allora, non va ravvisata nella mera limitazione dell’applicazione degli artt. 79 e 80, D. Lgs. n. 267/2000 unicamente ai casi in cui l’espletamento del mandato elettorale renda solo parzialmente (e non assolutamente) impossibile la prestazione lavorativa, ma nell’affermazione del diverso -e condivisibile -principio per cui l’onere di rimborso del datore di lavoro posto a carico dell’Ente in relazione alle assenze dal servizio del lavoratore per l’espletamento del mandato elettorale postula l’esistenza di un rapporto di lavoro che registri un effettivo svolgimento , con la conseguenza che risulta esclusa l’applicazione degli artt. 79 e 80, D. Lgs. n. 267/2000 allorquando il rapporto di lavoro non riceva esecuzione alcuna, né da parte del datore né da parte del lavoratore, per ragioni che esulano dall’espletamento del mandato elettorale ed emerga, quindi, che il lavoratore non ha mai concretamente posto le proprie energie lavorative a favore del datore di lavoro, risultando in tal modo il venir meno del nesso sinallagmatico che vincola il datore medesimo alla corresponsione della retribuzione anche nei periodi di assenza per l’espletamento del mandato elettorale .
Tale ratio -si ripete del tutto condivisibile e tale da palesare comunque l’infondatezza anche nel merito dei due motivi di ricorso non è stata adeguatamente criticata nel ricorso, giacché -si ripete -a venire in rilievo non è l’entità delle assenze dal lavoro connesse all’espletamento del mandato elettorale -come argomenta la ricorrente -ma la stessa fondamentale assenza di quel sinallagma contrattuale che il disposto degli artt. 79 e 80, D. Lgs. n. 267/2000 intende salvaguardare anche nelle ipotesi di assenza del lavoratore per l’espletamento del mandato elettorale.
Anche il quarto motivo è inammissibile.
Questa Corte a Sezioni Unite ha chiarito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con Legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si sia tramutata in violazione di legge costituzionalmente rilevante, esaurendosi detta anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, mentre esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022) così come esula dal vizio di violazione di legge la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti , implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.
Rilevato, allora, un profilo preliminare di inammissibilità del motivo, nel momento in cui la ricorrente -ancora una volta – richiama le difese assunte nei gradi di merito senza riprodurle adeguatamente e senza provvedere alla minima localizzazione degli atti che tali difese conterrebbero in tal modo violando il canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. l’ulteriore inammissibilità del motivo discende dalla constatazione che lo stesso non investe la motivazione della decisione – la quale espone il proprio percorso argomentativo in modo sintetico ma comunque completo, univoco, comprensibile ed immune da
affermazioni reciprocamente inconciliabili -bensì una valutazione in fatto che la Corte di merito ha assunto nell’ambito dei propri poteri di esame delle prove, senza essere tenuta a dare conto in motivazione del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14972 del 28/06/2006; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16034 del 14/11/2002), di talché risulta inevitabile constatare che le doglianze del ricorrente si sostanziano in una critica del merito della decisione.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 8.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione