Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2818 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2818 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4741/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso, dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati presso lo studio della seconda, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrenti –
avverso la sentenza del Tribunale della Corte d ‘ appello di Milano n. 3741/2018, pubblicata in data 1° agosto 2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 dicembre 2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Fatti di causa
RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione al precetto, notificato da NOME COGNOME e NOME COGNOME, con cui si intimava il pagamento della somma di euro 85.416,34 a titolo di spese processuali liquidate in una sentenza pronunciata dal Tribunale di Como ed in altre due sentenze rese dalla Corte d ‘ appello di Milano, deducendo l ‘ infondatezza della pretesa per rimborso dell ‘ I.V.A., in assenza di prova documentale dell ‘ effettivo versamento da parte degli opposti degli importi liquidati in favore del loro difensore.
Il Tribunale di Como rigettava l ‘ opposizione.
La sentenza, impugnata dalla soccombente, è stata parzialmente riformata dalla Corte d ‘ appello di Milano, che ha dichiarato che NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano diritto a procedere ad esecuzione forzata in base al precetto azionato, con esclusione della somma di euro 13.560,00, oltre C.P.A., I.V.A., ed ha condannato i predetti a restituire, all ‘ appellante, detta somma versata in eccesso rispetto a quelle per le quali il precetto era stato ritenuto legittimo; ha, inoltre, disposto la compensazione, nella misura della metà, delle spese dei due gradi di giudizio, ponendo la restante metà a carico degli appellati, parzialmente soccombenti.
RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza d ‘ appello, sulla base di un unico motivo.
NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell ‘ art. 380bis . cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Il Collegio si riserva il deposito dell ‘ ordinanza nel termine di sessanta giorni dalla decisione.
Ragioni della decisione
Con l ‘ unico motivo del ricorso principale RAGIONE_SOCIALE denunzia, in relazione all ‘ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ‹‹Violazione e falsa applicazione di legge in materia di spese processuali, il rimborso degli accessori di legge (Iva e Cpa), da parte soccombente a parte vittoriosa che sia soggetto privato senza diritto alla detrazione, non è dovuto -trattandosi di rivalsa -in assenza di prova che tale somma in accessori di legge sia stata effettivamente pagata da parte vittoriosa al proprio difensore (ovvero sia comunque dovuta da parte vittoriosa al proprio difensore). Tale prova deve fornire parte vittoriosa, tramite produzione di regolare fattura regolarmente emessa dal proprio difensore -violazione dell ‘ art. 18 del d.P.R. n. 633/1972 -violazione dell ‘ art. 474, primo comma, c.p.c. -violazione dell ‘ art. 2697 c.c. -violazione del principio di ‘ vicinanza della prova ‘››.
Pur non ponendo in discussione il principio secondo cui l ‘ I.V.A. vada corrisposta secondo la clausola generale ‹‹ se ed in quanto dovuta ›› , la ricorrente contesta alla Corte territoriale di avere trascurato di considerare che non può sussistere presunzione di onerosità del pagamento di I.V.A., che le controparti non sono debitrici, in via autonoma, di I.V.A. e di C.P.A. in favore dell ‘ erario e che l ‘ eventuale debenza avrebbe dovuto, in ogni caso, essere dimostrata mediante la produzione di fattura emessa dal difensore
degli odierni controricorrenti. Rimarca che, nella specie, è mancata la prova che le parti vittoriose avessero effettivamente versato al proprio legale il compenso liquidato, maggiorato di I.V.A. e C.P.A., e che il difensore avesse emesso la relativa fattura; in difetto di tale prova, ad avviso della ricorrente, l ‘ I.V.A. non è dovuta, determinandosi altrimenti un indebito arricchimento dei controricorrenti.
Lamenta, altresì, che i giudici di merito avrebbero erroneamente posto a suo carico l ‘ onere di dimostrare l ‘ insussistenza dei presupposti per la detrazione dell ‘ imposta, così gravandola di una prova diabolica, in contrasto col principio della vicinanza della prova.
Con l ‘ unico motivo del ricorso incidentale NOME COGNOME e NOME COGNOME censurano la sentenza impugnata, in relazione all ‘ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per ‹‹ violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all ‘ art. 91 c.p.c., all ‘ art. 5 del D.M. 20 luglio 2012, n. 140 e all ‘ art. 5 D.M. 10 marzo 2014, n. 55; violazione del principio di cui alla sentenza Corte Cass., Sez. Unite, n. 19014/2007 in materia di liquidazione delle spese di lite››.
Sostengono che la liquidazione delle spese di lite contenute nella sentenza qui impugnata si pone in contrasto con le norme evocate in rubrica, perché è stato preso a riferimento il valore di causa, pari ad euro 85.416,34, ossia l ‘ intero importo precettato, sebbene la domanda svolta dall ‘ odierna ricorrente in sede di appello avesse un valore di euro 33.689,77 e nonostante fosse stata riconosciuta in favore dell ‘ originaria opponente la minor somma di euro 13.560,00.
Il ricorso principale deve essere rigettato.
3.1. Varrà premettere che la sentenza di condanna della parte soccombente al pagamento delle spese processuali in favore della parte vittoriosa, liquidandone l ‘ ammontare, costituisce titolo
esecutivo, pur in difetto di un ‘ espressa domanda e di una specifica pronuncia, anche per conseguire il rimborso dell ‘ I.V.A. che la medesima parte vittoriosa assuma di avere versato al proprio difensore, in sede di rivalsa e secondo le prescrizione del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, trattandosi di un onere accessorio che, in via generale, ai sensi dell ‘ art. 91 cod. proc. civ., consegue al pagamento degli onorari al difensore (Cass., sez. 3, 22/05/2007, n. 11877; Cass., sez. 2, 05/05/2009, n. 10336; Cass., sez. 3, 31/03/2010, n. 7806; Cass., sez. 3, 01/04/2011, n. 7551; Cass., sez. 2, 23/02/2017, 4674; Cass., sez. 3, 13/11/2019, n. 29343; Cass., sez. 6-3, 05/11/2020, n. 24634).
3.2. È stato, al riguardo, precisato che l ‘ eventualità che la parte vittoriosa, per la propria qualità personale, possa portare in detrazione l ‘ I.V.A. dovuta al proprio difensore non incide su detta condanna della parte soccombente, trattandosi di una questione rilevante solo in sede di esecuzione, poiché la condanna al pagamento dell ‘ I.V.A. in aggiunta ad una data somma dovuta dal soccombente per rimborso di diritti e di onorari deve intendersi in ogni caso sottoposta alla condizione della effettiva doverosità di tale prestazione aggiuntiva (ovvero ‘ se dovuta ‘ ) (in tal senso, tra le altre Cass., sez. 3, 19/02/2014, n. 3968; Cass., sez. 2, 23/01/2007, n. 1406).
La questione è stata approfondita con la decisione n. 1406 del 2007, rilevando che l ‘ obbligazione del soccombente di rimborsare l ‘ I.V.A. al vincitore non trova la sua radice nel rapporto tributario, ma la rinviene nell ‘ art. 91 cod. proc. civ., norma, questa, che lo obbliga al rimborso dei diritti, degli onorari e delle spese sopportate dal vincitore (tra le quali deve essere compresa l ‘ I.V.A. che questi è tenuto a versare, in via di rivalsa, al suo difensore), spese che, per essere liquidate, debbono essere documentate nella loro effettività o,
come per l ‘ I.V.A., nella loro doverosità (per legge). I meccanismi e le conseguenze successive sono estranei al procedimento nel quale si effettua la liquidazione delle spese sopportate dalla parte vittoriosa, che vengono poste a carico dell ‘ altra parte in forza del (diverso) principio della soccombenza, a sua volta basato su quello di causalità e di responsabilità nascenti dal processo (in senso conforme, Cass. n. 4674/17, cit.).
3.3. La parte soccombente, dunque, ove voglia contestare la deducibilità dell ‘ imposta, ha facoltà di muovere contestazioni sul punto in sede esecutiva, con l ‘ opposizione al precetto o all ‘ esecuzione, al fine di far valere eventuali circostanze che, secondo le previsioni del d.P.R. n. 633 del 1972, possano escludere in concreto l ‘effettiva rivalsa o, comunque, l ‘ esigibilità dell ‘ I.V.A.
Tuttavia, il destinatario del precetto può contrastare l ‘ intimazione di pagamento in punto di rimborso di I.V.A. asseritamente versata al difensore non sulla base del mero presupposto che il precettante non l ‘ abbia concretamente versata al proprio difensore, circostanza di per sé non significativa, quanto piuttosto sulla base della prospettazione di elementi di fatto che, secondo la disciplina di riferimento, rendano il versamento non dovuto.
In tal senso si è espressa Cass. sez. 1, 29/05/1990, n. 5027, che ha precisato che ‹‹ la parte vittoriosa nel giudizio, la quale, per effetto della condanna della controparte a rimborsarle le spese processuali, ha diritto, senza bisogno di specifica richiesta o di apposita pronuncia del giudice, al rimborso dell ‘ I.V.A. versata al difensore -quando non si dimostri la sua possibilità di detrarre l ‘ imposta -non è tenuta al rilascio di una fattura, atteso che non si verte in tema di cessione di beni o prestazioni di servizi, ma di semplice rimborso di un costo del processo ›› (in senso conforme, Cass., n. 11877/2007, cit.; Cass., sez. 3, 31/03/2010, n. 7805). Le medesime conclusioni valgono
anche con riguardo alla RAGIONE_SOCIALE.A. (Cass., sez. 2, 02/05/1996, n. 4023; Cass., sez. 1, 21/04/1997, n. 3412; Cass., sez. 3, 01/02/2000, n. 1073; Cass., sez. 2, 02/04/2001, n. 4806; Cass., sez. 1, 04/07/2003, n. 10571).
3.4. Al riguardo, è utile anche rammentare che, ai fini I.V.A., il professionista che abbia prestato la propria opera al cliente è tenuto a corrispondere all ‘ erario l ‘ imposta sul proprio onorario ed è obbligato a rivalersene nei confronti dello stesso cliente (artt. 17 e 18 d.P.R. n. 633 del 1972).
Dal citato art. 18 d.P.R. n. 633 del 1972, che disciplina il rapporto tra avvocato e cliente, deriva, ai sensi del successivo art. 21, l ‘ obbligo, a carico del professionista, di emettere la fattura, che deve essere rilasciata in favore del cliente quale committente del servizio, in difetto di un rapporto tra il difensore della parte vittoriosa ed il soccombente.
Se il cliente vittorioso è un soggetto privato, per il soccombente l ‘ I.V.A. è equiparata ad una spesa processuale ed il relativo pagamento non avviene a titolo di rivalsa, che attiene al rapporto sinallagmatico che intercorre tra il cliente e l ‘ avvocato, ma a titolo di condanna, ossia in forza di un titolo diverso (la sentenza di condanna) rispetto a quello tributario; di conseguenza, se il cliente vittorioso non è titolare di partita I.V.A., il soccombente è tenuto a pagare alla controparte anche l ‘ importo addebitato dal professionista al suo cliente a titolo di I.V.A.
A tale disciplina si deroga nella sola ipotesi in cui il cliente vittorioso, in quanto soggetto passivo di imposta, abbia titolo ad esercitare la detrazione dell ‘ imposta stessa (si veda, nello stesso senso, la Circolare del Ministero delle Finanze -Dip. Entrate Affari Giuridici del 6/12/1994, n. 203; Cass., sez. 3, 13/9/2018, n. 22279 afferma che l ‘ avvocato distrattario può richiedere alla parte
soccombente solamente l ‘ importo dovuto a titolo di onorario e spese processuali e non anche l ‘ importo dell ‘ I.V.A. che gli sarebbe dovuta, a titolo dì rivalsa, dal proprio cliente, abilitato a detrarla; ciò in quanto, in materia fiscale costituisce principio informatore l ‘ addebitabilità di una spesa al debitore solo se sussista il costo corrispondente e non anche qualora quest ‘ ultimo venga normalmente recuperato, poiché non può essere considerata legittima una locupletazione da parte di un soggetto altrimenti legittimato a conseguire due volte la medesima somma di denaro -in tal senso anche Cass., 21/02/2012, n. 2474).
Il diverso regime sopra delineato si giustifica per il fatto che il cliente vittorioso, titolare di partita I.V.A., ha il diritto di detrarre e, quindi, di recuperare l ‘ I.V.A. addebitata dal proprio difensore, mentre il cliente vittorioso non titolare di partita I.V.A. non ha diritto di detrarre l ‘ imposta addebitatagli dal difensore a titolo di rivalsa, sicché il pagamento dell ‘ I.V.A. in tal caso costituisce, per il cliente, un onere di cui ha diritto di pretendere il rimborso dalla parte soccombente.
3.5. Alla stregua delle considerazioni sinora svolte, non può che ribadirsi che grava sul soccombente l ‘ onere di offrire prova della sussistenza di circostanze che escludano, secondo le previsioni del richiamato d.P.R. n. 633/1972, la concreta rivalsa e, dunque, la debenza dell ‘ imposta (Cass., n. 7551/2011, cit.; Cass., sez. 6-2, 10/07/2018, n. 18192; Cass., sez. 3, 02/05/2023, n. 11352); in difetto di tale prova, la spettanza del rimborso dell ‘ I.V.A. discende dal titolo azionato, ossia la sentenza di condanna, cosicché il rimborso dell ‘ imposta si atteggia quale ‹‹ onere accessorio degli onorari di difesa ›› , da ricomprendere tra gli oneri processuali dai quali la parte vittoriosa deve essere in ogni caso sollevata (Cass., sez. 1, 29/05/1990, n. 5027). Conseguentemente, solo se il soccombente dimostra o la stessa parte vittoriosa riconosca di essere un soggetto I.V.A., nel senso che per la sua qualità personale, possa a sua volta
rivalersi del tributo in questione, attraverso la detrazione di cui all ‘ art. 19 d.P.R. 633/1972, questo non rientra più tra le spese rimborsabili ex art. 91 cod. proc. civ.
In altri termini, spetta a colui che pretende di non pagare l ‘ I.V.A. dimostrare che si verte in ipotesi in cui la controparte non dovrà sopportare il costo corrispondente (Cass., sez. 3, 27/10/2014, n. 22789): dimostrazione che non può, tuttavia, consistere nella mera affermazione di non debenza dell ‘ imposta.
3.6. Applicando i superiori principi al caso in esame, deve ritenersi che, non avendo l ‘ odierna parte ricorrente assolto l ‘ onere di dimostrare che sussistano condizioni per effetto delle quali i controricorrenti, pacificamente non titolari di partita I.V.A., possano in concreto recuperare l ‘ imposta dovuta al difensore che li ha rappresentati in giudizio, le contestazioni mosse con la doglianza in esame restano sfornite del necessario supporto probatorio e, pertanto, non possono ritenersi idonee a superare le argomentazioni che il giudice d ‘ appello ha posto a fondamento della decisione qui impugnata: dovendosi, peraltro, escludere, per le ragioni sopra evidenziate, che il rimborso di I.V.A. e di C.P.A., da parte della soccombente, possa comportare una indebita locupletazione a favore dei controricorrenti.
Merita, invece, accoglimento il ricorso incidentale.
La sentenza d ‘ appello per la liquidazione delle spese di lite dei due gradi di giudizio, come emerge dall ‘ importo liquidato, ha fatto riferimento, ai fini della determinazione del valore della controversia, all ‘ importo portato dal precetto, ed ha applicato i parametri introdotti con d.m. n. 55/2014 nei valori medi, senza tenere conto del fatto che l ‘ impugnazione era stata parzialmente accolta.
La Corte d ‘ appello non ha, quindi, fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale ai fini del rimborso delle spese di
lite a carico della parte soccombente, il valore della controversia va fissato – in armonia con il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza dei compensi professionali rispetto all ‘ opera effettivamente prestata – sulla base del criterio del disputatum (ossia di quanto richiesto nell ‘ atto introduttivo del giudizio ovvero nell ‘ atto di impugnazione della sentenza), contemperato però dal criterio del decisum, che impone al giudice, in caso di accoglimento solo in parte della domanda ovvero di parziale accoglimento dell ‘ impugnazione, di considerare il contenuto effettivo della sua decisione (come previsto dall ‘ art. 5 del d.m. n. 127 del 2004). Soltanto nel caso in cui la riduzione della somma o del bene attribuito consegua ad un adempimento intervenuto, nel corso del processo, ad opera della parte debitrice, convenuta in giudizio, il giudice, richiestone dalla parte interessata, potrà tener conto esclusivamente del disputatum , ove riconosca la fondatezza dell ‘ intera pretesa (Cass., sez. U, 11/09/2007, n. 19014; Cass., sez. 3, 12/01/2011, n. 536; Cass., sez. 3, 12/06/2015, n. 12227; Cass., sez. 3, 23/11/2017, n. 27871; Cass., sez. 6-3, 12/06/2019, n. 15857; Cass., sez. 6- 3, 30/11/2022, n. 35195).
La sentenza impugnata va, pertanto, in parte qua , cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell ‘ art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., la causa può essere decisa nel merito, liquidando, a carico dei soccombenti (e tra loro in solido per l ‘ evidente identità della posizione processuale), secondo il criterio indicato dal giudice d ‘ appello e con le altre specificazioni da quegli operate, ossia il 50 per cento delle spese di lite dei due gradi del giudizio, ma prendendo a riferimento lo scaglione tariffario del decisum , per il giudizio di primo grado, l ‘ importo finale di euro 3.627,00 e, per il giudizio d ‘ appello, l ‘ ulteriore importo finale di euro 3.307,00, oltre oneri accessori.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, secondo il criterio della soccombenza, a carico della ricorrente principale e sono liquidate come in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale e cassa la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione delle spese di lite; decidendo la causa nel merito, condanna NOME COGNOME e COGNOME NOME, tra loro in solido, al pagamento della metà delle spese dei due gradi del giudizio di merito, metà che liquida, per il giudizio di primo grado, in euro 3.627,00 per compensi e, per il giudizio di appello, in euro 3.307,00 per compensi, il tutto oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15 per cento, nonché oltre agli oneri accessori, confermando la compensazione, tra le parti, della restante metà delle spese relative ai gradi del giudizio di merito.
Condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15 per cento, agli esborsi, pari ad euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della sola ricorrente principale, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione